Monte Dolada dal Rifugio Dolomieu Dolada
(Spirito libero ascolta la montagna, essa ti
conduce...)
Localizzazione:
Prealpi Venete - Gruppo Col Nudo Cavallo
Avvicinamento:
Avvicinamento: Lestans- Barcis. Cimolais- Erto- Longarone-Autostrada per
Belluno- Uscita Pieve d’Alpago-Plois-Rifugio Carota-Strada forestale sino al
rifugio Dolomieu al Dolada- Ampio spiazzo per parcheggiare l’auto.
Regione:
Veneto
Provincia
di: Belluno
.
Dislivello:
521 m.
Dislivello
complessivo: 521 m.
Distanza percorsa in Km: 4
Quota minima partenza: m. 1494 m.
Quota
massima raggiunta: 1938 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: Escursione panoramica naturalistica
Difficoltà:
E.E.
Tipologia sentiero o
cammino: Sentiero
Ferrata-
Segnavia:
CAI 961
Fonti
d’acqua: nessuna
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: media
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 012
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Consigliati:
Data: 10 giugno 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Mi chiedo spesso se è più eccitante sedurre o
essere sedotti. Sono sentimenti complementari.
Attribuendo queste emozioni alla
montagna, mi domando: siamo noi che conquistiamo la montagna o essa ci reclama
illudendoci di essere cacciatori piuttosto che prede? Con questo preambolo,
inizio a descrivere la bella escursione sul monte Dolada, la cima che grazie al
precedente intervento divino ho mancato (rimando all’escursione sul Col Mat).
La meta in programma prevista
è il Crep Nudo, che già scalai anni fa, e di seguito proseguire per la cresta
sino alla forca del Venal. Nulla di trascendentale, solo un po’ lunghetta e
molto panoramica. Arriviamo (Giovanna e io) nella valle dell’Alpago alle prime
ore del mattino, e chissà perché, vengo distratto alla guida e non bado allo
svincolo di entrata nella località montana, proseguendo dritto sino all’uscita autostradale
di Vittorio Veneto Nord. Accortomi dell’errore mi sono domandato: << Per
quale motivo mi sono distratto?>>La risposta non si fa attendere. Rientrando
per la statale, proprio in prossimità del lago di Santa Croce, ho modo di
ammirare i monti che circondano Alpago. La catena orientale è quasi del tutto rivestita
da nubi, mentre il monte Dolada ne è sgombro, intuisco la risposta che cercavo.
Fermo l’auto presso uno spiazzo, ammiro il monte da lontano, e chiedo a
Giovanna se le va di cambiare meta, illustrandole le difficoltà tecniche. Acconsente,
quindi, si tenta il Monte Dolada.
Il percorso di avvicinamento
è identico a quello effettuato per il Col Mat. Dopo anni di frequenza
dell’Alpago, mi districo bene all’interno del labirinto stradale. Miro a
settentrione, risalgo i colli seguendo le indicazioni per Pieve di Alpago, e
dal piccolo borgo mi guidano i cartelli per i rifugi. Una lunga serie di
tornanti mi scorta sino al parcheggio che precede di pochi metri il rifugio
Dolomieu Dolada. Nello spiazzo adibito per la sosta automezzi troviamo solo un
furgone, vi posteggiamo accanto e ci prepariamo. Prima di lasciare lo spiazzo noto
a terra, sul retro del furgone, una chiave d’auto, deve essere caduta al
guidatore dello stesso automezzo. Lascio un biglietto sul parabrezza del
furgone, e consegno le chiavi al gestore del rifugio Dolomieu Dolada. Dopo aver
lasciato l’oggetto smarrito, iniziamo la nostra escursione, proprio da dove
errai pochi giorni prima. Dal ritrovo puntiamo a occidente, un cartello CAI
indica la via per il Dolada. La pesta lambisce le verticali pareti meridionali
del Col Dolomieu. Il sentiero con un lungo traverso penetra in un boschetto, e
pochi metri dopo, vira bruscamente a nord, iniziando la lunga ascesa sul ripido
pendio erboso che porta alla piccola forcelletta posta tra il Col Brustola e il
versante orientale del monte Dolada.
Il ripido tratto è
percorribile senza alcun patema, dalla forcelletta inizia il tratto più
impegnativo. Si procede a occidente scendendo di alcuni metri all’imbocco sommitale
di un esposto e ripido canalone, lo si aggira per esile cengia fino a una esposta
paretina rocciosa, di pochi metri, che con tre passaggi con le mani la si
supera. Raggiunta l’esposta cengetta (solo pochi metri) la si risale a monte per
un tratto delicato, dove bisogna solo fare attenzione (roccette e zolle
erbose), e che in breve ci guida in cresta. La traccia è ben battuta e
percorribile, ma si cammina a fil di cresta. Molto emozionante, di sicuro non
adatta a chi soffre di vertigini, ma poco impegnativa tecnicamente. Camminiamo
come funamboli su questo immaginario cavo. A meridione, alla nostra sinistra, vi
sono i ripidissimi prati verdi, mentre a settentrione, alla nostra destra, vige
il vertiginoso e dirupato versate roccioso, che mette riverenza solo a
guardarlo. Noi procediamo tranquilli, sereni, con la politica dei piccoli passi
e della serenità, compagni insostituibili in montagna.
Spesso ci fermiamo ad
ammirare il percorso fatto e quello ancora da farsi. La meravigliosa cresta,
tipica dell’Alpago, ci fa sognare, e ci rende dimentichi di tutto il tran-tran
del quotidiano vivere. Do la prelazione a Giovanna, sia per darle sicurezza che
per fare delle foto interessanti con un soggetto in movimento. Raggiunto lo
scheletro di un ripetitore proseguiamo per la cresta, fino a raggiungere
l’ultimo tratto tecnico, ossia, pochi metri di paretina rocciosa che non abbisognano
dell’impiego delle mani, ma sono fortemente esposti sul baratro settentrionale.
Raggiunta la cresta superiore, proseguiamo, sempre placidamente, verso la
vetta, che ora è in bella vista. Nel frattempo, due escursionisti, ci hanno
preceduto in cima. Gli ultimi metri verso la meta sono emozionanti, e ogni
volta provo lo stesso sentimento con le stesse intensità per qualsiasi vetta,
fosse anche un colle di poche centinaia di metri di quota o una regina rocciosa
delle dolomiti. Niente croci in vetta, solo la struttura di qualcosa che
ospitava chissà cosa. Uno sportellino apribile dal lato meridionale serba uno
scrigno con il libro dei visitatori, il resto è puro e meraviglioso panorama. A
oriente, delle nubi grigiastre, coprono le sommità delle catene montuose, paiono
minacciose. Codesta visione conferma la buona maniera di dare sempre ascolto
alla voce interiore, che io chiamo “Montagna”, ma che l’individuo raziocinante battezza
“esperienza più intuito”. Abbiamo molto tempo
per fare le nostre abituali operazioni di vetta, nel frattempo gli ospiti che
ci hanno preceduto abbandonano la cima. Dal vertice del Dolada ammiro le
dolomiti di Zoldo e quelle friulane. È un versante aspro, e molte elevazioni
sono le preferite per chi ama l’ambiente selvaggio. Sto bene, stiamo bene, questa
tipologia di montagna ci galvanizza. Attimo per attimo siamo in contatto con il
cielo, e semplificando Immanuel Kant, scrivo:<< La ragione dentro di noi,
un cielo azzurro sopra di noi!>>.
Dopo aver issato il
vessillo dello spirito libero e aver consumato un po’ di cibo energetico, arriva
il tempo del rientro; quindi, ammaina bandiera, e pronti per la discesa.
Con maggior attenzione
rispetto all’ascesa iniziamo la calata, e visto il breve chilometraggio che ci
separa dal rifugio, ne approfittiamo per ammirare la mirabile fioritura del
versante esposto al sole. Spesso mi adagio sul manto erboso per immortale i
fiori, ognuno di essi è un autentico prodigio, a testimonianza che Artemide tra
gli artisti è la suprema.
Superati i tratti
insidiosi, ci liberiamo anche della tensione, scendendo rapidamente il pendio
erboso e avviandoci verso il rifugio. Nel frattempo, una numerosa comitiva di
amanti del parapendio ha colonizzato la struttura del rifugio. Dal sentiero ne
osserviamo i volteggi nel cielo azzurro, e la base da dove si librano in volo.
Raggiunto il gruppo degli eredi di Icaro, mi fermo presso di loro. Li osservo
incuriosito, scruto, cerco di comprenderne lo spirito. Sembrano tutti
personaggi di fumetti, camuffati da insetti, direi da libellule. Sono pronti a
spiccare il volo come pulcini dal nido. Caschetti aerodinamici, occhiali avveniristici,
tute speciali e scafandri particolari, e sopra di loro le giganti ali
artificiali, che rimandano la memoria agli studi scientifici di Leonardo da
Vinci. Il vociare è chiaro, come il loro dialetto, sono tutti veneti tranne
qualche rara eccezione teutonica. Uno, due, tre, via!!! A un determinato
segnale spiccano il volo, e paiono rapaci in cerca di prede nel frenetico volteggiare,
ma l’unico bottino ambito che io ravviso è la libertà, l’unico a cui tutti aspirano
e pochi riescono ad avvicinare. Ripreso il cammino, ci rimangono pochi metri da
percorrere sino all’auto. Fatta anche questa! Ci predisponiamo al rientro, e
decidiamo di consumare il pasto in basso, dall’alto ho visto qualcosa di
interessante. Infatti, dopo pochi tornanti percorsi in auto, troviamo un’area
adibita a picnic, con tavoli e panche in legno e una graziosa fontanella dalle
copiose e fresche acque. Ci accomodiamo e pranziamo, spaziando con lo sguardo sulla
catena montuosa che dal gruppo del Cavallo conduce sino al Col Nudo. Le nubi
sovrastano le cime, e la vocina interiore mi bisbiglia qualcosa, l’ascolto:
<<Caro Malfa, sei stato saggio ad ascoltarmi. Oggi ti ho donato un altro
mio gioiello, in cambio del tuo smisurato amore, e ti ho mostrato il perché ti
ho consigliato di cambiare meta. Lasciati sempre condurre e senza esitazioni
dal cuore, l’intelletto saprà farsene una ragione, privilegiando la saggezza e
la riflessione. Con amore, tua Artemide >>. La vocina svanisce. Sorrido. finiamo
di consumare il pasto, e riprendiamo il cammino, verso la quotidianità. Con un
ultimo sguardo alla bella montagna del Dolada, lasciamo la località
dell’Alpago, che da oggi ha meno segreti per noi.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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