Monte Pinada e Col Pecol da Faidona (Val Tramontina).
“Interessante e sorprendente escursione selvaggia su un monte
poco frequentato della Val Tramontina”
Localizzazione: Dolomiti destra Tagliamento- Prealpi Carniche-
Avvicinamento: Lestans-Toppo-Meduno- Lago di Redona-seguire
indicazioni per Chievolis- Frazione di Faidona- Punto sosta prima del ponte
tibetano che precede il borgo di Muinta.
Regione: Friuli-Venezia Giulia
Provincia di: Pordenone
.
Dislivello: 500 m.
Dislivello complessivo: 500 m.
Distanza percorsa in Km: 8
Quota minima partenza: m 258
Quota massima raggiunta: 679 M.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: Panoramica -selvaggio
Difficoltà: Escursionisti Esperti in ambiente selvaggio,
percorso privo di segni e spesso di tracce.
Tipologia
sentiero o cammino: Dalla frazione di Muinta per tutta la cresta e sino alla
frazione di Posplata: Sentiero di cacciatori privo di inizio sentiero- tracce logiche
ma prive di segni- Dalla frazione di Posplata alla frazione di Faidona: Comoda
carrareccia (sentiero CAI 396) e l’ultimo tratto (dal borgo Chievolis) strada
provinciale.
Ferrata- no
Segnavia: CAI 396
Fonti d’acqua: si, Rio dei Gamberi.
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: Istallato barattolino
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato: tutto l’anno
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Consigliati:
Data: 18 luglio 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
L’andare in montagna, il leggere un libro o il ritrarre un
volto, per il sottoscritto sono una beatitudine, se perdo questa peculiarità l’effetto
sarò l’opposto. Dopo una settimana, in cui mi sono lasciato imprigionare da una
vena sprezzante e da un giustificato rancore nei confronti di alcuni soggetti, desideravo
dare un taglio a un certo ambiente sociale e di cambiare aria. La riflessione,
nel frattempo, ha avuto il naturale sopravvento, facendomi riscoprire il
piacere di indossare gli scarponi per vagabondare in luoghi sconosciuti fuori
dalla frequenza comune. Non ho nessun desiderio di guidare l’auto per
chilometri, quindi, sfoglio la mappa della Val Tramontina e roteo il dito indice
su di essa, alla ricerca di qualche rilievo che ignoro.
In particolar modo vengo attratto dal lago di Redona, e da una
cresta adiacente, che da nord ovest lo affianca. Un nome in particolare attira
la mia attenzione, monte Pinada, e studiando le curve di livello e le quote,
stabilisco dove iniziare l’ascesa alla vetta, ossia dalla piccola frazione di
Muinta.
Con un pennarello di color rosso segno l’ipotetico sentiero che compirò,
e spero l’indomani, in compagnia della mia signora, di portare a termine
l’avventura.
Vista la vicinanza della meta, partiamo in mattinata, con calma
e tanto Karma. Raggiunto l’imbocco della Val Tramontina, arrestiamo l’auto sul
ponticello che precede la diga del lago di Redona, per ammirare in sequenza la
serie dei ponti remoti che si sovrappongono al magico scenario del lago color
smeraldino. La poesia emanata dalla visione della Val Tramontina ammalia, è
stato così 37 anni fa, quando la vidi per la prima volta, e lo sarà per sempre.
Proseguiamo per la frazione di Chievolis mentre dall’autoradio
escono le dolci note di Battiato, che invitano a lasciarsi andare a una danza
mistica. Raggiunta la frazione di Faidona, imbocchiamo una stradella a destra, che
dopo pochi metri si arresta, in prossimità dell’accesso alla via sospesa che
porta alla frazione di Muinta.
Benché conosca discretamente la valle, oggi particolarmente, percepisco
una forte emozione, sono impaziente, non vedo l’ora di calzare gli scarponi e iniziare
il cammino. Dal periferico spiazzo inerbito di Faidona, seguiamo le indicazioni
per la frazione di Muinta, che raggiungiamo tramite un sentiero che conduce
all’adrenalinico e pittoresco ponte tibetano. Sospesi nel vuoto, attraversiamo
questa mirabile opera di collegamento, che a causa dell’incedere dei nostri
passi inizia a oscillare; a me la cosa diverte a Giovanna un po' meno.
Dalla passerella ammiriamo
le preziose acque dei molteplici torrenti che si riversano nel lago di Redona.
Guadato il tratto di lago siamo sull’altra sponda dove ci accoglie il cartello
del borgo Muinta. Una scalinata remota ci conduce al prato che precede gli
stavoli della frazione. Un ulteriore magia che si aggiunge a quella sinora percepita,
siamo in cammino da pochi minuti e abbiamo gli occhi colmi di delizia. Vaghiamo
per la piccola frazione, sento un vociare, due donne stanno sedute davanti
all’uscio, dialogano, godendo della frescura mattutina, mentre da uno stavolo
adiacente una figura maschile scruta verso noi. Mi avvicino a quest’ultimo,
chiedendo se è edotto di sentieri che ascendono la cresta, mi risponde che durante
alcuni giri ispettivi ha trovato qualcosa sotto il Col di Pecol, sentieri
remoti, ma sul monte Pinada ignora, si è fermato prima della forcella.
Con l’indice individua la boscaglia e il tratto dove posso trovare
il sentiero. Visitato il piccolo borgo, salutiamo le due signore e l’omino, e
iniziamo l’avventura. Con Giovanna ci avviamo al termine della scalinata di
accesso alla frazione. Mirando al bosco, inizia un tratto inerbito, lo
risaliamo per poi svanire nella selva. All’inizio del boschetto procediamo a
intuito, cercando varchi tra la vegetazione, e mirando sempre più su, alla
ricerca di una minima traccia di passaggio. Una pesta di cinghiale ci guida in
alto (spesso gli animali selvaggi seguono le vie logiche), sino a raggiungere
una traccia ben definita, a tratti invasa dalla vegetazione.
Percorriamo quello che una volta fu un “troi” della valle,
sicuramente di servizio ai locali per fare foraggio o legna. Malgrado l’erba
invada e copra il sentiero, se ne intuisce il vecchio aspetto. Trovato uno
slargo, decidiamo di munirci di ramponcini da erba per aumentare la sicurezza
durante l’ascensione. Subito dopo la ripartenza, percorriamo una cengetta aerea
che cinge con un lungo traverso il colle. Procediamo con cautela, finché, non
lasciamo il sentiero che prosegue a settentrione, per intraprendere il crinale
del Col Pecol. Sulla ripida dorsale rinvengo una traccia, mentre una timida
vipera, impaurita, sguscia velocemente tra i ciuffi d’erba. Superato il tratto
erto siamo in cresta, la percorreremo a lungo, sino a dopo il vertice del Monte
Pinada.
Il proseguo è semplice e intuitivo, c’è poco da sbagliare, seguiamo
una linea immaginaria, e purtroppo il paesaggio è velato dalla fitta
vegetazione, solo raramente alcuni sprazzi di luce fanno intuire cosa vi è
oltre. Ad un tratto la cresta si ampia, la vegetazione si dirada, e proseguiamo
quasi in piano. Visitiamo un’altana in legno adibita a punto di osservazione
per i guardacaccia, e di seguito attraversiamo un ampio prato, che mai avremmo
pensato di trovare. Al margine orientale della distesa prativa, dove la
vegetazione è più fitta, procediamo a tentoni nel trovare una pista che ci
guidi all’attacco del crinale (molteplici le ragnatele che raccogliamo durante
il passaggio, è sgradevole la sensazione che si avverte sulla pelle). Superato
il tratto invaso dalla vegetazione, ritroviamo la pesta, e iniziamo a salire. Percorriamo
stavolta una cresta esile, che con un andamento sinuoso conduce sino a una
forcella, dove troviamo dei massi posti in fila, sicuramente un confine di
proprietà risalente a quando il monte era spoglio di arbusti. L’ascesa alla
cresta prosegue, alcuni tratti sono ripidi, e si susseguono ai numerosi canaloni
che si aggettano a meridione o a settentrione. Noi proseguiamo fino alla quota metri
640, che ci illude di essere la vetta, per poi riprendere il cammino fino al
tratto finale, ovvero una articolata cresta, ripida a settentrione e verticale
a meridione, avente più o meno la quota di 679 m.
La traccia battuta è di qualche metro più in basso e a
settentrione. Noi a occhio cerchiamo e troviamo la quota più alta,
materializzata da una serie di tronchi d’albero. Non ci sono pietre per erigere
un ometto, solo frasche secche e arditi tronchi che sfidano le altezze. Su un
tronco leghiamo il barattolo di vetro con all’interno la penna e il blocco note
per i viandanti. Tutto intorno a noi solo la fitta vegetazione e il panorama
oscurato, ma non importa. La montagna naturale, quella poco frequentata è
questa. In ogni foglia, albero, sasso, si cela un universo, ed è meraviglioso
perdersi nella sua contemplazione. Fino a ieri ignoravo l’esistenza di questa piccola
elevazione, ma oggi ci ha fatto sognare, e scoprire mondi paralleli.
Soddisfatti della nostra conquista selvaggia, iniziamo la discesa. Mi affido al
mio intuito e al senso di orientamento, in 58 anni non mi hanno mai tradito. Riprendiamo
la traccia in basso, che dopo alcuni metri degrada a nord-est, svanendo tra i
ripidi prati. Sempre perdendo quota, scendiamo con facilità, grazie ai ramponi,
cercando nei crinali le tracce degli animali, o seguendo logici zizzagare
nell’erba, prima di penetrare in una fitta boscaglia. Difatti, cambio
direzione, seguendo il crinale che scende dalla vetta, finché in basso
raggiungiamo un rudere di un vecchio stavolo, dove rimangono solo le pareti e
un numero civico parzialmente leggibile. Atmosfera incantata, si ode lo
scorrere di un ruscello, siamo vicini alla meta, ovvero quella di raggiungere
il sentiero che passa dalla Forca del Prete. Il rudere sulla mappa è
materializzato da un singolo quadratino, cento metri più in basso dovremmo
trovare gli stavoli della frazione di Posplata. L’unica traccia da seguire è
quella di un cinghiale solitario, molto ripida, ci affidiamo ai denti dei ramponi
e scendiamo verso la frazione. Dall’alto scorgiamo tra le fronde della vegetazione
i tetti rossi di un’abitazione, si odono anche delle voci di ragazzi festanti. Percorriamo
gli ultimi metri nel ripido pendio nella boscaglia, e poi usciamo allo
scoperto, sui prati che precedono i primi stavoli.
Che Meraviglia! Che sensazione manifesta di felicità! Abbiamo
concluso il nostro tratto impegnativo, senza nessun patema e danni, e ora ci
godiamo il meritato premio, ossia, la bella frazione di Posplata che pare
dipinta da un’artista paesaggista da quanto è favolosa. Gli stavoli son ben
curati, specie uno che ha come motivo dominate il cuoricino. Vaghiamo come
marziani tra le remote vestigia e ci par di sognare. L’incedere dei nostri
scarponi ferrati stona con il religioso silenzio del borgo, infatti, trovato un
cantuccio, ci mettiamo comodi e ce ne liberiamo. Una strada di campagna, molto
bucolica, con segni CAI, procede a sud-ovest, lambendo il Rio dei Gamberi. Il fragoroso
suono delle scroscianti acque è melodia per le nostre orecchie. Iniziamo il
cammino verso il rientro, e i nostri volti sono luminosi per la gioia che
stiamo vivendo. In alto, a settentrione, riconosco le vette del Pizzo Lovet,
Col di Luna e Monte Crepa, magiche presenze che ho avuto l’onore di esplorare
in passato. Ora proseguiamo per questa valle che ci è sconosciuta, e chissà
quanti segreti in futuro ci deve ancora svelare il magico mondo della Val
Tramontina. Un breve sentiero ci accompagna sul greto del Rio, a pochi metri da
una cascata naturale, viviamo questi attimi di poesia, come un dono
inaspettato. Riprendiamo il cammino, lambendo alcuni stavoli, e in quelli di Campei
di sotto un’intera famigliola sta banchettando all’aperto. Passiamo velocemente,
salutiamo, rispondono al saluto, e via… Con Giovanna sorridiamo, ci siamo
capiti a volo. Continuiamo il passo, finché la carrareccia si alza di quota
rispetto al torrente sottostante, e presso un ponticello, in basso, notiamo
degli allegri bagnanti ignudi che giocano con le fresche acque del Rio come i
tritoni delle leggende greche. Ci fermiamo a conversare, noi dall’alto e loro
dal basso, ridiamo, sorridiamo, e felici loro e felici noi, riprendiamo il
passo per giungere alla stradina asfaltata che ci guida a Chievolis. Numerose
auto e presenze umane testimoniano che questo breve tratto è un luogo dove si
va in villeggiatura, e molti vanno a rinfrescarsi per supplire alla canicola.
Raggiunta Chievolis, affascinante borgo, procediamo verso Tamarat e successivamente
raggiungiamo Faidona, la frazione da cui siamo partiti per fare l’anello. Il
cielo ora è più luminoso, e gli sprazzi d’azzurro inebriano l’aria come il
nostro spirito. Missione compiuta! Oggi era un bel giorno per vagare, e ha
mantenuto le premesse. La montagna, questa adorabile sconosciuta, si è rivelata
generosa di emozioni. Come è nostra abitudine, non sottovalutiamo mai i
pericoli, specie se ne ignoriamo la morfologia del territorio. Ed essa, la
divina Dea, sa riconoscere i veri amanti, e a costoro si concede senza
esitazione.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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