Anello del Monte Arvenis dal Rifugio Moro (Sutrio)
Note tecniche.
Localizzazione: Alpi carniche Centrali- Alpi
orientali Tolmezzine-Gruppo dell’Arvenis-Dorsale Tamai-Zoncolan.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano- Cornino.
Cavazzo Nuovo- Valle del But- Sutri- Seguire indicazione per il monte Zoncolan-
Ampio parcheggio presso l’Hotel Enzo Moro (1303 m. circa)
Regione: Friuli- Venezia Giulia.
Provincia di: UD
.
Dislivello: 860 m.
Dislivello complessivo:860 m.
Distanza percorsa in Km: 13
Quota minima partenza: 1303 m.
Quota massima raggiunta: 1970 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In: coppia
Tipologia Escursione: escursionistica- panoramica
Difficoltà: escursionistiche
Tipologia sentiero
o cammino: Sentieri CAI-piste da sci
Ferrata-
Segnavia: CAI 170-157
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: si
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 09
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: 19 giugno 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Un’escursione
tranquilla, per tutti, all’insegna della gioia, della felicità, camminare per
creste e poter volgere lo sguardo all’infinito. Ecco di cosa avevamo bisogno,
di sognare a occhi aperti, e per una volta affrontare la montagna nel suo
aspetto più dolce e classico, quasi a richiamare la favola di Heidi, di Peter e
le caprette che fanno ciao. Visto il recente tentativo di scalare l’Arvenis ci ha
portato tra i selvaggi versanti del Tribil, stavolta ho cambiato versante,
ascendendo da Sutrio. Il borgo di Sutrio, uno dei più antichi della Carnia, le
prime documentazioni della sua esistenza risalgono al XIV secolo, da esso
risaliremo in auto per i tortuosi e lunghi tornanti che portano allo Zoncolan.
La giornata è
piacevolissima, e lo stesso vagare in auto da forti sensazioni di benessere, a
stento riesco a mantenere la concentrazione mentre guido, distratto dal
meraviglioso mondo montano della Carnia. Raggiunti gli ampi parcheggi della stazione
sciistica, lasciamo l’auto presso il Rifugio Moro, e ci approntiamo per la
partenza. A casa ho immaginato di compiere un anello che racchiudesse le tre
elevazioni: Zoncolan, Tamai e Arvenis, quindi, non ci rimane che attuarlo.
Dal rifugio, alla
nostra sinistra, guardando a occidente, una pista di sci tra i prati inerbiti
risale il ripidissimo pendio, ma ci permetterà di accedere alla cresta evitando
le antipatiche carrarecce.
Saliamo, percependo
sin da subito il caldo e la fatica. La visione dei verdi prati e gli abeti posti
al margine, ci irradia una strana felicità.
Una solitaria marmotta,
non proprio timida, vigila sul nostro passaggio, poi svanisce, lasciandoci
raggiungere il vertice del colle che precede lo Zoncolan.
Toccato un secondo
rifugio proseguiamo per la cresta, dove scorgiamo le prime presenze umane. Un
motociclista fa del motocross, mentre un anziano signore, seduto su una sdraio
accanto alla sua auto, è rapito da leggere un libro che ben conosco “Memoria delle
mie puttane tristi” di Gabriel García Marquez. La montagna è di tutti, e questo
a me piace assai. Continuiamo il cammino per la cresta, si sente un continuo via
vai di motori, giungiamo alla sella, dove la strada asfaltata scende a Ovaro.
Una comitiva di centauri tedeschi è in sosta sulle moto, sono tutti vestiti di
pelle nera, e hanno l’aspetto di templari che vanno alla conquista di una terra
straniera per punire i miscredenti. Un ciclista, sicuramente italico, nascosto lo
sguardo acuto dietro gli occhiali da sole, si guarda intorno e dal suo labbro una
leggera piega fa intuire l’ironia che prova nell’osservare i teutonici e la nostra
stravaganza, penserà che nel mondo per fortuna vi siano ancora i pazzi. Noi
transitiamo sull’altra sponda della via di comunicazione, all’arrembaggio della
quota più alta dello Zoncolan (1750 m.), materializzata da un folto cespuglio
di mughi. Davanti a noi, a meridione il Tamai ci attende, spero di ascenderlo
per cresta, perché la carrareccia è davvero brutta, un obbrobrio. Dalla prima elevazione stavolta scendiamo per
una traccia segnata CAI, poi altri segni, ed ecco percorrere il sentiero vero e
proprio battezzato 170, che ci condurrà sino all’Arvenis. Lungo il sentiero un
corpicino di un topino, le formiche stanno organizzando in suo onore un
banchetto, il senso della vita, nulla muore, ma tutto si trasforma. Iniziamo a
innalzarci di quota percorrendo le strette volte che conducono alla cresta
settentrionale del Tamai. Voliamo sul crinale, siamo fratelli e sorelle del
vento, dominiamo l’universo carnico, vaghiamo su questo filo immaginario, dove
le nostre figure divengono magici disegni animati. A nord, sulle più alte cime del Friuli, la
neve persiste, ma è stanca e vuol divenire acqua zampillante di ruscello per
raggiungere il padre natio a valle e facilitare le ascensioni ai meno arditi.
Noi continuiamo a volare sulla cresta, e ci par un sogno. Dopo la piccola
forcella sbuca l’inconfondibile sagoma dell’Arvenis, come sempre il primo
impatto visivo è forte, ma se si scruta con più attenzione la montagna tra le
rughe del versante dirupato, si possono constatare i segni della comoda mulattiera
di guerra. Sarà la nostra prossima meta, ma ora affrontiamo i pochi metri che
ci separano dalla cima del Tamai. Un comodo e inerbito colle ci accompagna a un
pugno di rocce, dove si erge un tronco d’albero da dove è stato ricavato il
contenitore per il libro di vetta. Non lo ricordavo più. Il bello del latitare
della memoria è quello di farti apparire nuovo, quello che dentro si è vissuto.
Effettuiamo una puntatina alla cima (1970 m.), firmiamo il libro di vetta, e visto
il sopraggiungere di due avvenenti signore, ci spostiamo sul sentiero che
precede l’Arvenis. La vetta va sempre goduta in solitudine, quando è possibile,
e lasciare il passo è segno di galanteria. Ai margini del sentiero, poco sotto,
scorgo una grossa pietra bianca che sa di panca, ne approfittiamo per fare la
prima sosta, così ammiriamo la futura meta. Riprendiamo poco dopo il passo, sono
euforico, mi diverto a correre lungo il sentiero. Raggiunta la forcella tra il
Tamai e l’Arvenis, prendo nota del sentiero 157 che percorreremo in discesa. La
mulattiera di guerra è ben marcata, scavata dai gloriosi genieri del primo
conflitto mondiale, essa ascende e solca la bianca roccia adornata da mughi e molteplici
fioriture. Mi svaga la salita, come tutti i sentieri di guerra, e allo stesso
tempo mi da una forte malinconia se penso ai poveri militi italiani che per
unirsi hanno dovuto combattere una guerra lontano dalla propria terra.
Percorriamo il
versante occidentale, quello dirupato, e in breve siamo a ridosso della sommità.
Cedo l’onore della conquista alla mia signora, odo un continuo bisbigliare, non
siamo soli, un trio è appena andato via e una coppia permane, mentre noi
raggiungiamo la croce di vetta (1968 m.). Fatta! Missione compiuta. Per
Giovanna oggi sono tre cimette di seguito, per me è un gradito ritorno dopo 14
anni, ma il piacere, come ho scritto in precedenza, è sempre nuovo. In vetta
incontriamo una bella coppia, lei è friulana di Codroipo, lui mezzo carnico e
mezzo austriaco. Fraternizziamo, il covid ha reso alcuni soggetti più
socievoli, e noi siamo tra questi. Lui mi ricorda una mia storia scritta tempo
fa, dove immaginavo l’amore in tempo di guerra. Il volto di una donna disegnato
da un soldato italiano e poi ritrovato e sposato dal medesimo soldato austriaco
che ha ucciso l’italiano in battaglia. Racconto le emozioni che provo, son
fatto così, sono pieno di entusiasmo, la vita è bella e va vissuta. Dopo aver passato una buona mezzoretta a
conversare con i nuovi amici, ci congediamo, loro rientrano e noi continuiamo a
permanere in cima, preparandoci per la pausa pranzo. Ficco sull’erba un
bastoncino da trekking, dove lego il vessillo che inizia a sventolare. Successivamente ci accomodiamo a oriente del
cippo, iniziando a consumare le provigioni e lasciandoci cullare dalla bellezza
del paesaggio. È naturale illustrare a Giovanna le varie cime, alcune ascese
assieme. Finita la sosta iniziamo la discesa, stavolta per i ripidi prati del
versante orientale. La magica fioritura incanta, ci fermiamo tante volte a
immortalare la fioritura dai mille colori. Tanta gioia dona la montagna, stiamo
attraversando il magico mondo visto svariate volte sui libri, adesso lo
viviamo, passo dopo passo, e non ci par che sia reale. Il sentiero 157 ci
conduce in basso, sino a incontrare la stradina campestre che aggirando il
versante orientale del monte Tamai accarezza la malga omonima. Un piccolo stagno
attira la nostra attenzione, è tremendamente artistico, ci divertiamo a fare le
foto, mentre Giovanna attraversa il margine settentrionale e proietta la
propria immagine rovesciata sullo specchio azzurro. Da uno scatto ho ideato e
immortalato la nuova copertina per il gruppo spiriti liberi. Un’immagine che
trasmette sensazioni oniriche. Se smetti di sognare è finita… Ma noi divagheremo
sempre, perché la vita è un sogno. Amiamo e fantastichiamo tutto ciò che racchiude
l’alito vitale, dalla formichina alla marmotta, dal gracchiante corvo alla
piccola ape gravata sul cartello di vetta, dalle fioriture estive al gioco
delle nubi, è tutto un divenire, e noi ne siamo i fortunati spettatori.
Raggiunta la malga Tamai, spero di trovare un sentiero. Siamo fortunati. Un
bellissimo e marcato cammino ci conduce al punto di partenza, mentre odiamo i
forti boati della tormenta che si sta avvicinando da occidente. Apprestiamo il
passo, ma par d’essere stato solo un preavviso, di seguito le nubi si diradano,
e noi raggiungiamo l’auto, lungo la discesa di una pista di sci. Superiamo una
coppia di anziani, entrambi hanno l’aspetto di sognatori, fosse siamo noi
proiettati in un futuro prossimo, o noi siamo il loro passato remoto. Chissà?
Quello che ci accomuna è la fantasia, e di non aver mai smesso di sognare.
Il forestiero Nomade.
Malfa.