Monte Gallo da Mondello.
Note tecniche.
Localizzazione: Mondello, quartiere turistico e balneare di
Palermo
Avvicinamento: Dal centro storico di Palermo prendere autobus
per Mondello, o seguire le indicazioni dei cartelli stradali dalla periferia
occidentale della città. Giunti a Mondello, ci si porta fino all’estremo della
zona balneare (spiaggia libera). DA qui si procede per la piazza(sirenetta)
proseguendo per la strada, che dalle pendici aggira il monte da nord a sud-est.
Con orientamento intuitivo si arriva alla base del vallone, caratterizzato da
villini abusivi disabitati, si procede per la carrozzabile che con pendenza
decisa sale al monte.
Dislivello: 527 m.
Dislivello complessivo: 600 m.
Distanza percorsa in Km: 10 km.
Quota minima partenza: quota 0.
Quota massima raggiunta: 527 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore.
In: Coppia.
Tipologia Escursione: escursionistica-naturalistica
Difficoltà: escursionistiche.
Segnavia: Personalizzati dall’artista, bolli rossi-stelle di
Davide, e mosaici di cuori.
Impegno fisico: basso.
Preparazione tecnica: bassa.
Attrezzature: no.
Croce di vetta: no.
Ometto di vetta: no.
Libro di vetta: no.
Timbro di vetta: no.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Sicilia - Tabacco.
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: ben e originalmente segnato
Fonti d’acqua: nessuna.
Consigliati:
Data:
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Malfa
Relazione-
L’altezza che ti edifica, così da oggi ricorderò
il monte Gallo, il bel promontorio che domina da ovest la periferia di Palermo
e il borgo di Mondello.
Come mi è nata l’idea di ascendere la
montagna? Così, per caso!
Su alcuni versanti del monte si scorgono
le abitazioni abusive che ne sfregiano la purezza, e questa triste visione mi rattrista.
Per l’ultima vacanza a Palermo, prima della
partenza, ho studiato la topografia del promontorio, portando al seguito una
mappa ben dettagliata. Ho sempre immaginato che l’ascesa si sviluppasse in un
ambiente brullo e assolato, e visto il modesto dislivello, l’escursione mi è
parsa fattibile. Alloggiando nel cuore del centro storico di Palermo, dispongo
di una molteplicità di mezzi pubblici per raggiungere la località, così in
accordo con Giovanna si decide di partire presto per questa piccola avventura.
Durante il percorso (primo tratto a
piedi) contempliamo i meravigliosi monumenti del centro storico, tra cui la cattedrale
e il palazzo Reale, finché raggiungiamo Piazza Indipendenza, sita fuori i bastioni
delle antiche mura settentrionali della città.
Alla fermata dei mezzi pubblici noto una
coppia di turisti, salgono con noi sul bus, sono giovani sposini ucraini, diretti
anche loro a Mondello. L’autista dell’autobus mi spiega che abbiamo sbagliato
mezzo, quello che porta alla nostra destinazione parte da tutt’altro luogo. Scendiamo
tutti e quattro in prossimità di Piazza Politeama (io faccio da guida), e stavolta
saliamo sul mezzo idoneo che ci porta a destinazione. L’autobus percorre le più
belle arterie della città, dalla via Libertà (nota nel periodo liberty e dei
Florio), al parco della Favorita, che ospita la Palazzina Cinese, edificata sul
finire dell’Ottocento dai Borboni.
Ma quello che mi colpisce non è tanto la
caratteristica e superba bellezza della metropoli e del circondario, quanto, la
multietnicità della gente, razzismo o intolleranza in questa mia terra non
mettono radice. Se credessi nell’esistenza di un dio, lo ringrazierei in eterno
per avermi fatto nascere e crescere in questa capitale, città che sin dai tempi
remoti ha fatto dell’accondiscendenza la sua più grande ricchezza.
Giungiamo a Mondello nella prima
mattinata, sul litorale una coppia di turisti orientali si diverte a
fotografarsi, la spiaggia è ancora deserta, tra poco la massa proveniente dalla
città la saturerà. Ci avviamo in direzione della piazzetta di Mondello,
caratterizzata dalla statua della sirenetta. Le pendici del monte Gallo
dominano il borgo, ne osservo le verticali pareti che danno sul rossiccio, evidentemente
è una roccia ricca di ferro. e aggiungo, anche di storia.
D‘istinto seguo una stradella che mi
porta a settentrione, essa è costeggiata da una fila di case posta ai piedi del
rilievo. Raggiungiamo il sito dove inizia la remota carrareccia che risale il monte
tramite un vallone. La ricchissima vegetazione mediterranea guida e aromatizza
il cammino, tra essi cito il ficodindia e i pini marittimi. La fioritura è prosperosa,
e soprattutto l’aria è inebriata da un’atmosfera d’altri tempi, che riportano i
miei ricordi all’infanzia. La stradina di campagna è ripida e fiancheggia una
serie di ville, che essendo abusive sono state sequestrate dalla magistratura, questo
scempio di cemento armato ha deturpato il fianco occidentale del monte. Tra i
muri di recinzione scorgo un basso rilievo che raffigura la stella di Davide (o
meglio lo scudo di David, o anche sigillo di Salomone), poi un'altra e un'altra
ancora. Rifletto, ignoravo che vi fosse a Palermo un complesso residenziale di
famiglie ebraiche. Una scritta “Via Santa” e un cuore in mosaico (con l’effige
di Cristo all’interno) mi ispirano un’altra ipotesi. Continuando a salire,
all’interno vallone, mi faccio un’idea approssimativa dei simboli che ho
incrociato. Sono realizzazioni kitsch e naif, e penso che siano opera di un
artista, forse un componente locale dell’arte Brut, camminando e vivendo lo
scopriremo.
La “Via Santa”, superato un cancello penetra
nella riserva del parco del monte, delle rumorose motoseghe attive sono la
chiara indicazione che gli operai addetti alla manutenzione del parco sono in
azione.
Con una serie di tornanti il paesaggio irradia
una visione sublime degna delle pennellate di Van Gogh, il dorato pendio, gli
smeraldi della vegetazione e il cielo color lapislazzuli lo rendono irreale.
Presto siamo tra le due elevazioni del monte, noi ci portiamo in direzione di
quella più alta. Un edificio posto in sommità attira la mia attenzione,
indagherò in seguito.
Presso un bivio, provvisoriamente
abbandoniamo la traccia principale, seguendone una esile dentro la pineta, essa
ci accompagna sul bordo del vertiginoso terrazzo che si aggetta nell’azzurro.
Siamo paurosamente esposti di quasi seicento metri sopra le verticali pareti
orientali del monte, dall’alto vediamo solo l’azzurro, non si discerne il cielo
dal mare, e ne siamo incantati. È un sogno a occhi aperti, i cuori rapiti da
cotanta meraviglia sono colmi di emozioni indescrivibili, solo questa visione è
valsa la fatica finora provata.
È duro rientrare sul sentiero principale
e lasciare tanto splendore, ma dobbiamo proseguire la perlustrazione. La lunga
serie di tornanti continua avvicinandoci sempre di più all’antico edificio
borbonico adibito un tempo a segnalatore (semaforo). Qualcuno ha ben segnato i
sentieri, sono assai curati. Pochi passi ancora ed eccoci in prossimità del
vecchio edificio, esso appare come una casermetta, la cui funzione era quella
di segnalare alle navi, una specie di faro posto sul pulpito più alto del monte
Gallo. Noto che la struttura non è disabitata, sulla parete orientale è montato
un trabiccolo su cui lavora un omino, penso che sia l’artista. L’uomo indossa un berrettino giallo, ha barba,
capelli (codino) e abiti bianchi, sente la mia presenza e rimane impassibile,
continuando il suo operato, cioè, quello di cementare piccoli tasselli sulla
parte verticale, ovvero la creazione di un mosaico. Aggiro l’edificio e noto
che è adornato da molteplici mosaici con i simboli delle tre religioni
principali. Entro dentro una stanza isolata dal corpo principale dell’edificio,
sembra l’interno di un tempio, c’è sacralità sulle pareti. La fattura
dell’opera è chiaramente naif, cuori giganteschi, stelle di Davide, angeli,
tutti uniti in un unico componimento che è l’edificio. Il risultato mi ricorda
le mega istallazioni artistiche che ho ammirato a Venezia durante la Biennale
d’Arte.
Sono convintissimo anche se erroneamente,
di trovarmi davanti ad un grande artista internazionale, che ha scelto come
studio-abitazione il bellissimo promontorio, trasformandolo in una grande opera
senza fine. Al rientro in città farò una ricerca sul web scoprendo che il
misterioso omino non è un artista internazionale ma bensì un eremita locale, di
seguito ho inserito l’articolo preso da un blog locale.
“si fa chiamare “Israele” l'eremita di
Capo Gallo, l'uomo che fa di nome Nino, da tredici anni vive nell'osservatorio
militare all'interno della riserva naturale alle porte di Palermo.
Cinquantacinque anni circa, sorriso sdentato, capelli lunghi e barba bianca incolta. Un cappello bianco e un paio di vecchi occhiali azzurri, riparati alla meno peggio con un filo di ferro. È un evento raro incontrare Israele, che fugge a nascondersi ogni volta che dall'alto del suo rifugio vede arrivare dei visitatori. Visitatori che non sono molti, ma che aumentano di anno in anno con il diffondersi di racconti sull'uomo che ha trasformato il vecchio osservatorio del XIX secolo in un santuario personale.
L'edificio, chiamato anche Semaforo, si trovava in uno stato di totale abbandono prima che l'eremita ne facesse la propria dimora. Da solo lo ha restaurato e decorato l'interno con fitti mosaici che mescolano simboli cristiani, ebraici e islamici. Le decorazioni non si limitano all'edificio, ma si estendono all'ambiente circostante e al percorso che dall'ingresso della riserva che dà su via Tolomea porta fino al santuario. Israele ha, infatti, disseminato quella che lui stesso ha ribattezzato “via Santa” di simboli, per guidare i viandanti lungo il tragitto.
Il santuario sarebbe, secondo il pensiero dell'asceta di Capo Gallo, la fonte di purificazione per le anime di chi compie questa versione apocrifa dell'acchianata di Santa Rosalia.
“La mia missione è quella di salvare le anime degli uomini”, spiega l'eremita, folgorato da una crisi mistica venticinque anni fa e che adesso si considera un profeta.
Tutto è iniziato, spiega l'uomo in un italiano stentato, nel 1985 quando ha ricevuto “la chiamata”. Ai tempi lavorava come muratore nel quartiere Zen di Palermo, anche se originario del Corso dei Mille dove si era guadagnato l'appellativo di “u Signuri”, proprio per il suo fervore religioso. Tredici anni fa la scelta di abbandonare moglie e figli e andare a vivere sul Monte Gallo. “Questo luogo ricorreva spesso nei miei sogni, fin da quando ero bambino”, spiega Israele, “ma non sapevo dove si trovasse. Venendo qui la prima volta ho capito subito che quei sogni avevano un significato e da lì è iniziata la mia missione”.
Senza luce elettrica né acqua, solo con un piccolo fornello a gas e una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. L'eremita vive con poco. Il cibo gli viene portato da alcuni visitatori, ma spesso è lui stesso ad abbandonare il rifugio per andare a fare provviste e per comprare colla, cemento e colori necessari alle sue opere. Nonostante Israele sia praticamente sconosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell'arte uno degli esponenti siciliani dell'Art Brut. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell'arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato. Irregolari vengono anche chiamati. E sicuramente irregolare è la vita di questo profeta dei nostri tempi”
Cinquantacinque anni circa, sorriso sdentato, capelli lunghi e barba bianca incolta. Un cappello bianco e un paio di vecchi occhiali azzurri, riparati alla meno peggio con un filo di ferro. È un evento raro incontrare Israele, che fugge a nascondersi ogni volta che dall'alto del suo rifugio vede arrivare dei visitatori. Visitatori che non sono molti, ma che aumentano di anno in anno con il diffondersi di racconti sull'uomo che ha trasformato il vecchio osservatorio del XIX secolo in un santuario personale.
L'edificio, chiamato anche Semaforo, si trovava in uno stato di totale abbandono prima che l'eremita ne facesse la propria dimora. Da solo lo ha restaurato e decorato l'interno con fitti mosaici che mescolano simboli cristiani, ebraici e islamici. Le decorazioni non si limitano all'edificio, ma si estendono all'ambiente circostante e al percorso che dall'ingresso della riserva che dà su via Tolomea porta fino al santuario. Israele ha, infatti, disseminato quella che lui stesso ha ribattezzato “via Santa” di simboli, per guidare i viandanti lungo il tragitto.
Il santuario sarebbe, secondo il pensiero dell'asceta di Capo Gallo, la fonte di purificazione per le anime di chi compie questa versione apocrifa dell'acchianata di Santa Rosalia.
“La mia missione è quella di salvare le anime degli uomini”, spiega l'eremita, folgorato da una crisi mistica venticinque anni fa e che adesso si considera un profeta.
Tutto è iniziato, spiega l'uomo in un italiano stentato, nel 1985 quando ha ricevuto “la chiamata”. Ai tempi lavorava come muratore nel quartiere Zen di Palermo, anche se originario del Corso dei Mille dove si era guadagnato l'appellativo di “u Signuri”, proprio per il suo fervore religioso. Tredici anni fa la scelta di abbandonare moglie e figli e andare a vivere sul Monte Gallo. “Questo luogo ricorreva spesso nei miei sogni, fin da quando ero bambino”, spiega Israele, “ma non sapevo dove si trovasse. Venendo qui la prima volta ho capito subito che quei sogni avevano un significato e da lì è iniziata la mia missione”.
Senza luce elettrica né acqua, solo con un piccolo fornello a gas e una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. L'eremita vive con poco. Il cibo gli viene portato da alcuni visitatori, ma spesso è lui stesso ad abbandonare il rifugio per andare a fare provviste e per comprare colla, cemento e colori necessari alle sue opere. Nonostante Israele sia praticamente sconosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell'arte uno degli esponenti siciliani dell'Art Brut. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell'arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato. Irregolari vengono anche chiamati. E sicuramente irregolare è la vita di questo profeta dei nostri tempi”
Rimarrò sorprendentemente stupito dalla
vera identità dell’omino, ma ignorando il tutto, gli grido dal basso un
:<<Ti voglio bene!>> a cui mi risponde con un gesto della mano. Nel
frattempo, sopraggiunge Giovanna, ammiriamo l’artista all’opera per poi
spostarci sul meraviglioso terrazzo panoramico che si aggetta a strapiombo
sugli azzurri. Il luogo è strabiliante, commuove per la bellezza. Decidiamo di
proseguire per l’altra cima di poco più bassa e posta poco più avanti. Salutiamo
a voce l’eremita, che anche stavolta risponde con un laconico movimento della
mano.
Seguendo gli evidenti sentieri
raggiungiamo un altro pulpito panoramico, prima di pervenire alla cima
secondaria. Purtroppo, riscontriamo tracce di un recente rogo che ha devastato
la sommità, le palme nane ridotte a carboncini fanno tenerezza. Il cammino è
angusto, non ci sono ometti e nessun simbolo, la superfice è accidentata con
pietre aguzze e in essa ci muoviamo come fachiri, finché piantiamo i bastoncini
sulla quota più alta. Il paesaggio ammirato dal vertice è unico e appassionante,
la città è lontana e inebriata da leggere velature, il Monte Pellegrino appare
come un gigante dormiente che la protegge. Molteplici sfumature d’azzurro si
fondono in un turbinio di venature, tutta la gamma cromatica del celestiale
colore può essere ammirata a occhio nudo, mare e cielo sono sposati e in questa
visione ci perdiamo.
La fame si fa sentire, decidiamo di
abbandonare la cima e trovare in basso, nella pineta, un comodo luogo dove
poterla saziare. Il profumo della natura è intenso e la leggera frescura ci dà sollievo.
Dopo aver consumato il pasto iniziamo la discesa, sino al borgo di Mondello,
dove decidiamo di fare un bagno rigenerante nella fresca e trasparente acqua
del golfo. Questo sublime immergersi nell’acqua del più bel mare del
palermitano, è la ciliegina sulla torta, essa si aggiunge a compimento di una
splendida giornata passata all’insegna della natura e dell’arte. Soddisfatti ed
estasiati rientriamo nel capoluogo a mezzo pubblico, con una cima conquistata e
una nuova storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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