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sabato 4 maggio 2019

Monte Pizzoc (1565 m.) da Malga Mezzomiglio (Alpago).


      Monte Pizzoc (1565 m.) da Malga Mezzomiglio (Alpago).
                         
Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi - Prealpi Venete - Gruppo Col Nudo Cavallo
Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale Val cellina- Barcis- Cimolais-Erto-Longarone- Alpago-Farra Alpago- Pianture- Indicazioni per la Malga Mezzomiglio- Lasciare l’auto presso lo spiazzo sul monte Peterle. Dirimpetto la cappella votiva dedicata a Sant’Anna (1220 m. quota).
Località di Partenza: Cappella votiva dedicata a Sant’Anna (1220 m. quota).

Dislivello: 350 m.


 Dislivello complessivo: 350 m.


Distanza percorsa in Km: 20 chilometri.


Quota minima partenza: 1220 m.

Quota massima raggiunta: 1265 m.

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4,5 ore
In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Storico -ambientalista-

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionistiche.
Segnavia CAI H3
Impegno fisico: Medio
Preparazione tecnica: Bassa.
Attrezzature: No.

Croce di vetta: Si.
Ometto di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli-Venezia Giulia – Tabacco 012
Bibliografici:
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: ben marcato e segnato
Fonti d’acqua: Si.
Consigliati:
Data:  27 aprile 2019
Il “Forestiero Nomade”
Malfa


 

Da tempo volevo incontrare il mio amico lupo, nella sua tana e da soli, consapevole di non essere sbranato, anzi, avrei insieme a lui camminato per un sentiero, aprendo i nostri cuori e affidando le parole al vento, e così è stato.

Il mio caro lupo mi aspetta nell’Alpago, una terra tanto ospitale per chi sa udire il silenzio. Ci incontriamo in una frazione, e sotto un campanile di remota memoria, insieme alla sua fedele e unica amica.

Mi accompagna sino alla tana, tanto piccina ma confortevole, il tempo di lustrarci il pelo e usciamo per una battuta di caccia, a cerca di ricordi e risposte.

Indossati gli abiti da trekking si parte! Siamo due belve con le cicatrici del vissuto, ma consapevoli di essere ancora tra i vivi, e con un solo sogno, amare. Iniziamo il passo con un sorriso, spento solo per chi non ha mai voluto leggere il nostro cuore.

Il sentiero porta alla valle del paradiso, li incontriamo un branco di mufloni, tanto arditi da sfidarci a seguirli, ma noi andiamo nella direzione del vento del cuore. Per un tratto ci arrampichiamo su un pendio abbastanza ripido, le nuvole corvine e la bassa temperatura ci consigliano di rientrare nella tana e di continuare la caccia dei sogni accanto allo scoppiettante fuoco del caminetto, naturalmente accompagnati da un buon rosso.

La pioggia calda e scrosciante arriva e ci sorprende poco prima che noi raggiungiamo il riparo, e in essa perdiamo le lacrime che avremmo voluto far sbocciare. Raggiunta la casera, ci liberiamo degli abiti inzuppati, per indossarne altri.

Il dì scorre lento e soave, abbiamo il tempo di conversare e svuotare dall’animo le pene che ci tormentano, per poi svelare i nostri desideri ancora intatti, che purtroppo in pochi sanno comprendere.

Confesso all’amico, lupo di montagna e mare, che in lui ho visto me proiettato nel futuro e che anelavo questo incontro come una catarsi. Mi sorride, c’è complicità nel suo sguardo, metaforicamente ci scopriamo, denudiamo, e vestiamo con abiti puliti, stavolta privi delle toppe del passato.

Alle mie domande cercavo risposte che ho trovato. Ho compreso chi sono, un lupo grigio che a volte pensa fin troppo e si perde, elargendo perle ai porci, amara ma sincera considerazione, un j’accuse.

Nella tarda notte l’amico mi accompagna nel mio confortevole giaciglio per riposare le membra. Il mattino seguente, dopo il canto del gallo, vorrei trattenermi, ma intuisco che i lupi devono andare a caccia; lui del suo tempo e io di altre risposte; quindi volgendo lo sguardo a sud e verso la luce, gli chiedo il nome di quella determinata elevazione, mi risponde rendendomi edotto. Si tratta del Monte Piccoz, e attraverso la mappa mi illustra il tragitto da fare. Lascio la tana del caro lupo con un forte e fraterno abbraccio e un arrivederci nell’azzurro mare. Un filo di malinconia mi avvolge, parto! Percorro le stradine dell’Alpago, un luogo mistico che rapisce lo spirito, ho il cuore colmo di pensieri a cui devo dare ordine e ho assolutamente bisogno di camminare.

Raggiungo grazie alle indicazioni avute il pulpito panoramico di Sant’Anna, sosto l’auto dentro una staccionata presso l’omonima cappella.

Il paesaggio è divinamente bucolico, i verdi e luminosi prati accompagnano lo sguardo sino alle lontane cime dolomitiche, vivo un autentico incanto, mi desto, indosso gli scarponi e mi preparo per l’escursione.

Una volta pronto mi avvio verso sud, cavalcando la dolce elevazione e dopo pochi metri sono al rifugio di Mezzomiglio, da qui diparte il sentiero chiamato H3.

Lasciato il selciato ora sono per sentiero, tre figure mi seguono, mi lascio superare, ci si ignora, penso di essere diventato invisibile. Vuoi vedere che sono morto a mia insaputa?

Proseguo per i verdi colli tra cui il Col de la Feda, la visione è stupenda, sembra di vagare in paradiso.  La traccia devia a sinistra, abbandono i colli per seguire una pista che si addentra in un avvallamento. Davanti ho sempre le losche figure, mi precedono di un centinaio di metri. Mi ritrovo ai margini del bosco del Cansiglio, autentico gioiello naturalistico confinato tra il Friuli e il Veneto.

Superati alcuni laghetti carsici, decido di perdere volontariamente la pesta e cavalcare liberamente le creste adorne di bellissimi faggi.

 Conseguendo quota ritrovo il sentiero perso in precedenza, lo seguo, mi porta fino a una cresta, che si aggetta a valle, penso di aver sbagliato qualcosa; degli escursionisti sopraggiunti mi confermano che anche loro dovendo fare il mio giro hanno errato la via.

Ritorno di pochi metri indietro e su un faggio scorgo una targa con la giusta indicazione, bene. Percorro con lena il sentiero che aggira l’elevazione (monte Millifret), fino a sbucare alle porte di un arcaico villaggio. I rupestri resti dei ruderi mi indicano che sin dalla preistoria questo sito era dimorato. Il campo visivo si apre a una sequenza di verdi prati e all’umanità che preferisce raggiungere le cime tramite mezzi diversi dagli scarponi.

Percorro una carrareccia e incrocio dei giovani tanto mesti e soli, intenti a chattare, con il volto incappucciato e nascosto dietro occhiali scuri. Immagine tormentata, come se fossero sopravvissuti a una guerra post-atomica.

Passo poco sotto il rifugio di Casera Pizzoc, delle motociclette sostano all’esterno del locale e numerosi centauri passeggiano su e giù per la carrareccia che congiunge l’edificio alla vetta del Pizzoc.

Con la mia tenuta da viandante sono fuori luogo. Porto zaino, bandana, scarponi e il passo claudicante a causa di due menischi che sopporto stoicamente. Il rifugio Vittorio Veneto è raggiungibile anche comodamente in auto dal Cansiglio. La Cima è un ex base militare e dalla forma artificiale, cioè un gigantesco spiazzo dove gli indomiti fedeli hanno ricavato anche un altare a cielo aperto, e a rendere il tutto ancora più tetro contribuiscono le nuvole cupe che promettono pioggia.

Avverto una situazione di disagio, e l’umanità depressa che avvisto rende il tutto angosciante, devo assolutamente lasciare il luogo e rientrare, scappare, anche la natura me lo suggerisce.

Nel medesimo istante che lascio la vetta il vento sospinge lontano le nuvole, così donandomi un cielo azzurro e un caldo sole, non bisogna essere dei geni per capire il messaggio con morale che ho captato. Devo tenere caro quello che possiedo, perché è unico e difficile da raggiungere e starmene lontano da tutto quello che si trova con facilità, perché portatore di infelicità.

Rientro per lo stesso sentiero dell’andata, anche se in un paio di occasioni (distratto dai pensieri) mi sono perso e poi ritrovato. Raggiunti i verdi colli che precedono il Colle della Fede, noto degli enormi massi accatastati, e una lapide a testimonianza dell’eccidio commesso dai nazifascisti il 31 agosto del 1944. Eroiche vite stroncate dal Piombo nazista e caduti per la Patria, questa lapide sa di beffa, vorrei dire: << Coglioni, perché cazzo lo avete fatto? Vi siete fatti fottere per un’idea di Libertà.>> In silenzio religioso sosto davanti ai nomi che leggo uno ad uno, immagino i loro volti sprezzanti della morte, erano lupi, alla ricerca di un sogno. Grazie eroi, grazie infinitamente di quello che avete donato, siete volati via ancora giovani, con una sacra motivazione. Gli sfortunati non siete stati voi, ma noi che agiamo in una vita insignificante.

Riprendo il cammino verso l’auto, con il cuore colmo di pensieri, ma stavolta libero come i partigiani. Loro sono morti per un ideale nobile, io libero da qualcosa di immondo che non merita nemmeno di essere citato. Ora finalmente sono rinato e da lupo riprendo a vagabondare per i sentieri della vita.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.




































































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