Monte Pizzoc
(1565 m.) da Malga Mezzomiglio (Alpago).
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi - Prealpi
Venete - Gruppo Col
Nudo Cavallo
Avvicinamento: Lestans-Maniago- Montereale Val cellina-
Barcis- Cimolais-Erto-Longarone- Alpago-Farra Alpago- Pianture- Indicazioni per
la Malga Mezzomiglio- Lasciare l’auto presso lo spiazzo sul monte Peterle.
Dirimpetto la cappella votiva dedicata a Sant’Anna (1220 m. quota).
Località di Partenza: Cappella votiva dedicata a Sant’Anna
(1220 m. quota).
Dislivello: 350 m.
Dislivello
complessivo: 350 m.
Distanza percorsa in Km: 20 chilometri.
Quota minima partenza: 1220 m.
Quota massima raggiunta: 1265 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4,5 ore
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Storico -ambientalista-
Difficoltà: Escursionistiche.
Segnavia CAI H3
Impegno fisico: Medio
Preparazione tecnica: Bassa.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: Si.
Ometto di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli-Venezia Giulia – Tabacco 012
Bibliografici:
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: ben marcato e segnato
Fonti d’acqua: Si.
Consigliati:
Data: 27 aprile 2019
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Da tempo volevo
incontrare il mio amico lupo, nella sua tana e da soli, consapevole di non
essere sbranato, anzi, avrei insieme a lui camminato per un sentiero, aprendo i
nostri cuori e affidando le parole al vento, e così è stato.
Il mio caro
lupo mi aspetta nell’Alpago, una terra tanto ospitale per chi sa udire il
silenzio. Ci incontriamo in una frazione, e sotto un campanile di remota
memoria, insieme alla sua fedele e unica amica.
Mi
accompagna sino alla tana, tanto piccina ma confortevole, il tempo di lustrarci
il pelo e usciamo per una battuta di caccia, a cerca di ricordi e risposte.
Indossati gli
abiti da trekking si parte! Siamo due belve con le cicatrici del vissuto, ma consapevoli
di essere ancora tra i vivi, e con un solo sogno, amare. Iniziamo il passo con
un sorriso, spento solo per chi non ha mai voluto leggere il nostro cuore.
Il sentiero
porta alla valle del paradiso, li incontriamo un branco di mufloni, tanto
arditi da sfidarci a seguirli, ma noi andiamo nella direzione del vento del
cuore. Per un tratto ci arrampichiamo su un pendio abbastanza ripido, le nuvole
corvine e la bassa temperatura ci consigliano di rientrare nella tana e di continuare
la caccia dei sogni accanto allo scoppiettante fuoco del caminetto, naturalmente
accompagnati da un buon rosso.
La pioggia
calda e scrosciante arriva e ci sorprende poco prima che noi raggiungiamo il
riparo, e in essa perdiamo le lacrime che avremmo voluto far sbocciare. Raggiunta
la casera, ci liberiamo degli abiti inzuppati, per indossarne altri.
Il dì scorre
lento e soave, abbiamo il tempo di conversare e svuotare dall’animo le pene che
ci tormentano, per poi svelare i nostri desideri ancora intatti, che purtroppo
in pochi sanno comprendere.
Confesso
all’amico, lupo di montagna e mare, che in lui ho visto me proiettato nel futuro
e che anelavo questo incontro come una catarsi. Mi sorride, c’è complicità nel
suo sguardo, metaforicamente ci scopriamo, denudiamo, e vestiamo con abiti
puliti, stavolta privi delle toppe del passato.
Alle mie
domande cercavo risposte che ho trovato. Ho compreso chi sono, un lupo grigio
che a volte pensa fin troppo e si perde, elargendo perle ai porci, amara ma
sincera considerazione, un j’accuse.
Nella tarda
notte l’amico mi accompagna nel mio confortevole giaciglio per riposare le
membra. Il mattino seguente, dopo il canto del gallo, vorrei trattenermi, ma intuisco
che i lupi devono andare a caccia; lui del suo tempo e io di altre risposte;
quindi volgendo lo sguardo a sud e verso la luce, gli chiedo il nome di quella determinata
elevazione, mi risponde rendendomi edotto. Si tratta del Monte Piccoz, e
attraverso la mappa mi illustra il tragitto da fare. Lascio la tana del caro
lupo con un forte e fraterno abbraccio e un arrivederci nell’azzurro mare. Un
filo di malinconia mi avvolge, parto! Percorro le stradine dell’Alpago, un luogo
mistico che rapisce lo spirito, ho il cuore colmo di pensieri a cui devo dare
ordine e ho assolutamente bisogno di camminare.
Raggiungo
grazie alle indicazioni avute il pulpito panoramico di Sant’Anna, sosto l’auto
dentro una staccionata presso l’omonima cappella.
Il paesaggio
è divinamente bucolico, i verdi e luminosi prati accompagnano lo sguardo sino alle
lontane cime dolomitiche, vivo un autentico incanto, mi desto, indosso gli
scarponi e mi preparo per l’escursione.
Una volta
pronto mi avvio verso sud, cavalcando la dolce elevazione e dopo pochi metri
sono al rifugio di Mezzomiglio, da qui diparte il sentiero chiamato H3.
Lasciato il
selciato ora sono per sentiero, tre figure mi seguono, mi lascio superare, ci
si ignora, penso di essere diventato invisibile. Vuoi vedere che sono morto a
mia insaputa?
Proseguo per
i verdi colli tra cui il Col de la Feda, la visione è stupenda, sembra di vagare
in paradiso. La traccia devia a
sinistra, abbandono i colli per seguire una pista che si addentra in un avvallamento.
Davanti ho sempre le losche figure, mi precedono di un centinaio di metri. Mi ritrovo
ai margini del bosco del Cansiglio, autentico gioiello naturalistico confinato
tra il Friuli e il Veneto.
Superati
alcuni laghetti carsici, decido di perdere volontariamente la pesta e cavalcare
liberamente le creste adorne di bellissimi faggi.
Conseguendo quota ritrovo il sentiero perso in
precedenza, lo seguo, mi porta fino a una cresta, che si aggetta a valle, penso
di aver sbagliato qualcosa; degli escursionisti sopraggiunti mi confermano che
anche loro dovendo fare il mio giro hanno errato la via.
Ritorno di
pochi metri indietro e su un faggio scorgo una targa con la giusta indicazione,
bene. Percorro con lena il sentiero che aggira l’elevazione (monte Millifret), fino
a sbucare alle porte di un arcaico villaggio. I rupestri resti dei ruderi mi
indicano che sin dalla preistoria questo sito era dimorato. Il campo visivo si apre
a una sequenza di verdi prati e all’umanità che preferisce raggiungere le cime tramite
mezzi diversi dagli scarponi.
Percorro una
carrareccia e incrocio dei giovani tanto mesti e soli, intenti a chattare, con
il volto incappucciato e nascosto dietro occhiali scuri. Immagine tormentata, come
se fossero sopravvissuti a una guerra post-atomica.
Passo poco
sotto il rifugio di Casera Pizzoc, delle motociclette sostano all’esterno del
locale e numerosi centauri passeggiano su e giù per la carrareccia che
congiunge l’edificio alla vetta del Pizzoc.
Con la mia
tenuta da viandante sono fuori luogo. Porto zaino, bandana, scarponi e il passo
claudicante a causa di due menischi che sopporto stoicamente. Il rifugio
Vittorio Veneto è raggiungibile anche comodamente in auto dal Cansiglio. La
Cima è un ex base militare e dalla forma artificiale, cioè un gigantesco spiazzo
dove gli indomiti fedeli hanno ricavato anche un altare a cielo aperto, e a
rendere il tutto ancora più tetro contribuiscono le nuvole cupe che promettono
pioggia.
Avverto una
situazione di disagio, e l’umanità depressa che avvisto rende il tutto angosciante,
devo assolutamente lasciare il luogo e rientrare, scappare, anche la natura me
lo suggerisce.
Nel medesimo
istante che lascio la vetta il vento sospinge lontano le nuvole, così donandomi
un cielo azzurro e un caldo sole, non bisogna essere dei geni per capire il
messaggio con morale che ho captato. Devo tenere caro quello che possiedo,
perché è unico e difficile da raggiungere e starmene lontano da tutto quello
che si trova con facilità, perché portatore di infelicità.
Rientro per
lo stesso sentiero dell’andata, anche se in un paio di occasioni (distratto dai
pensieri) mi sono perso e poi ritrovato. Raggiunti i verdi colli che precedono
il Colle della Fede, noto degli enormi massi accatastati, e una lapide a
testimonianza dell’eccidio commesso dai nazifascisti il 31 agosto del 1944. Eroiche
vite stroncate dal Piombo nazista e caduti per la Patria, questa lapide sa di
beffa, vorrei dire: << Coglioni, perché cazzo lo avete fatto? Vi siete
fatti fottere per un’idea di Libertà.>> In silenzio religioso sosto
davanti ai nomi che leggo uno ad uno, immagino i loro volti sprezzanti della
morte, erano lupi, alla ricerca di un sogno. Grazie eroi, grazie infinitamente
di quello che avete donato, siete volati via ancora giovani, con una sacra motivazione.
Gli sfortunati non siete stati voi, ma noi che agiamo in una vita insignificante.
Riprendo il
cammino verso l’auto, con il cuore colmo di pensieri, ma stavolta libero come i
partigiani. Loro sono morti per un ideale nobile, io libero da qualcosa di
immondo che non merita nemmeno di essere citato. Ora finalmente sono rinato e da
lupo riprendo a vagabondare per i sentieri della vita.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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