Cima Mogenza
Piccola dalla Val del Rio del Lago
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Giulie, gruppo del Jof Fuart.
Avvicinamento:
Gemona-Chiusaforte- Sella Nevea- Direzione Cave di Predil-Ponte sul Rio Bianco.
(m 989, cartello CAI, piccolo spiazzo a destra o parcheggio presso il Rio della
Trincea).
Località di
Partenza: Piccolo spiazzo a destra o parcheggio presso il Rio della Trincea).
Dislivello: 1017
m.
Dislivello complessivo: 1017 m.
Distanza
percorsa in Km: 10 chilometri.
Quota minima
partenza: 1000 m.
Quota
massima raggiunta: 1946 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Storica Escursionistica.
Difficoltà: Escursionisti Esperti, un canalino di cinque metri
con difficoltà di primo più, fittoni e
corda presenti.
Segnavia: CAI
646
Impegno
fisico: Medio basso.
Preparazione
tecnica: Media-bassa
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia-Tabacco 019
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Da evitare
da farsi in:
Condizioni
del sentiero: Ben segnato, anche se in molti tratti del bosco andrebbero
manutenzionati.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Consigliati:
Data: venerdì
21 settembre 2018.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
La Mongenza
non mi volle, mi disse:<<Forestiero oggi non sono pronta a riceverti,
potrei farti male>>. Nella notte mi venne in sogno, mi mostro il camino bagnato
del mio sangue. Al mattino mi svegliai trepidante, ma non volli cambiare idea, finché
giungendo a Sella Nevea, sentii ancora la sua voce, sussurrarmi:<<Non ti
voglio, oggi no, ti prego, non insistere.>> Essa fu convincente, non
proseguii nella direzione, ma ovviai per il monte Robon.
Dopo
l’ascesa sul Montasio dimenticai l’amarezza del precedente rifiuto, la regina
delle Giulie mi ha dato tanto, soprattutto fiducia nelle mie mani. Ho deciso di offrire le mie attenzioni alla
Mogenza Piccola. Confortato dall’assenza di sogni malauguranti, ci riprovo.
Arrivo in
piena notte nella valle del Rio del Lago, luna e stelle sono spente, esco
dall’abitacolo, avverto per un attimo la paura, percependo tra la selva la
presenza di belve. Successivamente mi rincuoro, sorrido, penso che i più grandi
misfatti avvengono quasi sempre alla luce del sole. Aspettando che l’aurora
abbondoni il talamo di morfeo, indosso gli scarponi e preparo le armi, sono
pronto. << Cielo mostrami le ombre dei monti, ho voglia di raggiungere la
signora.>>
Aspetto che
schiarisca, impiegando il tempo a controllare il materiale, finché mi decido a
guadare il letto del rio, metro dopo metro aumenta la visuale, ora riesco a distinguere
lo skyline dei monti.
L’aurora stavolta
mi è complice, mi guida dentro il bosco e passo dopo passo mi illumina il
cammino; mi accarezza le spalle come solo lei sa fare, donandomi infinita dolcezza.
C’è un unico sentiero, non posso errare, vado dritto fino al bivio.
Le ombre dei faggi giocano assieme agli
scheletri degli estinti alberi a confondermi, il rosso e bianco dei segni non è
sempre ben distinguibile, vado avanti e non mi fermo.
La notte ora
sosta dall’altra parte del pianeta, un’intensa luce abbraccia il vallone, la
temperatura è elevata, non tolgo il gilet per non prendere un colpo di freddo,
ma questo non mi giova.
Una lunga
serie di tornanti nel il bosco mi permette di guadagnare quota, abbandonata la
selva finalmente inizio a vedere le rocce. Prominenti sono la Movenza alta e la
sorellina. Il sentiero mi spinge sotto l’enorme bancata rocciosa del versante
orientale della Mogenza Piccola. Percorro la traccia che mira a un insellamento
che una volta vicino scopro di trattarsi di un labirinto carsico. I segni eccedono
e danno sicurezza, cammino sopra la bianca roccia erosa dall’acque, sfiorando le
orrende voragini carsiche; su alcune talora bisogna passare in equilibrio come
funamboli.
Raggiungo la
crestina circondata da manufatti bellici, la meta è a sinistra, ben
distinguibile dal crinale ornato da mughi. Dopo aver visitato un manufatto
bellico seguo gli esigui bolli, calandomi su un piano inclinato e sforacchiato,
sto molto attento, perché cammino sul
ciglio delle impressionanti voragini carsiche, non vorrei fare la fine del
sorcio. Sono attratto dalla signora, tanto impaziente e non percepisco nemmeno
il pericolo, mi spingo verso di lei, avrò modo al ritorno di ammirare il
tappeto carsico.
Giunto alla base di un camino, vedo per la
prima volta lo scorcio di roccia che mi venne in sogno come un incubo, il punto
chiave dell’escursione. Davanti al suo cospetto ne studio l’ostacolo, e guardando
la signora con un sorriso carico di amarezza le dico:<<Perché mi ha detto
no? Sei proprio come quelle donnine viziate e arroganti, ti fai
desiderare!>>
Non manca
molto alla vicina vetta, quindi lascio lo zaino e un bastoncino nell’incavo in
basso al camino, infilo i guanti (non si dica che non uso metodi galanti) e
parto. Si tratta di cinque metri da superare con l’aiuto di fittoni in metallo
e una corda, e in più non mancano appigli e appoggi, direi un primo grado più.
Superato con
facilità l’ostacolo, mi avvio alla meta tra i resti di manufatti militari e
conformazioni carsiche tra cui uno spacco dalla antropomorfa forma tanto da me divinizzata.
L’istinto mi porta a entrare nella bianca fenditura, e carezzare le pareti
umide che sento calde, paragono il tutto alla penetrazione dell’anima, oltre mi
aspetta il sole nascente. Ricalco a ritroso i miei passi continuando il
cammino.
Raggiunta
una forcella tra i manufatti bellici, i segni del sentiero CAI proseguono a
sinistra, seguo gli ometti voltando a destra, intuisco che conducono alla
sommità. Supero alcuni tratti esposti ma non difficili. Tra mughi e resti di
fortificazione arrivo nei pressi della vetta, pochi metri ancora e sono al dinanzi
al piccolo e grazioso ometto della cima. Fatta!
Il cielo è
terso, riesco a vedere chiaramente tutte le meravigliose elevazioni delle
Giulie. Mi viene un ardito desiderio che assecondo, mi denudo totalmente! Dispongo
con cura gli abiti, in modo che nel rivestirmi non perderò tempo. Che bello adocchiare
gli scarponi senza me dentro, la biancheria è accanto all’ometto e sullo sfondo
spiccano: il Montasio, il Canin, Il Mangart e il Fuart. Sto bene al naturale,
chi se ne frega del pudore, oggi di sicuro, su non verrà nessuno, e poi sulla Mogenza
Piccola? I più le preferiscono altezze più blasonate.
Cammino a
piedi nudi sulla nuda roccia mista a erba, avverto sensazioni divine, è così
spiritualmente terapeutico! Ai mal pensanti scrivo: codesto comportamento non è
mero esibizionismo, è solo un desiderio, che ben pochi hanno il coraggio di
attuare. La morale l’ho lasciata in auto, tornerò a indossare la maschera della
nullità una volta raggiunta la pianura. Passata una buona mezz’ora di contemplazione
dedicata alle bianche Giulie, mi rivesto, preparandomi per il rientro. Controllo
prima di ripartire che non abbia dimenticato nulla e mi avvio all’auto più veloce
della luce. Il camino (il punto chiave) in discesa è ancora più divertente che
in salita, con tre mosse ben calcolate sono giù.
Ripreso lo
zaino mi avvio al rientro, a ritroso ripercorro il sentiero dell’andata senza
annotare nulla di particolare, tranne un pensiero fisso che mi tormenta durante
la discesa. La conquista della Mogenza Piccola non mi ha caricato ed entusiasmato,
anzi, mi ha lasciato un vuoto dentro, è come se fossi andato a fare sesso con
una meretrice di basso borgo. La signora si è fatta anelare, per poi rivelarsi
poca cosa in confronto alle sue colleghe. La mia non vuol essere una critica, è
semplicemente una constatazione. Sicuramente mi sono posto delle aspettative
che si sono poi palesate cocenti delusioni.
Dopo la
Grande Cengia e il Canalone Findenegg, il mio approccio con la montagna è
cambiato, non ho mai amato le corde per farmi sicurezza, è come fare l’amore
con il condom. Adoro il contatto con la nuda roccia, la voglio cogliere, voglio
sentire il muto respiro e il suo desiderio, e per questa causa dobbiamo osare entrambi.
Sul piatto del rischio io depongo la mia vita e lei la sua reputazione, la vita
è così, prendere o lasciare! Le cose facili lasciamole a chi si contenta di
essere a sua insaputa spensierato. L’amore è dolore, tanto tormento, come lo è il
partorire, e lo stesso lo è la creazione di un’opera.
Un’esistenza
senza pathos è paragonabile al vegetare di una pianta acquatica, sospesa tra
l’acqua e il cielo. Una fiamma che si consuma lentamente non fa una grande
luce…
Con queste riflessioni, raggiungo l’auto, il
rombo delle moto mi avvisa che non è più tempo di sognare. Con un'altra cima
conquistata e una storia da raccontare rientro a valle, alla ricerca di una
fresca fonte dove poter lenire i pensieri.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.