Creta delle
Cjanevate dal Passo di Monte Croce Carnico.
Note tecniche.
Avvicinamento:
Tolmezzo- Arta Terme, Paluzza Timau-Passo di Monte Croce Carnico.
Punto di
Partenza: Passo di Monte Croce Carnico 1360 m.
Dislivello:
1400 m.
Dislivello
complessivo: 1500 m.
Distanza
percorsa in Km: 20 km.
Quota minima
partenza: 1360 m.
Quota
massima raggiunta: 2769 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 8 ore.
In: Solitaria,
poi coppia.
Tipologia Escursione: Storico-Escursionistica
Difficoltà: Escursionisti Esperti Attrezzato.
Impegno
fisico: Alto.
Preparazione
tecnica: media.
Attrezzature:
Si.
Croce di
vetta: Si.
Ometto di
vetta: Si
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No
Riferimenti:
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia
Bibliografici:
Internet:
Periodo
consigliato: luglio-settembre
Da evitare
da farsi in: Con terreno gelato o pioggia
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato, attrezzature nuove di zecca.
Fonti d’acqua:
Nessuna dopo lo stivale.
Consigliati:
Tanta acqua.
Data: Martedì
31 luglio 2018
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
La Creta
delle Cjanevate è stata la mia ossessione per tanti anni. La prima volta la
vidi durante l’ascesa al monte Coglians, da allora è diventata il mio chiodo
fisso. Tre anni fa, in una giornata afosa tentai l’impresa, salendo
direttamente per la Cresta verde e la Creta di Collina (percorso alpinistico). Al
momento di tentare la Cjanevate mi intimidii, nel vederla ebbi un sussulto e tanta
inquietudine, ero con Graziano, lui voleva proseguire, ma a causa mia rinviò l’impresa.
Per l’uscita
odierna avevo chiesto a un caro amico di farmi da tutor, ma gli avvenimenti che
si sono susseguiti hanno cambiato tutti i piani. L’altra sera mentre leggevo un
libro di montagna ho sentito il richiamo della Cjanevate che mi invita al suo
cospetto; timbro di voce sensuale, caldo, ed erotico…mi vuole e non accetta ripudi.
Così, sedotto dall’invito, preparo lo zaino.
Il mattino
dopo, di buon’ora, sono al passo di Monte Croce Carnico, nel parcheggio solo un
nutrito numero di camper. Nel cielo che
si tinge di azzurro e spicca la luna piena, essa mi fa l’occhiolino e mi parla:
<<Vai forestiero, non fermarti, essa ti aspetta, hai saputo pazientare e verrai
premiato. Tra le montagne è la più preziosa, difficilmente ama concedersi a
coloro che non l’amano, a volte le fanno
violenza non ascoltando il suo cuore. Gli stolti, ignari di tale sopruso, si vantano
di averla sedotta, per poi biasimarla. Essa, spesso per la vergogna si nasconde
nella nebbia. Oggi sarà tua, la troverai nuda come mai nessuno l’ha vista, non
aver fretta, non correre, conquistala dapprima con le tue attenzioni ed essa
saprà ricambiarti, offrendosi fino al tramonto. Ora vai Forestiero, vivi,
vivila… è tua!>> Così dicendo, la luna si congeda da me, rifacendomi
l’occhiolino.
Tutto questo
sentire ha ingrandito a dismisura il mio desiderio di seduzione. Mi preparo, la
temperatura, malgrado mi trovi su a una certa quota, è calda, non tira un filo
d’aria. Una volta pronto parto, l’orologio segna le 06:00, azzero il GPS e cammino
per il sentiero CAI 146 che porta al rifugio Marinelli.
Percorro la
carrareccia di guerra, dopo i primi tornanti mi ritrovo nel vallone da dove
posso ammirare le ancelle che precedono la regina dei monti del Friuli, ovvero la
Creta di Collinetta, la Cresta Verde e la Creta di Collina. Il Sole fa capolino,
accarezzando caldamente con le propaggini dei suoi caldi raggi la raminga luna
che si appresta a entrare nel regno di Morfeo.
Mi trovo
vicino lo stivale, lascio il sentiero per il Marinelli e devio a destra,
percorrendo la poco marcata traccia per la Creta di Collina (sentiero CAI 171°).
Evito di bere e cammino lento, per preservare acqua
ed energie. A metà pendio erboso mi volto indietro e scorgo un escursionista
solitario, ha il mio stesso passo; spesso si ferma per ammirare il paesaggio,
poi riprende il cammino, sembra un novello Don Abbondio, malgrado cerchi di
attirare la sua attenzione non mi ha scorto ancora.
Sono
contento, forse troverò una compagnia, o forse no. Rallento di proposito, finché
mi raggiunge. Ha al seguito attrezzatura minimalista, veste con cappello da
sole tipo pescatore, T-shirt bianca con disegno frontale, pantalone e cinghia da
operaio, direi proprio uno che non segue per nulla il glamour di certi ambienti
montani. Ci presentiamo, si chiama Moreno, vive a Bologna ma è nativo di
Ferrara. Uno dei camper che avevo visto alla partenza è di sua proprietà, in
pochi minuti effettuiamo una profonda conoscenza, con uno scambio velocissimo di
informazioni da fare invidia ai moderni computer.
Di
esperienze in montagna ne ha fatte l’amico, l’avermi citato la via della vita presso
il Mangart, ed in solitaria, è un eccellente biglietto da visita, inoltre è
diretto sulla Cjanevate. Bene! Si va su insieme! stranamente indossiamo i
caschi molto prima del sentiero attrezzato.
Nel
frattempo, una coppia di escursionisti viene su a tutta birra, appaiono abbastanza
giovani, sicuramente colpa di quella leggera miopia che non mi fa mettere completamente
a fuoco le persone da lontano. I due continuano a sfrecciare, non faccio in
tempo a salutarli che riconosco il buon Daniele Puntel, in compagnia di un
ragazzo (suo fratello). Cavolo! Daniele è un giovanotto, ci abbracciamo,
naturalmente io da siculo sono molto espansivo, ci diamo un arrivederci in vetta,
scherzando gli consiglio di pulirmi la via dall’infido ghiaino. Dopo pochi
istanti i due hanno guadagnato già cento metri, volano. Beata gioventù! Penso a
un sonetto del grande fiorentino “Lorenzo dei Medici”
Quant’è
bella giovinezza
che si fugge
tuttavia!
Chi vuol
esser lieto, sia:
del doman
non c’è certezza…
Mentre i due
giovanotti volano via, io e Moreno continuiamo a passo comodo, risalendo prima
il tratto attrezzato e poi per il piano inclinato la bianca roccia della creta
di Collina. Comincio a sentire il peso dello zaino cerco di risparmiare acqua,
e quindi procedo a rilento, una nube sfiora la cresta per poi svanire, quindi
avanti con la salita.
Con Moreno
spesso ci fermiamo, parliamo di tutto, addirittura anche di montagna. Poco
prima dell’arrivo al bivio per la Cjanevate, mi vede affaticato, mi chiede come
va! Gli rispondo che ho una sete boia e che non vedo l’ora di liberarmi dello
zaino!
Infatti, giunti
sulla cengetta che prelude all’inizio del sentiero per la Cjanevate, ci
fermiamo nel piccolo ricovero ricavato da una grotta artificiale (panche e
struttura in legno). Mi libero immediatamente dello zaino, 1200 metri di dislivello
sono una bella tirata, non male e senza neppure una sosta. Provvedo a dissetarmi
e mangio qualcosa di energetico, portando al seguito per la vetta una mini sacca
con lo stretto necessario. Sono Impaziente, ma aspetto l’amico, che finisca di
consumare la sua barretta energetica. Una volta pronti mi catapulto fuori dal
riparo, affrontando con slancio la Cjanevate, percorro la cengia che collega
all’attacco con il corpo del monte. Dal basso, prima di giungere sulla cengia, notai
una corda, pensavo che fosse stata lasciata da Daniele, invece al contatto si
rivela un cavo in metallo. Cavolo! Hanno attrezzato la Cjanevate, questo mi sa
di bestemmia, è da eretici profanare in questo modo la regina della Carnia, e poi
per quale astruso motivo? Per portare su anche sciocchi e balordi? Mah! Ai posteri l’ardua sentenza. Faccio
passare avanti l’amico. Dimenticavo, che durante l’ascesa ho visto un gruppo
che saliva sulla Creta della Collina dalla Cresta verde. Ritornando alla
Cjanevate, percorro il sentiero e mi rendo conto che meno difficile di quanto
potessi immaginare, e anche meno esposto rispetto alle recenti esperienze
personali, quindi mi diverto a camminare per l’evidentissima e aerea mulattiera
di guerra. Tanto onore a chi la creò, scavando con immani sacrifici nella
ripida e dura roccia e affrontando condizioni meteo impossibili.
Il percorso è difficilissimo da descrivere, adopero
solo aggettivi qualificativi: bello, fantastico, gioioso, giocoso, solare e
luminoso. La bella giornata aiuta a riempire il cuore, saliamo e scendiamo per
le varie ante cime, a tratti, il sentiero, è così largo che mi par di sentire
gli zoccoli dei muli che portavano al seguito le armerie e i viveri. Nel cielo non c’è una nube, e questo ci aiuta
a continuare con serenità il cammino. I passaggi delicati sono aiutati dai cavi
in metallo, ma non ho mai visto pericoli oggettivi. Arriviamo all’ultimo tratto,
un canalino che porta in cima e ci rendiamo conto di quanto possa ingannare
l’effetto ottico. La verticale parete di ghiaia si rivela un comodo canalino
anche se molto ripido. Ultimi metri da percorrere
tra rocce e ghiaino, prima di ritrovarci sulla vetta. Spettacolo! Mi ritrovo a ridosso
della croce, poi scendo di un metro su un comodo terrazzo. Wow! Fatta anche questa,
la montagna tanto bramata, ora è il mio paradiso. Batto il cinque a tutti,
mollo lo zaino e mi abbandono all’euforia, già di mio sono tanto loquace ma
stavolta vado a ruota libera.
Vorrei
urlare ma mi trattengo, se fossi stato solo sicuramente mi sarei denudato e concesso
alla grande signora, per qualcuno è schietto esibizionismo, per altri coraggio,
ma mi contento di cazzeggiare.
Isso la
bandiera del gruppo, firmo il libro di vetta, e mi concedo riflessioni profonde con Moreno. Ho scoperto che
l’amico è un progressista e anarcoide, come il sottoscritto. Bene! Ci siamo
ritrovati, mutuo soccorso e spiriti liberi, materiale e concetti che mi
riportano alle vecchie letture di Max Stirner e Malatesta. Egli per me è un
simbolo della libertà estrema: non è sposato, non ha figli, non ha nemmeno una
compagna fissa, ha solo un lavoro che lo tiene legato a questo mondo terreno, e
un camper per vagare in giro per il mondo. Mi viene in mente mentre discutiamo l’inno
dei malfattori, ne fischietto il motivetto, con un breve accenno al testo:
<< Ai gridi ed ai lamenti di noi, plebe
tradita, la lega dei potenti si scosse impaurita e prenci e magistrati gridaron
coi signori che siam degli arrabbiati, dei rudi malfattori.>>
Sicuramente
molte delle mie catene, durante la conversazione hanno cominciato a scaldarsi, e
qualche anello si è allentato.
Adopero spesso
l’aggettivo spirito libero, è bello, ma quanti di noi lo sono veramente? Forse
sui monti ci illudiamo di esserlo, malgrado siamo in realtà simili a un
sentiero attrezzato e bardato di cavi. Iniziamo la discesa malgrado nulla ce lo
consigli, è mezzogiorno, abbiamo ancora otto ore di luce piena, la prendiamo
con comodo, fermandoci in tutte le fessure della cresta, ispezionando ricoveri,
insomma, facendo sosta nei punti più impensabili per discorrere di Lucio Dalla,
John Lennon o delle occulte potenze virtuali che cercano di soggiogarci.
Spaziamo in
lungo e largo, non abbiamo premura, la montagna si è offerta e non si è velata
al forestiero nomade. Le varie argomentazioni trattate con l’amico mi hanno
liberato lo spirito da anni di frustrazioni, mi rendo conto che per molto tempo
ho vissuto nell’ambiente sbagliato. Moreno, l’amico mai conosciuto e ritrovato,
non abbiamo in comune solo la montagna, ma anche una visione libera della vita.
Continuando a scendere e con le ripetute soste ci mettiamo ben quattro ore per
arrivare al bivio per il Marinelli e altre due per il passo di monte Croce
Carnico, godendoci la montagna in pieno, come se passeggiassimo su e giù per la
strada principale di un paese in festa. Arriviamo al parcheggio quasi
all’imbrunire, ci scambiamo i recapiti, dandoci un arrivederci sui sentieri di
questo mondo, in questa vita o in un mondo migliore. Una volta partito, mentre sono
alla guida, dei pensieri volteggiano, mi prendono, stimolandomi una serie di
riflessioni: Innanzitutto la Creta della Cjanevate, con i cavi o senza, è stupenda,
mai fatto un sentiero così, per emozioni è simile al Ceria Merloni. Altra
riflessione: ho camminato con un autentico spirito libero e conosciuto un
ragazzino che è un portento, ma soprattutto ho volato sulla cresta, librandomi
spesso nell’azzurro. Quindi concludo i pensieri, scrivendo: se questo non è uno
dei migliori mondi possibili, ci si avvicina. Alla fine delle riflessioni, rientro
a valle felicissimo, con una nuova storia da raccontare, e una meravigliosa e
incantevole cima conquistata.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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