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giovedì 9 agosto 2018

Cima Valmedan da Rivalpo

   
            Cima Valmedan da Rivalpo                    

Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Carniche-Gruppo Tersadia

Avvicinamento: Lestans- Cornino- Tolmezzo- Cedarchis- Rivalpo- Valle.



Località di Partenza: Valle frazione di Rivalpo.

Dislivello: 1000 metri.





 Dislivello complessivo: 1000 metri.





Distanza percorsa in Km: 13 chilometri.





Quota minima partenza: 931 metri.



Quota massima raggiunta: 1810 metri.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.

In: Coppia.



 Tipologia Escursione: Selvaggia.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti con ottimo senso di orientamento

Segnavia: CAI 409-410

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                  Cartografici: IGM: 1.25:000

2)                  Bibliografici:

3)                  Internet:

Periodo consigliato: maggio-ottobre

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Tracce labili, segni inesistenti dopo la Casera di Valmedan Alta.

Fonti d’acqua: Sporadiche.

Consigliati:

Data: Sabato 14 luglio 2018

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

  
Racconto:

Per evitare quattro gocce d’acqua abbiamo rimediato un acquazzone. Ecco come vorrei intitolare questa escursione che vado a descrivere. Da tempo, con l’amico Roberto, discutevamo della Terza Piccola, scherzando, gli dicevo che volevo salire sulla più piccola delle Terze per completare il trittico e ricevere il meritato diplomino. Quindi una volta organizzati si parte insieme alla volta di Sappada, giunti a Ovaro e guardando a occidente, notiamo che il cielo piuttosto che essere lindo si chiude, mettendo prematuramente la parola fine ai nostri sogni di gloria; quindi dopo aver bevuto un caffè nel bar periferico della cittadina carnica, si effettua un perentorio dietro front dall’amaro sapore della ritirata.

Lungo il tragitto di rientro pensiamo a qualcosa di alternativo, abbiamo poca fantasia, le montagne in zona le abbiamo fatte quasi tutte, finché penso a un suggerimento datomi tempo fa dell’amico Stefano. Dopo l’ascesa sul Monte cucco, l’amico, che io affettuosamente chiamo “Apache” mi citò la cima di Valmedan. Nella presente situazione di frenetica ricerca dei monti, ho in mente la sola posizione topografica ma non mi viene il nome. Raggiungiamo Rivalpo e successivamente la località di Valle, lasciando l’auto nello spiazzo antistante la piccola chiesetta con cimitero adiacente.

Mentre infiliamo gli zaini, cerco il nome della montagna nella mappa del GPS:<<Eccola!!>>Esclamo, cima Valmedan, 1810 metri, comunichiamo alle consorti la nuova meta tramite sms e si parte per la nuova avventura.

Al seguito non abbiamo relazioni e altro, anche perché se è stata consigliata da Stefano, sicuramente è poco frequentata. Dalla strada forestale (la stessa che conduce alla Casera Valmedan Alta) osserviamo un rilievo centrale, ne individuiamo i prati che precedono i mughi di cresta, ma il come arrivarci lo scopriremo in seguito.

La strada forestale procede con il suo andamento noioso dentro il bosco, percorso fatto e rifatto più volte in passato, sia in invernale che con la bella stagione. Una volta raggiunta la casera Valmedan di Sotto, il cielo sia apre, svelandoci le belle e bianche rocce calcaree. Presso la casera ci fermiamo davanti alla stalla, dove troviamo un nutrito gruppo di asinelli. La loro espressione fa tenerezza, per fortuna è in disuso lo stereotipo secondo il quale l’asino è un animale stupido: al contrario, per chi non lo sapesse, ciò non è affatto vero, anzi gli asini sono molto più intelligenti dei cavalli, solo che spesso si spaccia l’obbedienza per intelligenza.

Dieci minuti con i simpatici animali sono più salutari di assistere al turpiloquio di certi pseudopolitici, in più il sole splende nel cielo azzurro. Ora il paesaggio sa di poesia, basta la sola visione a riempiere il cuore di emozioni. Dopo una breve visita alla casera procediamo per la stradina fino a ad arrivare nel prato che precede la casera di Valmedan Alta. Notiamo che la struttura è aperta e adibita a malga. All’esterno, oltre al giovane malgaro rileviamo una mucca in attesa di essere munta. Ci avviciniamo e chiediamo informazioni su un eventuale sentiero che dalla malga porta alla nostra meta.

Il ragazzo ci consiglia una traccia che parte dal bivio del sentiero che porta al monte Tersadia. L’istinto mi consiglierebbe di proseguire per la strada forestale fino alla casera di Monte Cucco di Sopra, tagliando per i ripidi prati sino in vetta, ma seguire i consigli il giovane malgaro non ci costa nulla.  Salutandolo con un arrivederci, prendiamo il sentiero numerato 409 che porta al monte Tersadia, al primo bivio prendiamo la traccia che segue a sinistra che risulta non segnata e poco visibile. La labile traccia taglia in salita il versante sud occidentale del monte Tersadia, superando un breve tratto di ghiaie, fino a raggiungere in mezzo ai mughi la forcella tra il monte precedentemente citato e il Monte Valmedan.

L’esile traccia si biforca, noi erroneamente ne seguiamo una a nord che percorsa per tratti anche esposti si perde nel versante settentrionale, da questo versante la cima appare inaccessibile. Ritornati in sella stavolta scoviamo un’altra traccia di camosci, questa scende a meridione tagliando il versante e perdendosi tra gli arbusti. Stoicamente, con immani fatiche risaliamo (spesso con l’aiuto delle mani) l’erto pendio invaso dagli schianti, pervenendo a pochi metri dalla cresta nord-orientale. Ci troviamo sul margine di un precipizio, aiutati dai mughi ci fermiamo presso la forcelletta. Roberto ispeziona, prima tirandosi addosso dei grossi massi e poi risalendo una parete esposta di secondo grado. Tornato indietro mi dice che c’è un altro salto impraticabile da superare. Normalmente in queste circostanze, le persone dotate di giudizio, si arrendono, tornano indietro e vanno a casa, noi no! Noi, decisamente, no!!! Riscendiamo per il tratto ripido e cerchiamo qualche altra traccia di passaggio, nel frattempo riecco apparire le cupe nubi che promettono burrasca. Individuiamo un'altra traccia, poi anche questa si perde, e di nuovo un’altra ancora più in basso, finché sbuchiamo nei prati meridionali, e nel vano tentativo di affrontare il gruppo di mughi ci blocchiamo (il cielo è sempre più oscuro).  Seguiamo qualcosa che chiamare traccia è fallace, è più una sensazione quella che proviamo ma che si rivela vincente, comincia a piovere e intensamente, indossiamo gli indumenti idonei. Con un lungo traverso a volte zizzagando, ci portiamo in cresta, a pochi metri dalla vetta che sta alla nostra sinistra, dove troviamo ancora mughi impraticabili. Con uno scatto di ira, passo davanti a Roberto e aggirando a occidente il muro di mughi penetro tra essi con la potenza di un bulldozer, trovando un varco, non pago mi dirigo alla vetta e scoperto l’ometto (nel frattempo la pioggia è copiosa) estraggo dai sassi il barattolo con il libro di vetta, come se fossi un novello Davide che taglia la testa al gigante Golia e la porta con sé come trofeo. Ritornato indietro tra i mughi mostro il trofeo a Roberto, mentre le intemperie non ci danno sosta. Roberto mi consiglia di ripararmi tra i mughi, gli faccio notare che saranno alti appena un metro. Siamo zuppi d’acqua, sembriamo due naufraghi su una zattera in preda a una tempesta. Per fortuna all’orizzonte scorgiamo il cielo azzurro. Le furenti nubi scaricando l’acqua passano veloci, accompagnate da fulmini e tuoni a valle. Di colpo un silenzio irreale, i rari tuoni ora sembrano venire dal passato, siamo bagnati come pulcini. Mi cambio mettendo qualcosa di asciutto, tremo dal freddo. Dopo una breve pausa, finalmente ammiriamo il paesaggio, ci abbracciamo, convinti che con la nostra caparbietà abbiamo fatto una piccola impresa. Messe le firme sul piccolo libro di vetta, scopriamo che è poco frequentato rispetto al vicino Tersadia (ultima firma 2016). Per la discesa riapro un varco, stavolta scendiamo per il lungo e ripidissimo prato, con un po’ di fortuna troviamo la strada forestale che dalla Casera di Valmedan alta porta ai ruderi di casera del Cucco Alta. Se avessi ascoltato la vocina interiore (l’istinto da lupo), avremmo fatto in salita questa via, che è quella più logica e meno impegnativa. Raggiunta la carrareccia e dopo una serie di tornanti si procede a mettere qualcosa nello stomaco. Il cielo si è liberato dalle nubi, svelando la bellezza del paesaggio tra cui troneggia il monte Sernio. La quiete dopo la tempesta.

Dopo esserci goduti il pranzo, si procede al riassetto dei materiali e del corpo. Estraggo dal mio munito zaino i calzini asciutti e dei sacchetti trasparenti. Mi tolgo gli scarponi e i calzini che indosso (zuppissimi d’acqua, un paio di rane nuotavano dentro lo scarpone). Con pazienza strizzo tutto, comprese le suole interne e le lascio asciugare poggiandole sull’erba, dopodiché con un asciugamano procedo ad detergerre bene le estremità, finita l’operazione di cura mi sollazzo al sole.

Dopo una mezzoretta, (sempre sotto lo sguardo curioso e divertito di Roberto) procedo a indossare i calzini (quelli asciutti), mettendo ogni piede dentro un sacchetto trasparente, successivamente indosso gli scarponi tirando bene i lacci. Metodo pratico, per non bagnare di nuovo i piedi e procedere alla ripartenza senza patemi. Con Roberto ci ridiamo su, ho uno zaino pesante, mi porto un mondo al seguito, a discapito delle povere ginocchia, ma da dove posso contare su mille soluzioni, una specie di cappello magico. 

Una volta rassicurati dal meteo, ci mettiamo in cammino passando di nuovo dalla malga Valmedan Alta. Salutiamo l’amico malgaro (ci accoglie con uno sguardo stralunato, come se avesse visto dei fantasmi) rendendolo edotto sulle condizioni del sentiero. Prima di lasciare l’alpe provvediamo a ordinare un bel pezzo di formaggio cadauno, un piccolo presente da portare a casa.

Il rientro è lungo e lento e guidato dal sol leone. Approdiamo all’auto, euforici e soddisfatti di aver conquistato una nuova vetta e con una nuova storia da raccontare.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.





































































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