Cima Valmedan da Rivalpo
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche-Gruppo Tersadia
Avvicinamento:
Lestans- Cornino- Tolmezzo- Cedarchis- Rivalpo- Valle.
Località
di Partenza: Valle frazione di Rivalpo.
Dislivello:
1000 metri.
Dislivello complessivo: 1000 metri.
Distanza
percorsa in Km: 13 chilometri.
Quota
minima partenza: 931 metri.
Quota
massima raggiunta: 1810 metri.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In:
Coppia.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà:
Escursionisti Esperti con ottimo senso di
orientamento
Segnavia:
CAI 409-410
Impegno
fisico: alto
Preparazione
tecnica: media
Attrezzature:
No.
Croce
di vetta: No.
Ometto
di vetta: Si.
Libro
di vetta: Si.
Timbro
di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: IGM: 1.25:000
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo
consigliato: maggio-ottobre
Da
evitare da farsi in:
Condizioni
del sentiero: Tracce labili, segni inesistenti dopo la Casera di Valmedan Alta.
Fonti d’acqua: Sporadiche.
Consigliati:
Data:
Sabato 14 luglio 2018
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Per
evitare quattro gocce d’acqua abbiamo rimediato un acquazzone. Ecco come vorrei
intitolare questa escursione che vado a descrivere. Da tempo, con l’amico
Roberto, discutevamo della Terza Piccola, scherzando, gli dicevo che volevo
salire sulla più piccola delle Terze per completare il trittico e ricevere il
meritato diplomino. Quindi una volta organizzati si parte insieme alla volta di
Sappada, giunti a Ovaro e guardando a occidente, notiamo che il cielo piuttosto
che essere lindo si chiude, mettendo prematuramente la parola fine ai nostri
sogni di gloria; quindi dopo aver bevuto un caffè nel bar periferico della
cittadina carnica, si effettua un perentorio dietro front dall’amaro sapore della
ritirata.
Lungo
il tragitto di rientro pensiamo a qualcosa di alternativo, abbiamo poca
fantasia, le montagne in zona le abbiamo fatte quasi tutte, finché penso a un suggerimento
datomi tempo fa dell’amico Stefano. Dopo l’ascesa sul Monte cucco, l’amico, che
io affettuosamente chiamo “Apache” mi citò la cima di Valmedan. Nella presente situazione
di frenetica ricerca dei monti, ho in mente la sola posizione topografica ma
non mi viene il nome. Raggiungiamo Rivalpo e successivamente la località di
Valle, lasciando l’auto nello spiazzo antistante la piccola chiesetta con
cimitero adiacente.
Mentre
infiliamo gli zaini, cerco il nome della montagna nella mappa del
GPS:<<Eccola!!>>Esclamo, cima Valmedan, 1810 metri, comunichiamo
alle consorti la nuova meta tramite sms e si parte per la nuova avventura.
Al
seguito non abbiamo relazioni e altro, anche perché se è stata consigliata da
Stefano, sicuramente è poco frequentata. Dalla strada forestale (la stessa che
conduce alla Casera Valmedan Alta) osserviamo un rilievo centrale, ne individuiamo
i prati che precedono i mughi di cresta, ma il come arrivarci lo scopriremo in
seguito.
La
strada forestale procede con il suo andamento noioso dentro il bosco, percorso fatto
e rifatto più volte in passato, sia in invernale che con la bella stagione. Una
volta raggiunta la casera Valmedan di Sotto, il cielo sia apre, svelandoci le
belle e bianche rocce calcaree. Presso la casera ci fermiamo davanti alla
stalla, dove troviamo un nutrito gruppo di asinelli. La loro espressione fa
tenerezza, per fortuna è in disuso lo stereotipo secondo il quale l’asino è
un animale stupido: al contrario, per chi non lo sapesse, ciò non è affatto
vero, anzi gli asini sono molto più intelligenti dei cavalli, solo che spesso
si spaccia l’obbedienza per intelligenza.
Dieci
minuti con i simpatici animali sono più salutari di assistere al turpiloquio di
certi pseudopolitici, in più il sole splende nel cielo azzurro. Ora il
paesaggio sa di poesia, basta la sola visione a riempiere il cuore di emozioni.
Dopo una breve visita alla casera procediamo per la stradina fino a ad arrivare
nel prato che precede la casera di Valmedan Alta. Notiamo che la struttura è
aperta e adibita a malga. All’esterno, oltre al giovane malgaro rileviamo una
mucca in attesa di essere munta. Ci avviciniamo e chiediamo informazioni su un
eventuale sentiero che dalla malga porta alla nostra meta.
Il
ragazzo ci consiglia una traccia che parte dal bivio del sentiero che porta al monte
Tersadia. L’istinto mi consiglierebbe di proseguire per la strada forestale
fino alla casera di Monte Cucco di Sopra, tagliando per i ripidi prati sino in
vetta, ma seguire i consigli il giovane malgaro non ci costa nulla. Salutandolo con un arrivederci, prendiamo il
sentiero numerato 409 che porta al monte Tersadia, al primo bivio prendiamo la
traccia che segue a sinistra che risulta non segnata e poco visibile. La labile
traccia taglia in salita il versante sud occidentale del monte Tersadia,
superando un breve tratto di ghiaie, fino a raggiungere in mezzo ai mughi la
forcella tra il monte precedentemente citato e il Monte Valmedan.
L’esile
traccia si biforca, noi erroneamente ne seguiamo una a nord che percorsa per
tratti anche esposti si perde nel versante settentrionale, da questo versante la
cima appare inaccessibile. Ritornati in sella stavolta scoviamo un’altra
traccia di camosci, questa scende a meridione tagliando il versante e perdendosi
tra gli arbusti. Stoicamente, con immani fatiche risaliamo (spesso con l’aiuto
delle mani) l’erto pendio invaso dagli schianti, pervenendo a pochi metri dalla
cresta nord-orientale. Ci troviamo sul margine di un precipizio, aiutati dai
mughi ci fermiamo presso la forcelletta. Roberto ispeziona, prima tirandosi
addosso dei grossi massi e poi risalendo una parete esposta di secondo grado.
Tornato indietro mi dice che c’è un altro salto impraticabile da superare.
Normalmente in queste circostanze, le persone dotate di giudizio, si arrendono,
tornano indietro e vanno a casa, noi no! Noi, decisamente, no!!! Riscendiamo
per il tratto ripido e cerchiamo qualche altra traccia di passaggio, nel
frattempo riecco apparire le cupe nubi che promettono burrasca. Individuiamo un'altra
traccia, poi anche questa si perde, e di nuovo un’altra ancora più in basso,
finché sbuchiamo nei prati meridionali, e nel vano tentativo di affrontare il
gruppo di mughi ci blocchiamo (il cielo è sempre più oscuro). Seguiamo qualcosa che chiamare traccia è fallace,
è più una sensazione quella che proviamo ma che si rivela vincente, comincia a
piovere e intensamente, indossiamo gli indumenti idonei. Con un lungo traverso
a volte zizzagando, ci portiamo in cresta, a pochi metri dalla vetta che sta
alla nostra sinistra, dove troviamo ancora mughi impraticabili. Con uno scatto
di ira, passo davanti a Roberto e aggirando a occidente il muro di mughi penetro
tra essi con la potenza di un bulldozer, trovando un varco, non pago mi dirigo
alla vetta e scoperto l’ometto (nel frattempo la pioggia è copiosa) estraggo
dai sassi il barattolo con il libro di vetta, come se fossi un novello Davide
che taglia la testa al gigante Golia e la porta con sé come trofeo. Ritornato
indietro tra i mughi mostro il trofeo a Roberto, mentre le intemperie non ci
danno sosta. Roberto mi consiglia di ripararmi tra i mughi, gli faccio notare che
saranno alti appena un metro. Siamo zuppi d’acqua, sembriamo due naufraghi su
una zattera in preda a una tempesta. Per fortuna all’orizzonte scorgiamo il
cielo azzurro. Le furenti nubi scaricando l’acqua passano veloci, accompagnate
da fulmini e tuoni a valle. Di colpo un silenzio irreale, i rari tuoni ora
sembrano venire dal passato, siamo bagnati come pulcini. Mi cambio mettendo
qualcosa di asciutto, tremo dal freddo. Dopo una breve pausa, finalmente ammiriamo
il paesaggio, ci abbracciamo, convinti che con la nostra caparbietà abbiamo
fatto una piccola impresa. Messe le firme sul piccolo libro di vetta, scopriamo
che è poco frequentato rispetto al vicino Tersadia (ultima firma 2016). Per la
discesa riapro un varco, stavolta scendiamo per il lungo e ripidissimo prato, con
un po’ di fortuna troviamo la strada forestale che dalla Casera di Valmedan
alta porta ai ruderi di casera del Cucco Alta. Se avessi ascoltato la vocina
interiore (l’istinto da lupo), avremmo fatto in salita questa via, che è quella
più logica e meno impegnativa. Raggiunta la carrareccia e dopo una serie di
tornanti si procede a mettere qualcosa nello stomaco. Il cielo si è liberato
dalle nubi, svelando la bellezza del paesaggio tra cui troneggia il monte Sernio.
La quiete dopo la tempesta.
Dopo
esserci goduti il pranzo, si procede al riassetto dei materiali e del corpo.
Estraggo dal mio munito zaino i calzini asciutti e dei sacchetti trasparenti.
Mi tolgo gli scarponi e i calzini che indosso (zuppissimi d’acqua, un paio di rane
nuotavano dentro lo scarpone). Con pazienza strizzo tutto, comprese le suole
interne e le lascio asciugare poggiandole sull’erba, dopodiché con un asciugamano
procedo ad detergerre bene le estremità, finita l’operazione di cura mi
sollazzo al sole.
Dopo
una mezzoretta, (sempre sotto lo sguardo curioso e divertito di Roberto)
procedo a indossare i calzini (quelli asciutti), mettendo ogni piede dentro un
sacchetto trasparente, successivamente indosso gli scarponi tirando bene i
lacci. Metodo pratico, per non bagnare di nuovo i piedi e procedere alla ripartenza
senza patemi. Con Roberto ci ridiamo su, ho uno zaino pesante, mi porto un
mondo al seguito, a discapito delle povere ginocchia, ma da dove posso contare
su mille soluzioni, una specie di cappello magico.
Una
volta rassicurati dal meteo, ci mettiamo in cammino passando di nuovo dalla
malga Valmedan Alta. Salutiamo l’amico malgaro (ci accoglie con uno sguardo
stralunato, come se avesse visto dei fantasmi) rendendolo edotto sulle
condizioni del sentiero. Prima di lasciare l’alpe provvediamo a ordinare un bel
pezzo di formaggio cadauno, un piccolo presente da portare a casa.
Il
rientro è lungo e lento e guidato dal sol leone. Approdiamo all’auto, euforici
e soddisfatti di aver conquistato una nuova vetta e con una nuova storia da
raccontare.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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