Creta di
Bordaglia (2169 m.) da Pierabech
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche Centrali.
Avvicinamento:
Lestans-Cornino-Tolmezzo-Ovaro-Rigolato-Forni di Avoltri- Cava di pietra subito
dopo la località Pierabech.
Località di
Partenza : Cava di
pietra subito dopo la località Pierabech.
Dislivello: 1100
m.
Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza
percorsa in Km: 14 chilometri.
Quota minima
partenza: 1068
Quota
massima raggiunta: 2169 m.
Tempi di
percorrenza escluse le soste: 6 ore.
In: Coppia.
Tipologia Escursione: Storico-escursionistica
Difficoltà:
Escursinisti Esperti A.
Segnavia: CAI
140: 141; 142.
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: media.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Ometto di
vetta: Si.
Libro di
vetta: SI.
Timbro di
vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli Venezia Giulia
2)
GUIDA
escursionistica alle ALPI CARNICHE” di Rino Gaberscik.
3)
Internet:
Periodo
consigliato: giugno-ottobre.
Da evitare
da farsi in:
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato fino all’attacco con la traccia che porta
in vetta, tra le ghiaie e roccette solo ometti.
Fonti d’acqua: Molteplici.
Consigliati:
Data: sabato
29 luglio 2018
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Tempo fa, durante
un’escursione sulla cima del Navagiust, mi divertii a fotografare l’imponente
massiccio riflesso sull’acqua del piccolo laghetto di Pera, dalla forma e
tipologia di roccia mi apparve da subito irraggiungibile per percorsi non
alpinistici. Una volta a casa, andai alla ricerca di informazioni, consultando
mappe e libri, finché mi fu utile un prezioso volume “GUIDA escursionistica
alle ALPI CARNICHE” di Rino Gaberscik.
Preparo tutto il materiale topografico e
informo telefonicamente Roberto se è disposto a venire su, mi risponde che
sarebbe ben felice, visto che la montagna in questione era già nella sua lista.
Il giorno
dell’escursione, come è nostra consuetudine, partiamo presto, trovandoci come
appuntamento presso Cornino. La strada a quell’ora è sgombra da autoveicoli,
trascorriamo il tempo di avvicinamento a discutere di montagna, finché superato
il borgo di Forni di Avoltri raggiungiamo la località di Pierabech. Lasciamo
l’auto poco prima della cava di marmo, decidendo di partire per la direttissima,
ovvero il sentiero CAI 140, una strada forestale che con ripidezza porta
direttamente alla stretta di Fleons.
Dalla stretta,
lasciando il sentiero 140 per il 142, voltiamo a destra, risalendo il vallone
stretto tra i ripidi versanti del Navagiust e della Creta Verde.
Durante il
cammino nel bosco ci viene incontro un solitario cane, vorrebbe che lo
seguissimo, ma noi scegliamo un’altra direzione che porta ai ruderi di casera
Sissanis di sopra, dove il bosco lascia la visuale ai luminosi prati
dell’alpeggio. Alla visione delle cime attigue e lontane una forte sensazione
di felicità ci avvolge, ecco all’improvviso riapparire alle spalle il cane. Mi sceglie
affiancandosi, fissandomi con uno sguardo dolce. Dal pelo e dalla foggia sembra
un cane lupo, nero di pelo, Lo battezzo Buck, come il personaggio principale
del meravigliosissimo libro di Jack London “Il richiamo della foresta”.
Malgrado le apparenze non ho una grande idea di
me, velo al mondo esterno una chiara insicurezza e timidezza. Una delle poche convinzioni
che possiedo, è la consapevolezza di
attrarre la benevolenza del mondo animale, con essi mi sento a mio agio. Buck
non è da meno, si fa accarezzare con piacere, Roberto nota sin da subito che mi
ha prescelto, e io non posso negare il mio amore per questo amico a quattro
zampe. Seguito dal fedele alleato dell’uomo, procediamo per una bella
mulattiera che solca i remoti pascoli, finché, preannunciate da un forte odore,
troviamo un nutrito gregge di pecore intento a brucare. Buck mi lascia per
seguire diligentemente il gregge, mentre un giovane pastorello è intento a
prepararsi una cicca, ci salutiamo, è rumeno, un altro saluto accompagnato da
un sorriso è il nostro congedo.
Siamo sempre
più vicini alla Sella Sissanis, lo sguardo vola sulle vicine vette, cercando in
esse le vie di accesso. Raggiunta la
sella, ci troviamo dinanzi alla nostra seducente meta, non spicca certo come il
maestoso Volaia, ma è stupenda e isolata, e la sua forma arcuata ne accresce il
fascino. Per molti aspetti tale visione ci intimidisce, so bene che non la conquisteremo
per le perpendicolari pareti meridionali, ma per una via di accesso che dai
prati non riusciamo ancora a intravedere. Una miriade di sentieri solca i prati
oltre la sella, la zona abitualmente è affollata da amanti della montagna, noi
miriamo alla nostra meta, finché annotiamo che la traccia che stiamo seguendo
porta al passo di Giramondo. Abbandoniamo il sentiero principale e per prati troviamo
le esili tracce che portano alla Passo Val d’inferno. Chissà perché in regione
luoghi così meravigliosi portano nomi terribili. Dal passo ammiriamo il
versante austriaco, dalla contemplazione passiamo al prosieguo della missione.
Dal passo si nota una trincea sul versante occidentale del monte, la risaliamo
per pochi metri, finché, (sempre per esile traccia) ci troviamo a ravanare
all’interno di un ripido ghiaione. Nei primi metri tagliamo orizzontalmente gli
instabili detriti, poi, incontrato un ometto e vistone un altro a monte lo
seguiamo per la marcata traccia fino a raggiungere la solida roccia. Seguendo
gli sparuti ometti, tra zolle e ghiaie, ci portiamo sul pendio superiore;
stavolta esposto a settentrione e abbastanza infido per via delle ghiaie, per fortuna
gli ometti abbondano.
Le tracce nel
ghiaino vanno a immettersi nella roccia e noi con esse. Veniamo attratti da una
rampa, che nel percorrerla, metro dopo metro, diventa sempre esile ed esposta,
con passaggi di primo grado.
L’ultimo
passaggio è da brividi, superare per arrampicata una piastra rocciosa esposta nel
vuoto, con perizia siamo su!
Ancora ci
attende un altro ripido tratto, stiamo attenti a non smuovere sassi e non
scivolare sul ghiaino. Scorgiamo un ometto a destra, decidiamo al rientro di afferrare
dove porta. Nel frattempo Roberto pianta il suo bastoncino da trekking come fosse
un paletto segnaletico.
Pochi metri
ancora ed eccoci dentro ai contorni di un trinceramento (postazione militare
della Grande Guerra), camminiamo sul margine espostissimo della cresta
meridione fino a raggiungere l’ometto di vetta ( 2169 m.). Fatta! Anche questa
cima è in saccoccia. Wow! Che panorama! Dall’alto domina tutto, siamo costantemente
in equilibrio sull’impressionante baratro. Ci muoviamo con cautela, togliamo il
caschetto, adagiando gli zaini dentro il trinceramento.
Come detta
una massima popolare” Il vino buono si conserva nelle botti piccole”, lo stesso
esempio posso citare per questa piccola cima. Abbiamo finora provato grandi
emozioni: sentieri in libera, senza tracce e bolli, ma solo ometti; tanta roccia
dove tenere le mani per sentire il corpo della montagna, esposizioni atte a
fantasticare voli pindarici, e per finire camminiamo con un passo leggero da
funamboli sulla cresta.
Sono felice!
Come vorrei fermare il tempo e roteare all’infinito come una trottola,
generando un intenso vortice di emozioni, tale da farmi squarciare il cuore,
per donarmi la dolce morte che tutti gli amanti della montagna bramano.
Roberto si allontana,
cercando su un altro pulpito punti di osservazione diversi, io temo che lui possa
cadere, come anche lui teme per me, ma non lo facciamo notare, percependolo solo
dallo sguardo. Instauriamo l’ennesimo libro di vetta del gruppo ”La montagna
per spiriti liberi”, serbando in un barattolo di vetro i segni del passaggio,
come gli antichi marinai custodivano i messaggi dentro le bottiglie per poi
gettarle a mare. È tempo di tornare, di scendere giù dalla vetta, e noi non ne
abbiamo voglia, ci sentiamo come quando a scuola finiva la ricreazione. Indossiamo
gli zaini e con cautela scendiamo dal piano inclinato, stavolta seguiamo
l’altro ometto, posto in discesa a sinistra. La scelta si rivela felice,
scendiamo stavolta tra le rocce più articolate, pochi passaggi di primo grado,
ma adiacenti ad un canalone detritico non esposto, con tratti delicati, ma mai pericolosi
e con un passaggio(quello finale) di primo grado. Giungiamo alla base delle
rocce, dove scopriamo di trovarci adiacenti alla rampa che abbiamo intrapreso
in salita. Sempre con cautela percorriamo in discesa il piano detritico, io sono
un po’ spavaldo e mi diverto a scivolare sulle ghiaie, finché in basso assecondo
la traccia fino a incontrare i prati solcati da una miriade di sentieri. Una
moltitudine di escursionisti risale la valle, il silenzio e l’ambiente spartano
della cima sono ora un lontano ricordo.
Decidiamo,
prima di pranzare, di esplorare i colli vicini, tra cui quota Pascoli, dover in
vetta è posto, in memoria dell’immane tragedia della Grande Guerra un piccolo
prisma in cemento.
La nostra cima dal piccolo colle appare più
bella e ne siamo orgogliosi, ci spingiamo poco più la, sempre per colli,
stavolta per quelli che dominano il lago di Bordaglia. Anche stavolta sono
riuscito a non visitare il lago sottostante di Bordaglia, me lo riservo per la
vecchiaia. Tiriamo fuori dalle borse frigo il nostro pranzetto, tanto buono da
fare gola agli dei. Ci nutriamo immersi in un prato di stelle alpine, mentre le
orde di escursionisti salgono e scendono la valle, come cento anni fa le truppe
del Regio Esercito. Passata l’ora della sosta, stavolta rientriamo per il
sentiero 142, e successivamente per il 141, Partendo da poco sopra il lago di Bordaglia,
superiamo la casera di Bordaglia di Sopra, dirigendoci a quella di sotto. Lungo
il tragitto incrociamo un nutrito e affaticato plotone di scout, ridiamo, sono
affaticati, non ce la fanno più. Le “Giovani Marmotte” sono al minimo di
energie, qualcuno piange pure, invocando la mamma. Roberto, con aria burbera,
tra il serio e il faceto li rimprovera: << Io a 65 anni sono sceso poco
fa da quella cima, guardate, mica abbiamo pettinato le bambole, e voi frus,
dovreste volare! Dio bono!>> In realtà, commentandomi a bassa voce ha
considerazione per la loro giovane età, ritenendoli ancora un “pelin” poco
allenati. Continuando a ridere per la scena, proseguiamo per il sentiero,
giungendo al cospetto della casera di bordaglia di Sotto, dove è in atto un
baccanale in piena regola.
Sotto il
pergolato della casera principale una serie di convitati consuma un lauto pasto
in orgiastiche pose, alla loro sinistra un altro gruppo è intento a grigliare
un agnello, mentre una avvenente signora non più in tenera età, si avvicina a
noi con un piatto colmo di scaglie di pecorino, offrendoci l’assaggio e
disposta anche a privarsene per una ludica offerta. Assaggiamo, commentando con
i rumori della bocca la bontà del cacio, per poi defilarci appena la dama ha circuito
un‘altra coppia di passaggio. Ma le sorprese non finiscono qui, dopo il cacio come
tutti sanno, ci vogliono i funghi, e mi sa che io sono il porta fortuna di
Roberto. L’amico curiosando sotto gli abeti ne trova ben tre, buoni da portare
a casa a Marina, per preparare un delizioso risotto. Anche al volgere al fine
dell’escursione sulla Terza Piccola aveva avuto cotanta fortuna, mi farò pagare
come amuleto. Con calma, deliziandoci con il suono dello scorrere delle vicine acque
del Rio Bordaglia, si giunge a capolinea, felici di aver trascorso un’altra stupenda
giornata con il nostro Dio.
Dopo
aver riposto i materiali, si parte alla volta di di Rigolato, per deliziarci
con una fresca birretta. Tra un commento e l’altro volge al termine la nostra
avventura, con una cima conquistata e un’altra storia da raccontare.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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