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domenica 26 agosto 2018

Monte Rinaldo 2473 m. e la cima est della Cresta del Tridente, dalla Val Visdende (via normale).

 
Monte Rinaldo 2473 m. e la cima est della Cresta del Tridente, dalla Val Visdende (via normale).



                                 Note tecniche.



Localizzazione: Alpi Carniche -Gruppo catena Carnica.

Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Cornino-Tolmezzo-Ovaro-Rigolato-Sappada-Per la strada della Val Visdende, che inizia oltre il ponte sul Piave, si sale alle poche case di Cima Canale.

Località di Partenza: case di Cima Canale.



Dislivello: 1225 m.





 Dislivello complessivo: 1370 m.





Distanza percorsa in Km: 14 chilometri.





Quota minima partenza: 1245 m.



Quota massima raggiunta: 2473 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 5,5 ore.

In: Solitaria.



 Tipologia Escursione: Selvaggio-Escursionistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionistiche Esperti Alpinistico-Passaggi di primo grado, solo alcuni esposti.

Segnavia: CAI 130.

Impegno fisico: Medio.

Preparazione tecnica: media.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: Si.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: Si.

Riferimenti:

1)           Cartografici: IGM Friuli Venezia Giulia

2)           Bibliografici:

3)           Internet:

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Da evitare da farsi in: Con bagnato o ghiaccio.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato il sentiero CAI, i passaggi su roccia accompagnati da ometti e bolli iper sbiaditi.

Fonti d’acqua: Nessuna

Consigliati:

Data: sabato 04 agosto 2018

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Racconto:

Tempo fa effettuai un’escursione sulle Crode dei Longerin. Lungo il tragitto del ritorno, scendendo dal monte Schiaron, incontrai un viandante. Il pellegrino mi chiese se fossi io quello aveva visto salire sulle Crode, annuii. Mi ringraziò per la scia che avevo creato con i ramponi, nel ripido ed esposto nevaio, che precede la vetta. Continuammo insieme il rientro, mi parlò dei suoi viaggi in sud America, citandomi la Patagonia, e da allora grazie a lui scoprii autori come Francisco Coloane e Luis Sepulveda. La Patagonia è la mia terra promessa, e lì che vorrei che fossero sparse ai venti le mie ceneri. Tra i monti che ammirammo durante il rientro me ne indicò uno in particolare, il monte Rinaldo, e me ne parlò in modo terribile, tale da creare nella mia immaginazione un’apparenza di sfasciumi di ghiaie indomabili e canaloni impraticabili, qualcosa di simile a un inferno di roccia. Come la curiosità fregò il gatto, allo stesso tempo la descrizione del Rinaldo mi attrasse, cima che porta un nome che richiama un personaggio di fantasia appartenente al ciclo carolingio, uno dei dodici Paladini.  Quindi andrò da solo, come Astolfo in cima al monte dove sta il Paradiso Terrestre, in cui incontra San Giovanni che lo incarica di recuperare il senno perduto di Orlando.  

Io andrò per recuperare la mia solitudine, quella parvenza di libertà che al risveglio, mi invita a un nuovo giorno per esaudire i sogni....

Durante il tragitto in auto sono impaziente , nessuna voglia di incontrare bipedi, solo una gran voglia di solitudine e viverla con gli scarponi. Arrivo di buon ora nella Val Visdende, l’ultima volta era inverno. Poco dopo i primi edifici lascio l’auto nel parcheggio a sinistra, mi preparo per l’escursione. La temperatura è insolitamente bassa, mi copro, e una volta pronto parto, mirando alla casetta in legno posta dirimpetto, da dietro di essa inizia il sentiero per il monte Rinaldo. Lungo il cammino seguo la segnaletica posta proprio all’imbocco delle case di Cima Canale, il primo tratto è una carrareccia, che con un paio di svolte mi accompagna a risalire il costone Centenaro, con l’aumentare di quota si assottiglia fino a diventare comoda mulattiera. Essa ripercorre una remota via bellica, lo si nota da alcuni passaggi esposti, arditi e scavati nel roccioso sperone. Sicuramente le truppe a monte venivano riforniti da questa via, dall’andamento comodo e mai ripido, muli e alpini guadagnavano metri senza eccessiva fatica. In alcuni tratti la mulattiera è stata scavata così profondamente da creare degli antri artificiali, in uno di questi, noto un mazzo di raponzoli, il colore non è vivace, chissà per quale motivo. Proseguo lungo il sentiero tra le conifere, con alcuni passaggi leggermente esposti, nulla di che, mi piace sostare sull’orlo dell’abisso per provare quella adorabile sensazione di vuoto. Quando la visuale si apre a sud-est, riesco finalmente a vedere la meta, un’enorme e compatta mole rocciosa con una forcella in mezzo, l’elevazione più bassa a destra è la cima Mezzana, a occhio nudo riesco intuire un probabile sentiero che porta a essa. La montagna a sinistra di cui vedo solo il versante meridionale è la più accattivante, è lei, il monte Rinaldo.  Con lo sguardo rapito, mi spingo alla base di un costone roccioso, lo salgo tra le alte erbe, fino a sostare davanti a un cartello poggiato sulla nuda parete. A destra si va per il monte Carro e la Forcella Piccola, a sinistra, per un marcato sentiero alla Forcella Grande e Monte Rinaldo. Proseguo a sinistra, la traccia è resa infida dal ghiaino, cammino sulla sinistra orografica della “Valle delle Forcellette”, fino a raggiungere la base del vallone, dove guado il torrentello a sinistra.

Mi fermo, ammiro estasiato l’incantevole e selvaggio teatro, davanti ho l’immensa e bigia parete settentrionale del monte Rinaldo, ancora non raggiunta dai primi raggi del sole, a sinistra la solare frastagliata Cresta del Tridente, al centro tra le due elevazioni i ripidi prati che portano alla Forcella Grande.

Mi studio la morfologia del terreno, riesco solo a intravedere parte delle tracce, che serpeggiando scalano il piano erboso fino alla forca.

 Continuo a camminare per alcuni metri alla sinistra del greto, non ci sono segni e ne ometti, percorso intuitivo. Ad un tratto sento un boato, e dei massi venire giù alla mia destra, mi giro di scatto attratto dal frastuono e vedo un numeroso branco di camosci risalire con facilità le ripide pareti, seguendo le vie naturali sulla roccia. Dopo aver ammirato gli ultimi ungulati sparire sull’altro versante del monte, proseguo, attraversando un canalone di ghiaia dovuto a una frana, poi per zolle erbose e tracce mi porto al cospetto della bella forcella, che domina dall’alto la val Popera. 

Compio una breve pausa, osservo l’impressionante canalone che scende a settentrione e poi mi guardo intorno. A sinistra una striscia di ghiaia dopo aver superato un’esile crestina conduce all’articolata cresta del Tridente: la prima cima è a uno sputo, a occhio nudo riesco a intravedere la croce di vetta della più lontana.

Alla destra della forcella (sempre guardando a nord), un esile viottolo conduce alle prime balze erbose del monte Rinaldo, per poi sparire nella roccia. Con una certa emozione mista a turbamento, inizio la scalata alla meta.

Dopo pochi metri scorgo una nicchia ricavata nell’erba, dove lasciare lo zaino con tutto il suo fardello. Mi porto a seguito lo stretto necessario dentro la mini sacca, e naturalmente il caschetto. Prima di ripartire mi rifocillo, riempio d’acqua la borraccia ed eseguo un profondo respiro. Sono pronto, parto.

I primi metri sulla roccia sono divertenti, supero qualche saltino con passaggi elementari, finché raggiungo una cengia (inizialmente esposta) che si va a incassare in un canalino; brevi passaggi articolati dove sono coadiuvato da bolli sbiaditi e rari ometti.

Seguo l’istinto nel cercare la via migliore, Il primo ostacolo è una paretina dopo un incassato e breve canalino, l’aggiro cercando gli appoggi più idonei che mi portano pochi metri sopra. Riprendo a camminare (senza l’aiuto delle mani) su un piano inclinato ma reso infido dai detriti. Una piccola cengia mi dirige alla base di un frastagliato costone, da dove inizia il tratto tecnico.

 Con passaggi di primo grado cavalco la crestina portandomi sull’esposta “cengia- rampa”, la percorro in salita, facendo attenzione ai tratti esposti (passaggi di primo grado) sull’esile cengetta, tanto esposta, sui dirupi meridionali.  Per mia fortuna non mancano ne appoggi e ne appigli. Tengo le mani aggrappate agli incavi che mi offre la roccia, cercando con la punta degli scarponi un appoggio da dove spingermi su. Durante questa operazione mi fermo a pensare, sognando e rivivendo momenti del passato…

… Quando mi lesionai la falange e il tendine della mano sinistra sulla Grauzaria. Ricordo che non ero solo, ma in cinque, tutti più esperti di me, e avevo pure una corda in mano, non mancavano gli elementi di sicurezza, ma…

Si, ma! Portavo due anelli al dito, simboli che concatenano, elementi di metallo prezioso che a nulla servono in un ambiente dove le ricchezze materiali sono superflue. Mi lacerai la carne su una spigolatura quasi fittizia, a mezzo metro dall’arrivo. Quel giorno non ascoltai la voce della montagna. Essa mi ha sempre elargito tutto, ma mi preferisce solo. È il tipo di montagna che si concede ma non contempla le orge, vuole un contatto solitario con il mio spirito. Desidera sentire le mie mani tremolanti, sa che non sono ancora bravo ad amare, che non so stringere, essa mi vuole rivelare tale arte.

La signora, spesso mi chiede, come mai alla mia età non ho imparato a stringerla forte. Non le faccio sentire la mia forza, non mi abbandono, non mi lascio andare nei suoi passaggi più arditi. Le sorrido, e le rispondo: <<Hai mai visto una animale randagio farsi accarezzare senza avere paura? Trema e tiene la coda in mezzo alle gambe! Io ti amo grande signora e so che tu un giorno potresti darmi la morte, negandoti improvvisamente sul più bello, magari proprio l’istante dopo che mi hai insegnato ad amare, o durante l’amplesso; non donandomi il piacere di del vero amore che avevo atteso invano. Sarò una delle tue tante vittime, o se preferisci amanti, un nome qualsiasi, di me rimarrà solo un casco sbriciolato in fondo al dirupo, e cercherai altri amanti a cui insegnare l’abbraccio e dare la morte che desideri, per puro diletto. Quindi, non riuscendo a fuggire dal tuo cospetto, soggiogato dai tuoi tentacoli di amor profano, e illudendomi che tu possa amarmi, continuo a descriverti nei racconti e disegni del Forestiero Nomade>>… Risvegliato dalle riflessioni oniriche, dopo pochi passi   mi ritrovo in cima.  Sula vetta mi accoglie   una spartana croce, posta poco sopra i resti di un osservatorio militare. Sono un po’ stanco, ma felice, sgancio lo zaino, mi avvicino alla croce, la sfioro delicatamente con una carezza, fatta! Poco sotto la croce, vi è un ometto con una cassettina verde contenente il libro di vetta, nel tomo lascio i segni del mio passaggio. Dalla sacca estraggo il fiocco rosso che lego alla croce, in onore della “Laurea in Fisica” del mio rampollo, me l’ero ripromesso da padre. Orgoglioso della sua vetta raggiunta gli dedico le mie. Delle nubi in lontananza sembrano minacciare la bella giornata di sole, adesso le ignoro e mi dedico ad ammirare lo stupendo paesaggio. Le Alpi Carniche, anche se non arrivano alle quote delle dolomiti, sono montagne splendide e selettive, che sanno regalarti un vortice di emozioni. Il pensiero volge al rientro, mi sono arrampicato come uno stambecco e ora comincia il bello, la discesa. Scelgo lo stesso percorso dell’andata, malgrado alcuni ometti suggeriscano altre vie, e in poco tempo mi ritrovo alla Forcella Grande. Confesso con orgoglio, che più che l’incapacità tecnica, spesso mi frena la paura dell’ignoto. Raggiunta la forcella, dovrei rientrare a valle, ma a mio figlio serve l’auto ammiraglia per una certa ora; vorrei salvare capre e cavoli, quindi guardo l’orologio. E’ presto! Quindi, con lo stesso spirito di un diavoletto birbante e ingordo, guardo la cresta del Tridente, pregustando la conquista. Sposto lo zaino da dove lo avevo ricoverato e lo ripongo al centro della forcella, partendo subito a razzo per le la nuova meta.

La cima più facile la farò al rientro, miro a quelle impegnative. La traccia a causa della poca frequenza è quasi inesistente, si tratta di un vecchio camminamento militare, alcune aree sono mancanti, con passaggi esposti. Giungo alla seconda elevazione del gruppo e dall’alto studio la situazione, la più alta delle cime sembra avere dei passaggi di arrampicata complessi, rinuncio (a casa leggendo una guida, scopro che ho avuto ragione a declinare) e ritorno alla prima scelta. Per facile sentierino e superando i resti di una postazione militare, sono al cospetto dello striminzito ometto di vetta, realizzato in bilico sull’esposto versante settentrionale.

 Autoscatto celebrativo e breve visita, dall’alto della cima posso ammirare la poderosa mole del Monte Rinaldo e il versante detritico della Val Popera, tra cui identifico il monte Franza e il monte Lastroni. Lontanissimo è il monte Peralba, alle mie spalle le Crode dei Longerin e le innumerevoli meraviglie carniche, che non basterebbe un volume per elencarle.  Soddisfattissimo, ridiscendo alla forcella, ricompongo lo zaino e parto, stavolta più veloce della luce. Anche se non è una mia ossessione camminare veloce, oggi faccio un’eccezione, ricusando il mio rinomato stile da bradipo. In un’ora e mezzo sono a valle, telefono al pargolo e gli comunico che potrà usufruire dell’automezzo per andare al vernissage. La giornata è splendida, la valle pullula di villeggianti e la meta di oggi è celata dalle altre cime. Volgo lo sguardo al cielo, oggi di un azzurro cobalto da fare invidia alla tavolozza del magnifico pittore Tiziano Vecellio.  Ripensando al Monte Rinaldo e all’ascesa, mi è rimasta una grande gratificazione, sia per la conquista che per le meditazioni.

Il solitario spesso viene fuori, rammentandomi di nutrire di emozioni il lupo che alberga in me. L’istinto mi spinge sempre oltre i miei limiti, senza mai omettere la sicurezza, anzi, essendo da solo mi dedico con perizia alle varie movenze. L’anima dello spirito libero si è affrancata nella valle, volando tra le pareti e posandosi sul monolito più alto.  Il monte Rinaldo è una signora montagna, non mi ha atterrito, anzi, mi ha ridato fiducia nei miei mezzi, rafforzando la mia autostima e lasciandomi intravvedere un futuro dove mi mescolerò con i sassi, danzerò con i camosci e volerò con l’aquila.



Dopo aver sognato ad occhi aperti, sistemo i materiali nell’auto e rientro alla civiltà, carico ed entusiasta come non mai. Lungo la strada da Sappada a Spilimbergo ho modo di ammirare le meravigliose giogaie della regione, ad alcune ho dedicato un rinfresco dei ricordi, ad altre un sospiro in attesa di sollecite o future conquiste. Mi volto indietro, notando dentro il mio zaino dei sogni, una cima conquistata e una nuova storia da raccontare.

Il Forestiero Nomade”

Malfa.