Monte Sabotino e Monte Santo da Nova Gorica.
Racconto.
L’inizio dell’anno che stiamo vivendo sarà ricordato
sicuramente tra i più gelidi del nuovo millennio. Malgrado dall’est arrivi il
forte vento siberiano chiamato “Burian”, noi, spiriti liberi, decidiamo di
sfidarlo, affrontandolo a viso aperto e capo coperto sui rilievi del goriziano.
Come meta scegliamo due cime, Il Sabotino e il vicino Monte Santo, piccole
montagne note alla grande storia.
Partenza anticipata rispetto alle ultime escursioni, ne
approfitto per accompagnare la prole alla stazione ferroviaria di Cormons Lungo
il tragitto si aggiunge Roberto, con Fabrizio ci incontreremo a Gorizia,
naturalmente il silente Magritte anche oggi fa parte della spedizione.
Alla stazione di Cormons ricevo la telefonata di Fabrizio,
non potrà far parte della compagnia, perché colpito e affondato dalla micidiale
influenza che quest’anno sta mietendo vittime.
Da Cormons per statale ci dirigiamo a Gorizia, e aiutato dal
navigatore satellitare raggiungo la località Salcano in Slovenia, dove lascio
l’auto in uno spiazzo prima del ponte che attraversa il Soka (Isonzo).
La temperatura è a dir poco polare, diventa un’impresa per
me e l’amico calzare gli scarponi, siamo costretti a indossare subito i
guantoni. Una volta approntati partiamo per il Sabotino, il sacro monte dista pochi
metri, esso sovrasta Gorizia.
Superiamo il ponte ammirando il sottostante fiume sacro (l’Isonzo)
dalle inconfondibili acque dal colore smeraldo. Proseguiamo lungo la statale e
al primo tornante notiamo un cartello con le indicazioni per il Sabotino, ci
siamo, inizia l’avventura.
Il sentiero è una scorciatoia, che in un tratto attraversa
la strada statale, per poi proseguire ripido per la cresta del monte, esso è
ben battuto e ricalca le mulattiere della Grande Guerra.
Dopo una breve sosta da un pulpito panoramico ammiriamo la
cittadina di Gorizia, proseguiamo seguendo i segni per la comoda mulattiera, su
un masso leggiamo S. Valentin, è la diretta per la cresta.
Imboccato il nuovo sentiero, dopo pochi metri ci troviamo in
mezzo ad affioramenti carsici, ci divertiamo a balzare per massi, è insolito
trovare la roccia a bassa quota.
Successivamente il sentiero si fa meno ripido, attraversiamo
gli ultimi arbusti fino a uscire allo scoperto destreggiandoci dentro delle
file di sassi che creano una scritta (TITO) ben visibile da Gorizia chiaro
sberleffo degli ex Jugoslavi nei confronti della popolazione italiana.
Mancano pochi metri per
giungere alla prima elevazione chiamata San Valentino, nei pressi avvistiamo un
palo porta bandiera e successivamente i ruderi della vecchia chiesetta. Mentre
Roberto si dedica alla firma del libro di vetta, io esploro i ruderi, notando i
resti di un vecchio osservatorio militare e le rispettive gallerie. A causa
delle continue raffiche trovo riparo in un angolo dell’edificio, il Buran si fa
sentire e ci apprestiamo ad attraversare la cresta. Ammiro il bellissimo e
sottile crinale che un tempo divideva le due nazioni, prova ne sono le
centinaia di cippi che ne delimitano il confine, la loro visione e il loro
eccessivo numero non può che suscitare la nostra ilarità.
Il versante occidentale è affascinante. È una gigantesca
parete carsica che si aggetta sulla valle percorsa dall’Isonzo, spesso ci sporgiamo,
ammirando le rocce che precipitano verticalmente nel vuoto. Poco sotto la linea
di cresta, sul versante italiano, corre un lunghissimo trinceramento,
intervallato da rifugi e caverne artificiali, con le feritoie protese al monte
Santo. Il Sabotino fu conquistato dal Regio Esercito nel marzo del 1916 e le
gallerie e le fortificazioni cambiarono direzione, volgendosi all’odierna
Slovenia.
La sottile linea di cresta con i lievi saliscendi ci porta
alla massima elevazione del Monte, quota 609 metri. Un cippo italiano e l’altro
sloveno con rosa dei venti ne testimoniano la massima quota. Il Burian
imperversa, urla, fisso con dei sassi sul cippo sloveno la reflex per fare un
autoscatto, Roberto e io abbiamo le mani congelate malgrado i guanti, la bassa
temperatura ha messo fuori uso le batterie della reflex e del GPS.
In cresta non abbiamo
nessun riparo dal vento, per un attimo penso ai soldati che 101 anni fa erano
di vedetta. Questa montagna può vantarsi di avere intriso la sua terra del
sangue di migliaia di soldati di entrambi le fazioni, naturalmente viste le
conseguenze, tale sacrificio fu vano.
Dato che il vento non molla,
decidiamo di seguire il sentiero che scende dalla vetta sul versante italiano,
passando accanto a una casermetta, oggi adibita a ospitare antenne e ripetitori.
Seguiamo i segni, perdendo rapidamente quota e finalmente protetti dalle folate,
rientriamo nella mulattiera che taglia a mezza costa il versante sino al bivio per “San Valentin”. È un bel vagabondare,
finalmente coperti dal vento, possiamo goderci il paesaggio, camminiamo con
gioia, la bella cresta del monte ci ha entusiasmati e la portiamo nel cuore.
Raggiunto il bivio dove abbiamo deviato in precedenza proseguiamo fino
all’auto. Sul ponte che attraversa l’Isonzo incrociamo un escursionista
indigeno, egli si dirige sul Sabatino, gli chiediamo ragguagli sulla vicina
cima del Monte Santo, parla bene l’italiano e ci rende edotti sul percorso da
fare. Raggiunto l’automezzo, deponiamo gli zaini nel portabagagli, senza togliere
gli scarponi. Auto in moto, ci scaldiamo dentro l’abitacolo, riprendendoci dal
freddo prima di affrontare la seconda cima che dista poche centinaia di metri.
Percorso in auto un breve tratto nel territorio sloveno, seguo le indicazioni
per Sveta Gora (Monte Santo), superata la trattoria “Oddih” (come consigliato
dall’escursionista sloveno), lasciamo l’auto in uno spiazzo nei pressi del tornante.
L’ambiente circostante grazie
alla fitta vegetazione è riparato dal vento, ci approntiamo per la seconda
cima, Magritte non è di buon umore perché svegliato dal pisolino.
Le direzioni da seguire sono
due, noi scegliamo quella più ripida che risale il monte dal versante
occidentale. Effettivamente il sentiero nel primo tratto tira parecchio, sarà
che dopo una discesa iniziare una salita non è proprio salutare. L’ambiente è
selvaggio, la fitta vegetazione nasconde le ferite impresse cento anni fa dalla
Grande Guerra, il terreno dal colore bruno rossiccio è intriso del sangue dei
soldati. Il sentiero incrocia la traccia segnata con segni sloveni proveniente
dalla località di Lapos. Malgrado la quota da risalire sia breve il sentiero
mantiene la sua ripidezza, attraversando un terreno con numerosi affioramenti
carsici che lo rendono insidioso. Finalmente raggiungiamo la stradina asfaltata
di servizio, sul versante opposto della carreggiata inizia una scalinata in
pietra che ci porta con una serie di svolte al Santuario. Con l’avvicinarci al
santo edificio sentiamo l’ululare minaccioso del Burian, avvertiamo un freddo
più pungente rispetto a quello percepito sulla cresta del Sabotino. Lungo la strada che porta al sacrario
lambiamo il vecchio cimitero, i rami degli alberi oscillano vistosamente e del
ghiaccio misto a neve contorna i confini degli edifici. Troviamo riparo entrando
in chiesa, Magritte non potrebbe, dei chiari cartelli lo proibiscono, ma penso
al frate di Assisi e ignoro i consigli.
Dall’edificio sacro esce nel
medesimo istante un tizio corpulento e panciuto, erroneamente pensiamo che sia
il sacrestano, ma sbagliamo.
Il tizio è un macedone che
lavora in regione, ci chiede se possiamo fare un selfie, acconsentiamo, ci
sembra anche un po’ matto. Il forestiero abbandona il luogo con l’automezzo,
noi continuiamo aggirando il santuario, scendendo sul versante occidentale per
ripararci dal vento. Soddisfatti della giornata decidiamo di porre fine all’escursione
percorrendo il sentiero d’andata fino all’auto. Raggiunta quest’ultima notiamo
intono allo spiazzo del posteggio una notevole concentrazione di immondizie, ne
rimaniamo delusi e sconcertati, personalmente quella visone mi mette nostalgia
del Friuli e della sua gente. Una volta pronti, si parte, rientriamo a Gorizia,
stavolta mi affido al mio senso di orientamento che non sbaglia. Per la pausa
pranzo, ci fermiamo in uno spiazzo davanti una fabbrica dismessa nei pressi di
Manzano, due abeti giganti mi danno l’illusione di essere ancora sui monti.
Consumiamo il pranzo al calduccio dentro l’abitacolo, ben coscienti che non sia
ortodosso, ma il Burian oggi la fa da padrone. Con un buon rosso e un Nocino,
si festeggia l’ennesima uscita insieme, che anche oggi è stata
remunerativa.
Deliziati nello spirito e nei
ludici piaceri si rientra nella pianura, con un'altra avventura da ricordare e
raccontare.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Giulie -Val dell’Isonzo
Avvicinamento: Per il Monte Sabotino: Slovenia- Nova Gotica-Solkan-Lasciare l’auto nello spiazzo prima del ponte.
Per il Monte Santo: Slovenia- Nova Gotica-Solkan-
indicazioni per Sveta Gora (Monte Santo) -Superata la trattoria “Oddih”,
lasciare l’autovettura nel parcheggio presso il successivo tornante.
Località di Partenza: Per il Monte Sabotino: Solkan-Lasciare
l’auto nello spiazzo prima del ponte.
Per il Monte Santo: Superata la trattoria “Oddih2, lasciare
l’autovettura nel parcheggio presso il successivo tornante.
Dislivello:
Dislivello complessivo:
Dei due monti complessivo di 1000 metri.
Distanza percorsa in Km: 14 chilometri complessivi per i due
monti
Quota minima partenza: Sabotino 99 m. Monte Santo 280 m.
Quota massima raggiunta: Monte SANTO 681 m. Sabotino 609 m.
Tempi di percorrenza. Complessivi 6,5 ore.
In: Coppia
Tipologia Escursione:
Storico -Escursionistica
Difficoltà: Escursionistiche.
Segnavia: CAI 97 per il Sabotino-Segni sloveni per il monte
Santo.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: Per il monte Sabotino un santuario di vetta.
Ometto di vetta: Si, Sabotino.
Libro di vetta: Si Sabotino.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tabacco 054.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Consigliati:
Data: 26 febbraio 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
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