Col dei S’ciòs da Coltura di Polcenigo.
Racconto.
Col dei S’ciòs (colle delle lumache) è il toponimo della
meravigliosa località del Cansiglio, raggiungibile tramite un bellissimo
sentiero arcaico dalla località di Coltura. Approfittando della bellissima
giornata di sole e della compagnia dell’amico Roberto si procede alla volta di
Coltura. Fin ora tutte le escursioni fatte insieme si sono rivelate remunerative
e magiche, siamo reciprocamente l’uno il talismano dell’altro. Giungiamo nel
piccolo borgo di Coltura alle prime ore del mattino, la giornata è luminosa, il
cielo è terso come non lo si vedeva da giorni, la temperatura è primaverile;
questa stupenda visione riempie i cuori di gioia, rendendoci trepidanti alla
partenza.
Il sentiero inizia dall’albergo (in disuso) Da Stale,
lasciamo l’auto presso il tornante della strada che porta al borgo di
Mezzomonte (q.340 m.). Ci approntiamo per l’escursione con tutto il necessario,
armati fino ai denti, dai ramponi alle ciaspole.
Percorriamo un breve tratto posto all’interno dell’area
dell’edificio, seguendo le indicazioni su un cartello CAI, all’inizio del
percorso il primo tratto ha due numerazioni, 981 e 982.
Superato il rifugio ci troviamo immediatamente sul bel sentiero,
passando accanto a una grotta rocciosa (Crep di Landre), sfioriamo le pareti
dei fondali preistorici ammirando i sassi cementati dalla primitiva sabbia.
Il tracciato è un’evidente mulattiera lastricata che collega
il borgo alle casere superiori. La fatica dei malgari persiste nel tempo, ne
ripercorriamo i ciottoli con doveroso rispetto. Dopo alcune centinaia di metri
il sentiero si biforca (cartelli CAI q 494 m.), noi scegliamo quello di destra numerato
982 che ci porta direttamente alla casera Busa Bernart, risalendo per il fitto
bosco la Val del Landre. Gli alberi di nocciolo stanno a testimoniare che
stiamo attraversando le pendici meridionali dell’altopiano, l’assolato versante
si fa sentire, sembrano lontani i giorni in cui imperversava il Burian, se non
fossimo saggi staremmo già in maglietta.
Veniamo raggiunti da un turista belga che porta sulle spalle
il suo frus (bimbo) dai bellissimi occhi azzurri, lo rincontreremo in discesa
poco sotto la forcella. Con entusiasmo e gioia percorriamo la bella mulattiera,
a tratti è pianeggiante, fino a raggiungere un terreno aperto dove si erge un
riparo artificiale chiamato La Lobia (termine arcaico che significa loggia )
posto a q.805 m.
Effettuiamo una breve sosta che ci permette di spaziare con
lo sguardo sulla pianura friulana, il caldo sole ci carica, l’azzurro ci
ammalia e l’apparire di una sparuta nuvoletta ci preoccupa.
Proseguiamo, dopo un breve tratto ripido ci immettiamo in un
lunghissimo traverso che taglia la parte superiore della valle. Gli arbusti lasciano
il passo ai cespugli, presso la fonte Buset incontriamo un gruppo di
escursionisti, che soprannominiamo “Gli Scoiattoli dell’INPS di Pordenone”.
Fraternizziamo, loro sono intenti a bere come in un rito sacro l’acqua dalla
fonte, io e l’amico ne approfittiamo per consumare il nostro classico
energetico. Riprendiamo il passo, avendo al seguito i nuovi amici, percorriamo
il bellissimo sentiero a tratti aereo, ammirando le bastionate rocciose del
Torrione.
Incontriamo la prima neve, che con l’aumentare di quota si
fa consistente, dopo una breve serie di tornanti raggiungiamo gli abeti al
limite della forcella.
Ci fermiamo presso una panca, anch’essa ricoperta di neve,
per munirci di ciaspole e proseguire il cammino.
Aggirando a destra l’abetaia seguiamo le orme dei nostri
amici, fino ad attraversare una delle numerose carrarecce che percorrono il
monte; pochi metri dopo scendendo nella cavità naturale (dolina) ci ritroviamo
al cospetto della casera Busa Bernart, naturalmente chiusa ai viandanti.
Raccogliamo l’invito degli scoiattoli dell’INPS, scherziamo,
registrando il tutto con un paio di autoscatti. Loro, dopo la sosta rientrano a
valle e noi proseguiamo per la nostra meta.
Confortati dalle provvidenziali ciaspole tagliamo per il
boschetto in direzione nord sino a incontrare la carrareccia che corre
parallela alla casera. A illustrarlo sembra facile, ma quanto ho citato è totalmente
ricoperto da neve. La carrareccia dopo un centinaio di metri raggiunge un
bivio, un cartello indica la località di Piancavallo a destra, noi proseguiamo
a sinistra e dopo pochi metri gli abeti svaniscono, donandoci un paesaggio incantato,
tale da lasciarci a bocca aperta.
Delle antipatiche nuvole si divertono ad apparire e svanire,
svelando a volte un cielo azzurro di un blu intenso che contorna il paesaggio
dove gli innevati colli ricordano un deserto dalle dune bianche.
Con lo sguardo e mappa alla mano scrutiamo il paesaggio
tentando di intuire il nostro colle. <<È quello dietro! No, quell’altro di
seguito ancora a destra! >><< Non si vede, dai andiamo avanti e
valutiamo.>>
Usciamo dalla carrareccia mirando al primo colle rimanendo in
quota, poi un secondo, un terzo, così percorriamo le creste e la suggestione ha
il sopravvento. Tra le dune riconosciamo i giochi di uno scialpinista,
anch’egli si è diretto sulla nostra meta. Ci fermiamo spesso per fotografare,
ogni scatto è magia. Immortalo Roberto, lo immagino come il “Primo uomo sulla
Luna”, la sua sagoma complementare al bianco avanza. Sparuti, eroici e solitari
alberelli sfidano il silenzio, donando poesia al candido paesaggio. Mi emoziono
osservando l’amico che ricerca il sogno. Egli è il viandante, lo spirito libero
per eccellenza, l’uomo che ha lasciato a valle la famiglia, le abitudini, i pensieri,
per inseguire una chimera, l’eterna illusione che noi chiamiamo Libertà.
Avvistiamo la nostra meta, un ometto di pietre sormontato da
una piccola croce spartana legata con fil di ferro per concertina, ci siamo, percorriamo
la cresta, rallentiamo, quasi ci fermiamo, è un istante magico. L’amico aspetta
che io lo raggiunga, per un nobile accordo mai verbalizzato, quello di toccare
la meta insieme, nel medesimo istante. Come i cavalieri medievali, conficchiamo
le nostre spade (bastoncini telescopici) nella neve sotto l’ometto, ci
abbracciamo, togliamo i guantoni volgendo lo sguardo e il sorriso all’orizzonte.
Se fossimo vissuti nel Medio Evo, Roberto e io saremmo stati
sicuramente due cavalieri dai nobili sentimenti, le nostre azioni nascono
spontanee, comunichiamo con il solo sguardo.
Mentre Roberto apporta il nostro passaggio sul libro di vetta,
io riprendo il paesaggio e infine eseguo l’autoscatto che immortala il momento. Finite le operazioni di prassi, ci
abbandoniamo alla meditazione. La cima del Col di S’ciòs appare come un tumulo,
la tomba di un guerriero, essa domina dall’alto il paesaggio, spaziando dalle
vicine vette di Piancavallo alle lontane dolomiti friulane.
Dalla vetta avvistiamo in basso una malga, si tratta della
casera di S’ciòs, che noi erroneamente scambiamo per Casera Busa Gravin, ce ne
ravvediamo successivamente. Decidiamo di dirigerci alla casera, per poi
proseguire per la carrareccia più a nord. In questo breve tratto di percorso ho
avuto la sensazione di sognare, nella neve perdo completamente la
tridimensionalità dello spazio, sono immerso nel bianco e le sporadiche
velature della nebbia aumentano tale sensazione. Raggiunta la carrareccia proseguiamo
a meridione, ma qualcosa non ci convince, l’intento era quello di compiere l’anello
ma il sentiero che porta a casera Costa Cervera è totalmente ricoperto di neve.
Non ci sono segni sugli alberi, quindi dietro front e proseguiamo per la casera
Col dei S’ciòs, per poi riprendere le nostre tracce e rientrare a casera Busa
Bernart.
La fatica comincia a farsi sentire e anche la fame, le gambe
reclamano potassio, silenti e con spirito stoico procediamo. Ma i folli presenti
in questo altopiano non siamo solo noi, ne avvistiamo uno che scende dal colle
adiacente a quello dei S’cios, per poi svanire nel nulla, un altro ci viene
incontro per la carrareccia. Un simpatico veneto, dal sorriso coinvolgente con
la sua mountain bike ha osato sfidare la neve, la bici ci appare come un
ronzino che l’audace cavaliere conduce a piedi nella bianca valle. Ci salutiamo
augurandoci un buon cammino e tanta fortuna.
Ritrovate le nostre orme, volgiamo lo sguardo indietro,
rimanendo incantati da una magica visione. Da uno squarcio tra le nubi filtra
un raggio di sole che illumina la meta odierna, essa appare di un bianco
luminoso e spirituale che spicca contrastando con il paesaggio circostante,
dove la bianca vetta spicca sul grigio dei colli e l’azzurro del cielo. Ci
fermiamo a contemplare quel miracolo, chiedendo l’uno all’altro la conferma di
quello vediamo. Riprendiamo il cammino, le nostre impronte ci riconducono alla
Casera Busa Bernart, aprendoci un varco nella recinzione mobile per poter
effettuare la meritata sosta; usufruiamo del tavolo con panche posto
all’esterno dell’edificio e riparato dalla tettoia.
Come spesso ci accade, dalla magia passiamo al momento
ludico. Tolte le ciaspole, dagli zaini estraiamo come prestigiatori dal cilindro,
le cibarie, riempiendo il tavolo di delizie: panini di diversa foggia e
contenuto, frutta, vino, persino il dolce. Non siamo né ipertecnologici e né
puristi, le abbiamo provate tutte, ma la barretta energetica discorda con la
magia del luogo; l’opposto sono il panino con la frittata o con la mortadella che
sposati al rosso cabernet danno sapore e degna fine alla seducente
giornata.
Saziata la fame, proseguiamo l’escursione per il tratto
finale. Sostituiamo le ciaspole con i ramponi, siamo coscienti che sarà solo
per un breve tratto, ma non abbiamo nessuna intenzione di rischiare brusche
cadute. Lungo la discesa avvistiamo un gruppo di capre selvatiche dall’aspetto
demoniaco, ben mimetizzate con il bianco, questo tocco di natura è la ciliegina
sulla torta di una splendida giornata. Presso la fonte del Buset ci
disarcioniamo dagli ramponi per proseguire per la pianura. Il sentiero è ancora
lungo e tortuoso, la conversazione lo renderà breve e dolce. Giunti all’auto ci
approntiamo per il rientro, cercando lungo la strada del ritorno un locale
ideale per festeggiare con una bevuta l’escursione; lo troveremo in località
Grizzo, presso Montereale Valcellina.
Davanti a uno spritz e un caffè, commentiamo l’escursione
odierna progettando le future. Termina così la nostra avventura, una montagna
vissuta e un’altra storia da raccontare.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche- Gruppo del Cavallo.
Avvicinamento: Montereale Valcellina-Coltura di
Polcenigo-Indicazioni per Mezzomonte- Sostare presso il Rifugio “da Stale”.
Località di Partenza: Rifugio “da Stale”.
Dislivello: 1030 m.
Dislivello
complessivo: 1030 m.
Distanza percorsa in Km: 14 chilometri.
Quota minima partenza: 340 m.
Quota massima raggiunta: 1342 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore.
In: Coppia.
Tipologia Escursione:
Escursionistica.
Difficoltà: Escursionistica.
Segnavia: CAI 982.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: Si.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
Cartografici: Tabacco 012.
Bibliografici:
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: No.
Consigliati:
Data: 8 marzo 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
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