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mercoledì 31 maggio 2017

Monte Corona dal passo di Pramollo.

 
Monte corona dal Passo di Pramollo.

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche orientali

Avvicinamento: Gemona-Pontebba- Passo del Pramollo-Lasciare l’auto poco prima del confine, di fronte al laghetto artificiale.

Dislivello: 900 m.

Dislivello complessivo: 1150 m.

Distanza percorsa in Km: 22 km.

Quota minima partenza: 1520 m.

Quota massima raggiunta: 1832 m.

Tempi di percorrenza. L’anello grande, otto ore

 In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Escursionistica, con tratti selvaggi.

Difficoltà: Escursionistica.

Segnavia: CAI 504; 501

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: No.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: Si.

Cartografia consigliata: Tabacco 018

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Condizioni del sentiero: Ben segnato e tracciato.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

L’obiettivo principale di questa lunga escursione è il monte Scinauz, alto 1999 metri, che domina dall’alto il Canale del Ferro. Studiando i sentieri per raggiungerlo, solo due opzioni sono fattibili: la prima, ripercorrere il sentiero per lo Shigniz e continuare per lo Scinauz; la seconda, partire dal Passo di Pramollo, per lunghissimo sentiero (26 chilometri in totale), con un “sali scendi” massacrante per le gambe. Scelgo la seconda ipotesi, che mi consta una levataccia. Con l’armamentario pronto, esco da casa che è ancora buio pesto. Percorrendo la statale Pontebbana, raggiungo all’albeggiare la località di Pontebba, e successivamente il passo di Pramollo. Sosto l’auto a pochi metri dal confine di stato, di fronte il laghetto artificiale. Gli unici esseri viventi a farmi compagnia durante l’albeggiare, sono una pattuglia motorizzata dei carabinieri, che in quest’ultimo periodo presidiano il confine. Li saluto con un gesto, rispondono cortesemente. Il sentiero parte a pochi metri, per carrareccia lastricata che fiancheggia il ristorante hotel “Gallo Forcello”. Zaino in spalle e sogni al seguito, parto.  La lunga carrareccia, taglia il costone meridionale del monte Carnizza, e con brevi sali scendi, giunge nella prima altura a oriente, dove fanno bella mostra le prime elevazioni. Ammiro la dorsale che dal monte Brizzia passando dal monte Bruca, si spinge a settentrione per le ultime due elevazioni, sicuramente più alpinistiche. Costeggiando la prima malga (Auerning) con passo veloce mi spingo a oriente, percorrendo il percorso naturalistico chiamato “Anello Buca della For”. Dalla strada campestre dipartono dei cartelli (a sinistra), con indicazioni (sentiero 501) per il monte Corona, continuo a destra per la carrareccia, percorrendo il sentiero 504.  Da dove sorge il sole, passo dopo passo, vedo crescere la mole del monte Cerchio. La Carrareccia prosegue a meridione, il sentiero risale un ripido pendio di conifere, sbucando nel dirupato versante settentrionale del monte Cerchio. Il paesaggio è affascinante: dei monoliti in pietra sono posti a guardia della valle. Le figure fantastiche mi catturano, percepisco che, racchiudono in esse i cavalieri erranti che hanno precedentemente percorso la valle; scegliendo in piena libertà, di divenire pietra, piuttosto che morire, sepolti in una ignobile fossa. Attraversando le ghiaie la ben marcata mulattiera raggiunge la forcella, dove mi attende la dorata luce proveniente dal versante meridionale.  Mi fermo presso una panca, ho voglia di cambiare itinerario, sono stregato dalla bellezza del luogo, vorrei cavalcare le bianche creste invase dai mughi e spingermi a settentrione.  Proseguendo a meridione, il sentiero attraversa i verdi prati passando presso i ruderi della malga Cerchio. Il sentiero 504 passa vicino a una casera, che si apre sul bel paesaggio a nord. Abbandono per alcuni minuti il sentiero guida, per visitare l’esterno dell’edifico e ammirare la vicina cima del monte Corona, raggiungibile liberamente per dolci pendii. Al ritorno dell’escursione, valuterò l’ipotesi di compiere l’anello salendo sul monte Corona, per rientrare al Passo di Pramollo dal versante austriaco. In una pozza d’acqua presso un torrentello noto un anfibio a forma di lucertola, lo fotografo, penso che si tratti di un tritone crestato italiano. Esso sta fermo, immobile, pronto a farsi fotografare, ben sapendo che la sua immagine mi farà guadagnare tanti [like] apprezzamenti. La sua preda (un insetto) è a portata di bocca, appena lascerò il luogo, il bel anfibio (dal look simile al mio), farà colazione con l’infausto insetto. In località “Lonas”, il sentiero entra nel fitto bosco, per poi scendere dalla sella, raggiugendo i verdi prati dominati dalla grande mole del vicino monte Scinauz. Poco sotto la sella raggiungo la malga di Biffil, sul versante opposto noto delle tracce, mi avvio verso esse. Alcuni bolli rossi mi guidano dentro il boschetto, conducendomi lungo il versante occidentale dell’elevazione. Supero un primo tratto eroso, per poi ritrovarmi nei pressi di un impluvio da affrontare con un passaggio delicato. Studio il passaggio, non ho appigli validi, e come appoggi solo terriccio instabile. Il tratto è friabile ed esposto su un vertiginoso salto. Con una corda al seguito avrei risolto, facendo sicurezza con il tronco del larice; ma essendone sprovvisto ed essendo solo, non rischio, una caduta sarebbe fatale. Prima di abbandonare l’impresa, faccio un altro tentativo, provo a risalire il pendio per trovare un percorso alternativo, niente da fare, vado a finire sempre nello stesso punto esposto, quindi saltano i propositi verso lo Scinauz. Pazienza, sarà per un'altra volta, ritorno indietro, concretizzando l’ipotesi di passare per la cima del monte Corona. Cammino per verdi prati, rigogliosi di fiori, godendomi la splendida giornata. Erro in piena libertà, mentre scrivo, rivivo gli attimi e mi emoziono. Ammiro i bellissimi Larici e i pochi volatili che osano affrontare il caldo. Raggiunta la casera, poco prima dei ruderi di malga Cerchio, cerco una traccia. La rada vegetazione arborea lascia spazio alla visuale, scorgo la cresta del Corona. Decido la direzione da seguire mirando a nord-ovest. La fortuna mi assiste, scorgo dei cartelli con scritte in dialetto, che coadiuvati da ometti e bolli rossi mi indicano la via da seguire. Seguo la traccia fiducioso, e infatti mi avvicino sempre di più al monte. Sto bene, sono in estasi, il versante meridionale e assolato, mi dà energia.  Ammiro la bella vegetazione, le fioriture, i prati, e i grandi massi sparsi come opere d’arte, tutto ciò mi inebria. Guado un torrentello, lo scorrere dell’acqua è una meravigliosa sinfonia, mi giro intorno, sono l’unico essere umano in questo infinito. Se la morte volesse portarmi con sé, che lo facesse ora, le sarei infinitamente grato per l’eternità. Seguendo l’istinto, zizzago per roccette lungo il dolce pendio meridionale del monte Corona, fino a ritrovarmi in cresta. Dovrei essere felice, ma alcuni paletti in metallo, equidistanti tra loro mi rattristano, stanno ripristinando il confine. I fili di ferro sono stesi per terra, i monti, simbolo universale di libertà stanno ridiventando per volere dell’uomo: barriera, confine, separazione, divisione. Raggiungo la cima del monte materializzata da un corposo ometto, tutto intorno è un grandioso paesaggio. La roccia che calpesto è calda e compatta, e i licheni gli danno quel tocco in più, da renderla simile a un soffice tappeto. Una gran voglia di libertà pervade il mio animo, quella voglia irrefrenabile di liberarmi di tutto e da tutto.  I simboli della divisione che ho visto in precedenza hanno alimentato questo desiderio. Mi porto sul pulpito più alto del monte, un terrazzo proteso verso l’Italia e il Friuli. Sistemo un ometto a mo’ di piedistallo sul margine del terrazzo litico, esso mi permetterà di mettere a fuoco la macchina fotografica. Mi guardo intorno, il silenzio regna sovrano, sono avvolto da un’atmosfera magica. Con calma mi denudo. Ciascun capo di abbigliamento che tolgo ha un valore simbolico, come se spezzassi un anello della catena che ci lega alla vita materialistica. Comincio con gli scarponi, e a seguire, calzettoni, pantaloni, maglia e mutande, tutti riposti in ordine. Mi alzo. Regolo l’autoscatto sulla macchina fotografica, mirando al sasso, dove sosterò per la posa. Premo il pulsante di scatto, dieci brevi secondi accompagnati dal segnale acustico. Mi porto sul margine del salto, volando a piedi nudi sul caldo corpo della montagna per librarmi in aria come un’aquila, con le braccia protese nell’azzurro, lasciandomi accarezzare dal sole. Sto con le braccia protese, mi giro lentamente, rallentando i movimenti e simulando le ali del rapace reale.   Ritorno dove mi sono denudato, chiudo gli occhi, provo una sensazione infinita di gioia, e il rivestirmi ha il sapore dell’incatenarmi. È facile criticare e deridere chi si denuda (dentro e fuori), le “Iene”, per antonomasia, lo fanno sempre con chi ha coraggio da leone. Riprese le sembianze dell’essere “civilizzato e consono alle regole”, mi accosto ad un masso, portando con me lo zaino.  Estraggo da quest’ultimo i viveri, attimi di relax, vorrei fermare il tempo. Il cielo è di un blu cobalto, e i monti, in lontananza sono spettacolari. Riprendo il cammino, fidandomi del mio buon orientamento, scorgo i segni CAI a occidente, sicuramente mi porteranno al passo di Pramollo. Costeggio un ruscello, mi fermo ad ammirarlo, starei ore e ore a guardare il gioco dell’acqua, questo continuo fluire rappresenta il senso della vita, “Tutto Scorre”. Leggo dalla numerazione scritta su un segno CAI, che sto percorrendo il sentiero 501 che mi riporta sulla carrareccia percorsa in mattinata. Il sole è alto, scalda, e si fa sentire sulla pelle. Rientrando, do un’occhiata ai dati sul GPS, ho percorso ben ventidue chilometri. Gli ultimi tornanti mi portano al punto di partenza, davanti al laghetto. Raggiunto il “Passo di Pramollo” è un continuo scorrazzare di automezzi. I carabinieri sono intenti a fare controlli ai conducenti (sprovvisti di casco) di una colonna di ciclomotori(vespe). I militi dell’arma hanno un bel da fare a multarli. Nel frattempo una colonna di auto (fuoriserie decappottabili) proveniente dalla Germania, sosta presso l’hotel. Osservo divertito questa bella scena, stavolta i tedeschi portano euro e bionde nel “Bel Paese”, l’Italia, una nazione di gente che “sogna e fa sognare”. Metto in moto l’auto e scendo piano piano dal passo, due auto dei carabinieri risalgono a velocità sostenuta verso confine, sicuramente a dare man forte ai colleghi intrappolati dagli amanti della “Vespa”. Sorrido, in fondo, la vita è bella, e noi umani la rendiamo speciale.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 



















































































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