Cuel dai Pez
1943 m. Dai Bagni di Lusnizza
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Giulie occidentali.
Avvicinamento:
Gemona-Pontebba- statale per Tarvisio- Bagni di Lustizza. Al secondo
sottopassaggio sotto l’autostrada, trovare posteggio 300 metri sulla sinistra,
presso uno spiazzo da dove parte il sentiero(tabelle).
Dislivello:
1273 m.
Dislivello
complessivo: 1400 m.
Distanza
percorsa in Km: 15 km.
Quota minima
partenza: 670 m.
Quota
massima raggiunta: 1943 m.
Tempi di
percorrenza. 6 ore.
In: Coppia
con Magritte.
Tipologia Escursione: Selvaggio-Storica.
Difficoltà:
Escursionisti Esperti.
Segnavia:
CAI 604; 447; 649. Più ometti e sbiaditi segni rossi.
Fonti
d’acqua: Si, lungo il percorso.
Attrezzature:
Si.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tabacco 018.
Periodo
consigliato: maggio – ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato, alcuni tratti di sentiero nel versante occidentale
sono franati.
Data: 14
maggio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Le escursioni di solito hanno sempre una
diversa fonte d’ispirazione. A volte prendo spunto da un nome che leggo per
caso sul web, o una foto che mi colpisce, o una zona montana che voglio
esplorare fino in fondo. Studiando la storia del Friuli, mi sono soffermato
sulla morfologia, contando centinaia e centinaia di cime, dai 900 metri fino al
Coglians. Molte di esse sono concatenate, altre solitarie, e per ognuna ci sono
uno o cento sentieri da percorrere, una o più valli d’accesso. È infinito il
mondo che l’escursionista percorre, centinaia di nomi, quote, numeri, malghe.
Insomma! Un macrocosmo e microcosmo dove il singolo escursionista diventa solo
un minuscolo puntino che vaga nell’infinito. La scelta del Cuel dai Pez non è
casuale, messa nella lista da tempo, è la naturale prosecuzione della mia
esplorazione della mitica catena montuosa che dallo Jof di Sompdogna posto ad
est di essa, giunge a ovest al suo estremo, ovvero lo Jof di Dogna. La scelta
del versante da dove salire sul Cuel dai Pez è ardua. Ho preparato due
itinerari: uno da sud, dalla Val Dogna, più corto come dislivello, ma più
ripido; l’altra opzione è partire dal versante settentrionale, precisamente dal
piccolo borgo di Bagni di Lusnizza, ovvero, per bosco, e compiere un anello per
raggiungere la forcella di Cuel Tarond e successivamente la meta. La seconda
scelta prevale anche per la facilità di avvicinamento, visto che il sentiero
inizia subito dopo l’autostrada. Arriva
il giorno della partenza, si parte presto come sempre da casa. La giornata è
splendida, il cielo è terso, solo verso la Val Canale , dei nuvoloni giocano a
nascondere le cime, ma spariranno nel corso delle prime ore del mattino. Giungo
nella località Bagni di Lusnizza, che essa è ancora avvolta dalle nebbie
mattutine, dietro di me lo Gnisniz mi
attrae, diventando fonte di ispirazione per una nuova escursione. Seguo le
indicazioni per il museo naturalistico” La Foresta” e attraverso il piccolo
borgo, raggiungendo il secondo cavalcavia che passa sotto l’autostrada, subito
dopo a sinistra dopo 200 metri trovo un ampio spazio dove lascio l’auto. Zaino
in spalle, Magritte e sogni al seguito si parte per la nuova avventura. Subito dopo lo spiazzo, a monte, noto dei
segni C.A.I e una tabella esplicativa, la forcella di Cuel Tarond dista solo 3,
5 ore. Solo? E dopo un’oretta per raggiungere la cima, insomma, oggi mi sono
scelto una bella sfacchinata. Pazienza! Con passo cadenzato d’alpino e sudore
inizio a ravanare. Il primo tratto di sentiero è dentro il bosco di conifere,
pochi metri dopo esco in uno slargo, attraverso un secco impluvio, e subito
dopo un secondo (Rio picc. Granuda), ma stavolta con copiose acque. Una tabella
esplicativa con il nome del piccolo rio è posta subito dopo il superamento,
riattraverserò lo stesso torrente a monte. Il sentiero, poco marcato, una
labile traccia, si inoltra nel fitto bosco spingendosi ad oriente. Lungo il
percorso incontro una graziosa salamandra. Mi fermo a conversare, essa mi dà
delle dritte sul sentiero da seguire. Ci salutiamo e riprendiamo il viaggio
nelle rispettive direzioni. Il sentiero risale per ripidi tratti, erosi dalla
pioggia dei giorni precedenti, per un breve tratto attraverso la piccola radura
(Prati di Granuda). L’odore gradevole che emana l’erba è simile a quello dei prati
che circondano le malghe. Non scorgo ruderi, evidentemente sto attraversando un
vecchio pascolo, che pur non avendo la presenza dei bovi ne conserva gli odori.
Rientrando nella foresta, tra Abeti e faggi continuo a guadagnare quota, a
volte il sentiero svolta per pochi istanti a sud, lasciandomi intravedere il
versante dirupato dello Sechieiz. Il percorso è ancora lungo e noioso, bosco,
bosco e ancora bosco. Onestamente della montagna il bosco non è il mio lato
preferito, poi soprattutto se devi fare 1000 metri di dislivello solo di
conifere. Io non percepisco la presenza dei folletti, degli gnomi e delle
streghe. Nei tronchi d’albero cavi, percepisco solo sofferenza, dolore,
mancanza di luce, e tutto ciò mi rattrista. Dopo aver ravanato un bel po’ raggiungo
un cartello con le indicazioni per la forcella Cuel Tarond. Qui il sentiero si
biforca: il 604 procede a Oriente, mentre quello che continua a sud assume la
denominazione 647, con l’aggiunta a pennarello di sentiero per “Escursionisti
esperti”, Dalla tabella leggo che mancano solo 50 minuti alla forcella di Cuel
Tarond, bene! Abbiamo camminato per più di due ore e mezzo, ora affrontiamo la
parte più eccitante dell’escursione. Tra larici e abeti raggiungo un’ampia
distesa prativa, il sentiero procede a meridione, ma non posso fare a meno di
ammirare le cime che si aprono ad Oriente. L’inconfondibile mole della cima
alta dei due Pizzi domina lo scenario. La mia meta è in vista, le piccole
macchie di neve sul versante settentrionale non mi preoccupano, sono ben
attrezzato, quindi proseguo. La morfologia dell’escursione cambia radicalmente,
attraverso in sequenza una serie di canalini detritici, di cui alcuni erosi e
altri ostruiti dalla neve residua. Con attenzione li supero in sequenza,
raggiugendo l’ultimo tratto dominato dai mughi, proprio sotto la forcella. Come
è mio solito, negli ultimi metri prima dell’obbiettivo, rallento, avendo
superato i cinquanta anni, non voglio che l’emozione mi giochi brutti scherzi,
quindi in relax, procedo con calma. Mi presento al versante sud, disinvolto,
fresco come una rosa, con un sorriso a sessantaquattro denti, come se fossi
appena uscito da casa con il vestito della domenica. <<Buongiorno sua
Maestà Montasio, buongiorno val Dogna! È una grande emozione rivedervi, noto, con
piacere che state bene.>> E nel medesimo istante un raggio di sole filtra
tra i nuvoloni. Mi ritrovo nella bella forcella di Cuel Tarond: alla mia
sinistra i ruderi della “Grande Guerra” e la bella mulattiera di guerra. Scruto
il cielo, le nubi non sono inoffensive, alcuni cumulonembi sembrano chiamare a
sé le altre nuvole. Mi avvio ad Oriente verso la cima del Cuel dai Pez, prima
che gli antipatici nuvoloni, dalla forma simile a un fungo atomico, mi facciano
brutti scherzi. La bella mulattiera, risale con moderata pendenza il versante.
Noto per terra una lattina di birra, sono sorpreso dallo scoprire che in nostri
fanti, cento e più anni fa bevessero “Birra Peroni”. L’esercito si prendeva
cura di loro, fornendoli di alimenti tali da perdurare nei secoli, comprese le
confezioni. Lo stato fisico della lattina è in eccellente stato
, sembra che
sia stata schiacciata e buttata via di recente. È un miracolo, con cura prendo
la preziosa reliquia, la porterò con me al seguito, privando i prossimi
escursionisti di questa gioia. Non è una birra qualunque, è la “Peroni”! Chi di
noi, non ricorda il famoso spot pubblicitario: << Chiamami Peroni, sarò
la tua birra!!>> parole scandite in modo sensuale dalla bella biondona
teutonica. I nostri soldati, durante le pause di combattimento bevendo la nota
birra sognavano le donne (sempre bionde) dei dirimpettai nemici; immaginando di
far in altro modo la guerra al nemico ! Mi piacerebbe crederlo, ma
naturalmente, c’è dell’ironia nelle mie parole, non voglio pensare a termini poco
offensivi nei confronti di questi “Incivili”, che sporcano un suolo tanto caro
alla “Patria”. Percorrendo la mulattiera di guerra, guadagno quota portandomi
nella fascia superiore, poco sotto la cresta. Attraverso l’affascinante
versante tra picchi di roccia antropomorfe, alcuni tratti meritano attenzione,
un cavo in metallo mi è di aiuto su un esposto passaggio. Il sentiero che sale
in cima non è di facile intuizione, su alcuni massi trovo due sbiadite frecce,
una segna a nord, l’altra a sud. Seguo la prima, entrando in un fitto mugheto,
che copre la ben marcata traccia. Supero alcuni tratti delicati, tra cui un
ripido traverso tra le ghiaie e una paretina, sempre da superarsi di traverso;
fino a raggiungere la parte terminale di un canale che tra balze erbose e rocce
erose mi porta all’ampia cima del Cuel dai Pez. Eccomi finalmente sull’ampia
cima che conserva ancora i manufatti bellici del primo conflitto mondiale.
Superando quest’ultimi mi spingo verso il punto più elevato, un ometto e un
pezzo di legno. Nessuna croce, zaino a terra, finalmente mi concedo una pausa.
Non è stata una passeggiata, ma ho raggiunto la meta, sono felice. La prima
operazione e di inaugurare un piccolo libro di vetta, l’ho portato da casa
intuendo che la cima ne era sprovvista. Subito dopo, estraggo dallo zaino i
viveri, per reintegrare l’energia consumata. Magritte mangia con gusto. Riprese
le forze, mi dedico alla contemplazione. Lascio il fido presso l’ometto a fare
il pisolino, dedicandomi alla perlustrazione del sito. Rimangono molte tracce
dei militi, le solite lattine, stavolta quelle originali, e percorro alcuni
tratti del remoto trinceramento, osservando dall’alto, Sono indeciso se mi
conviene per rientrare a valle proseguire a oriente. Osservo che i canalini
sono intasati dalla neve, preferisco non rischiare. Dall’alto scorgo la malga
Granuda, forse al ritorno ci passo. Fatta la breve pausa, mi appronto per il
ritorno, zaino in spalle e scrollata di Magritte ci si avvia. Percorro a
ritroso il sentiero ammirando le cime, alcune visitate di recente. Mi fermo
presso la forcella del Cuel Tarond, nel frattempo si è aperto il cielo. Mi
sdraio sulla profumata erba, accanto al fido, lo accarezzo, ci godiamo il sole,
pochi minuti di relax, che mi proiettano in una dimensione divina. Riprendere è
dura, quante volte ho desiderato di costruirmi un capanno e rimanermene in
montagna, piuttosto che rientrare. Ritornare a valle sa di costrizione, come se
fossi un prigioniero che si avvia davanti al plotone di esecuzione. La discesa
è rapida, presso l’ampio prato poco sopra la malga Granuda mi ricordo di
visitare l’edificio, abbandono la traccia, percorrendo l’ingiallito prato.
Dalla sommità avvisto i tetti della malga, ma poi mi fermo, scorgo due auto
ferme. Mi si gela il sangue. Che cavolo ci fanno quassù le auto, a 1500 metri
di dislivello? Per giunta i conducenti
sono saliti da un divieto di sosta, non ho voglia di vedere un edificio che è
alla mercé di tutti, ritorno sui miei passi. Appena rimetto piede sul sentiero
un tuono scuote il cielo. Come se la natura mi dicesse: <<Bravo Malfa,
sei un po’ stronzo, integralista, ma sei integerrimo, ora affretta il tuo
passo, la tua ora di libertà sta per terminare!>>. Accelerando il passo,
scendo velocemente per il bosco, l’infinita selva, ma quanti alberi avrò
superato? Il cielo sembra aprirsi, poi di nuovo chiudersi. Raggiungo l’auto
mentre la prima goccia di pioggia bagna il mio volto, apro la portiera, e una
seconda goccia bagna la mano. Mi cambio, entro nell’abitacolo, e appena sono
pronto per avviare il motore, vengo investito da un copioso scroscio di
pioggia, tanto intenso da farmi temere il peggio. Mi sposto rapidamente,
lontano dal punto di sosta, portandomi sulla statale. La pioggia ha smesso, e
il sole fa luccicare tutto ciò che un attimo prima l’acquazzone ha toccato.
Immagini surreali si susseguono nella mente. Tutto ha il sapore del sogno.
Rientro nella pianura, risvegliandomi lentamente dalla bella visione onirica.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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