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martedì 23 maggio 2017



Cuel dai Pez 1943 m. Dai Bagni di Lusnizza

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Giulie occidentali.

Avvicinamento: Gemona-Pontebba- statale per Tarvisio- Bagni di Lustizza. Al secondo sottopassaggio sotto l’autostrada, trovare posteggio 300 metri sulla sinistra, presso uno spiazzo da dove parte il sentiero(tabelle).

Dislivello: 1273 m.

Dislivello complessivo: 1400 m.

Distanza percorsa in Km: 15 km.

Quota minima partenza: 670 m.

Quota massima raggiunta: 1943 m.

Tempi di percorrenza. 6 ore.

In: Coppia con Magritte.

 Tipologia Escursione: Selvaggio-Storica.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI 604; 447; 649. Più ometti e sbiaditi segni rossi.

Fonti d’acqua: Si, lungo il percorso.

Attrezzature: Si.

Croce di vetta: No.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tabacco 018.

Periodo consigliato:    maggio – ottobre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato, alcuni tratti di sentiero nel versante occidentale sono franati.

Data: 14 maggio 2017.

Il “Forestiero Nomade”
Malfa


 
Relazione:

 Le escursioni di solito hanno sempre una diversa fonte d’ispirazione. A volte prendo spunto da un nome che leggo per caso sul web, o una foto che mi colpisce, o una zona montana che voglio esplorare fino in fondo. Studiando la storia del Friuli, mi sono soffermato sulla morfologia, contando centinaia e centinaia di cime, dai 900 metri fino al Coglians. Molte di esse sono concatenate, altre solitarie, e per ognuna ci sono uno o cento sentieri da percorrere, una o più valli d’accesso. È infinito il mondo che l’escursionista percorre, centinaia di nomi, quote, numeri, malghe. Insomma! Un macrocosmo e microcosmo dove il singolo escursionista diventa solo un minuscolo puntino che vaga nell’infinito. La scelta del Cuel dai Pez non è casuale, messa nella lista da tempo, è la naturale prosecuzione della mia esplorazione della mitica catena montuosa che dallo Jof di Sompdogna posto ad est di essa, giunge a ovest al suo estremo, ovvero lo Jof di Dogna. La scelta del versante da dove salire sul Cuel dai Pez è ardua. Ho preparato due itinerari: uno da sud, dalla Val Dogna, più corto come dislivello, ma più ripido; l’altra opzione è partire dal versante settentrionale, precisamente dal piccolo borgo di Bagni di Lusnizza, ovvero, per bosco, e compiere un anello per raggiungere la forcella di Cuel Tarond e successivamente la meta. La seconda scelta prevale anche per la facilità di avvicinamento, visto che il sentiero inizia subito dopo l’autostrada.  Arriva il giorno della partenza, si parte presto come sempre da casa. La giornata è splendida, il cielo è terso, solo verso la Val Canale , dei nuvoloni giocano a nascondere le cime, ma spariranno nel corso delle prime ore del mattino. Giungo nella località Bagni di Lusnizza, che essa è ancora avvolta dalle nebbie mattutine, dietro di me  lo Gnisniz mi attrae, diventando fonte di ispirazione per una nuova escursione. Seguo le indicazioni per il museo naturalistico” La Foresta” e attraverso il piccolo borgo, raggiungendo il secondo cavalcavia che passa sotto l’autostrada, subito dopo a sinistra dopo 200 metri trovo un ampio spazio dove lascio l’auto. Zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito si parte per la nuova avventura.  Subito dopo lo spiazzo, a monte, noto dei segni C.A.I e una tabella esplicativa, la forcella di Cuel Tarond dista solo 3, 5 ore. Solo? E dopo un’oretta per raggiungere la cima, insomma, oggi mi sono scelto una bella sfacchinata. Pazienza! Con passo cadenzato d’alpino e sudore inizio a ravanare. Il primo tratto di sentiero è dentro il bosco di conifere, pochi metri dopo esco in uno slargo, attraverso un secco impluvio, e subito dopo un secondo (Rio picc. Granuda), ma stavolta con copiose acque. Una tabella esplicativa con il nome del piccolo rio è posta subito dopo il superamento, riattraverserò lo stesso torrente a monte. Il sentiero, poco marcato, una labile traccia, si inoltra nel fitto bosco spingendosi ad oriente. Lungo il percorso incontro una graziosa salamandra. Mi fermo a conversare, essa mi dà delle dritte sul sentiero da seguire. Ci salutiamo e riprendiamo il viaggio nelle rispettive direzioni. Il sentiero risale per ripidi tratti, erosi dalla pioggia dei giorni precedenti, per un breve tratto attraverso la piccola radura (Prati di Granuda). L’odore gradevole che emana l’erba è simile a quello dei prati che circondano le malghe. Non scorgo ruderi, evidentemente sto attraversando un vecchio pascolo, che pur non avendo la presenza dei bovi ne conserva gli odori. Rientrando nella foresta, tra Abeti e faggi continuo a guadagnare quota, a volte il sentiero svolta per pochi istanti a sud, lasciandomi intravedere il versante dirupato dello Sechieiz. Il percorso è ancora lungo e noioso, bosco, bosco e ancora bosco. Onestamente della montagna il bosco non è il mio lato preferito, poi soprattutto se devi fare 1000 metri di dislivello solo di conifere. Io non percepisco la presenza dei folletti, degli gnomi e delle streghe. Nei tronchi d’albero cavi, percepisco solo sofferenza, dolore, mancanza di luce, e tutto ciò mi rattrista. Dopo aver ravanato un bel po’ raggiungo un cartello con le indicazioni per la forcella Cuel Tarond. Qui il sentiero si biforca: il 604 procede a Oriente, mentre quello che continua a sud assume la denominazione 647, con l’aggiunta a pennarello di sentiero per “Escursionisti esperti”, Dalla tabella leggo che mancano solo 50 minuti alla forcella di Cuel Tarond, bene! Abbiamo camminato per più di due ore e mezzo, ora affrontiamo la parte più eccitante dell’escursione. Tra larici e abeti raggiungo un’ampia distesa prativa, il sentiero procede a meridione, ma non posso fare a meno di ammirare le cime che si aprono ad Oriente. L’inconfondibile mole della cima alta dei due Pizzi domina lo scenario. La mia meta è in vista, le piccole macchie di neve sul versante settentrionale non mi preoccupano, sono ben attrezzato, quindi proseguo. La morfologia dell’escursione cambia radicalmente, attraverso in sequenza una serie di canalini detritici, di cui alcuni erosi e altri ostruiti dalla neve residua. Con attenzione li supero in sequenza, raggiugendo l’ultimo tratto dominato dai mughi, proprio sotto la forcella. Come è mio solito, negli ultimi metri prima dell’obbiettivo, rallento, avendo superato i cinquanta anni, non voglio che l’emozione mi giochi brutti scherzi, quindi in relax, procedo con calma. Mi presento al versante sud, disinvolto, fresco come una rosa, con un sorriso a sessantaquattro denti, come se fossi appena uscito da casa con il vestito della domenica. <<Buongiorno sua Maestà Montasio, buongiorno val Dogna! È una grande emozione rivedervi, noto, con piacere che state bene.>> E nel medesimo istante un raggio di sole filtra tra i nuvoloni. Mi ritrovo nella bella forcella di Cuel Tarond: alla mia sinistra i ruderi della “Grande Guerra” e la bella mulattiera di guerra. Scruto il cielo, le nubi non sono inoffensive, alcuni cumulonembi sembrano chiamare a sé le altre nuvole. Mi avvio ad Oriente verso la cima del Cuel dai Pez, prima che gli antipatici nuvoloni, dalla forma simile a un fungo atomico, mi facciano brutti scherzi. La bella mulattiera, risale con moderata pendenza il versante. Noto per terra una lattina di birra, sono sorpreso dallo scoprire che in nostri fanti, cento e più anni fa bevessero “Birra Peroni”. L’esercito si prendeva cura di loro, fornendoli di alimenti tali da perdurare nei secoli, comprese le confezioni. Lo stato fisico della lattina è in eccellente stato

, sembra che sia stata schiacciata e buttata via di recente. È un miracolo, con cura prendo la preziosa reliquia, la porterò con me al seguito, privando i prossimi escursionisti di questa gioia. Non è una birra qualunque, è la “Peroni”! Chi di noi, non ricorda il famoso spot pubblicitario: << Chiamami Peroni, sarò la tua birra!!>> parole scandite in modo sensuale dalla bella biondona teutonica. I nostri soldati, durante le pause di combattimento bevendo la nota birra sognavano le donne (sempre bionde) dei dirimpettai nemici; immaginando di far in altro modo la guerra al nemico ! Mi piacerebbe crederlo, ma naturalmente, c’è dell’ironia nelle mie parole, non voglio pensare a termini poco offensivi nei confronti di questi “Incivili”, che sporcano un suolo tanto caro alla “Patria”. Percorrendo la mulattiera di guerra, guadagno quota portandomi nella fascia superiore, poco sotto la cresta. Attraverso l’affascinante versante tra picchi di roccia antropomorfe, alcuni tratti meritano attenzione, un cavo in metallo mi è di aiuto su un esposto passaggio. Il sentiero che sale in cima non è di facile intuizione, su alcuni massi trovo due sbiadite frecce, una segna a nord, l’altra a sud. Seguo la prima, entrando in un fitto mugheto, che copre la ben marcata traccia. Supero alcuni tratti delicati, tra cui un ripido traverso tra le ghiaie e una paretina, sempre da superarsi di traverso; fino a raggiungere la parte terminale di un canale che tra balze erbose e rocce erose mi porta all’ampia cima del Cuel dai Pez. Eccomi finalmente sull’ampia cima che conserva ancora i manufatti bellici del primo conflitto mondiale. Superando quest’ultimi mi spingo verso il punto più elevato, un ometto e un pezzo di legno. Nessuna croce, zaino a terra, finalmente mi concedo una pausa. Non è stata una passeggiata, ma ho raggiunto la meta, sono felice. La prima operazione e di inaugurare un piccolo libro di vetta, l’ho portato da casa intuendo che la cima ne era sprovvista. Subito dopo, estraggo dallo zaino i viveri, per reintegrare l’energia consumata. Magritte mangia con gusto. Riprese le forze, mi dedico alla contemplazione. Lascio il fido presso l’ometto a fare il pisolino, dedicandomi alla perlustrazione del sito. Rimangono molte tracce dei militi, le solite lattine, stavolta quelle originali, e percorro alcuni tratti del remoto trinceramento, osservando dall’alto, Sono indeciso se mi conviene per rientrare a valle proseguire a oriente. Osservo che i canalini sono intasati dalla neve, preferisco non rischiare. Dall’alto scorgo la malga Granuda, forse al ritorno ci passo. Fatta la breve pausa, mi appronto per il ritorno, zaino in spalle e scrollata di Magritte ci si avvia. Percorro a ritroso il sentiero ammirando le cime, alcune visitate di recente. Mi fermo presso la forcella del Cuel Tarond, nel frattempo si è aperto il cielo. Mi sdraio sulla profumata erba, accanto al fido, lo accarezzo, ci godiamo il sole, pochi minuti di relax, che mi proiettano in una dimensione divina. Riprendere è dura, quante volte ho desiderato di costruirmi un capanno e rimanermene in montagna, piuttosto che rientrare. Ritornare a valle sa di costrizione, come se fossi un prigioniero che si avvia davanti al plotone di esecuzione. La discesa è rapida, presso l’ampio prato poco sopra la malga Granuda mi ricordo di visitare l’edificio, abbandono la traccia, percorrendo l’ingiallito prato. Dalla sommità avvisto i tetti della malga, ma poi mi fermo, scorgo due auto ferme. Mi si gela il sangue. Che cavolo ci fanno quassù le auto, a 1500 metri di dislivello? Per giunta  i conducenti sono saliti da un divieto di sosta, non ho voglia di vedere un edificio che è alla mercé di tutti, ritorno sui miei passi. Appena rimetto piede sul sentiero un tuono scuote il cielo. Come se la natura mi dicesse: <<Bravo Malfa, sei un po’ stronzo, integralista, ma sei integerrimo, ora affretta il tuo passo, la tua ora di libertà sta per terminare!>>. Accelerando il passo, scendo velocemente per il bosco, l’infinita selva, ma quanti alberi avrò superato? Il cielo sembra aprirsi, poi di nuovo chiudersi. Raggiungo l’auto mentre la prima goccia di pioggia bagna il mio volto, apro la portiera, e una seconda goccia bagna la mano. Mi cambio, entro nell’abitacolo, e appena sono pronto per avviare il motore, vengo investito da un copioso scroscio di pioggia, tanto intenso da farmi temere il peggio. Mi sposto rapidamente, lontano dal punto di sosta, portandomi sulla statale. La pioggia ha smesso, e il sole fa luccicare tutto ciò che un attimo prima l’acquazzone ha toccato. Immagini surreali si susseguono nella mente. Tutto ha il sapore del sogno. Rientro nella pianura, risvegliandomi lentamente dalla bella visione onirica.

Il vostro “Forestiero Nomade”

 Malfa.









































































































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