Cima Valeri
1885 m. dalla Val Gleris.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche centrali.
Avvicinamento:
Pontebba, carreggiabile per la Val Aupa. Poco prima del borgo di Aupa, girare a
sinistra percorrendo la forestale che si inoltra nella Val Gleris. Poco prima
di un cartello CAI con indicazioni lasciare l’auto in u ampio spazio.
Dislivello: 800
m.
Dislivello
complessivo: 1025 m.
Distanza
percorsa in Km: 9 km.
Quota minima
partenza: 1100 m.
Quota
massima raggiunta: 1885 m.
Tempi di
percorrenza. 5 ore senza soste.
In: Con
Magritte.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia:
CAI 430, pochi sparuti ometti.
Fonti
d’acqua: Un canalone ne è fornito.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tabacco 018.
Periodo
consigliato: maggio-ottobre
Condizioni
del sentiero: Dal bivio per la forcella della Pecora, solo sparute tracce.
Data: 06
maggio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Cima Valeri, ovvero la bella montagna sconosciuta, nascosta
dietro le vanitose e gotiche Creste di Gleris. Questa bellissima cima è un
banco di prova per gli spiriti liberi della montagna. La prima volta che ho
sentito il suo nome è stato leggendo un blog, dove un caro amico, mi invitava a
metterla tra le possibili cime a cui dedicare una manutenzione. Sono passati
anni, e pur tenendola in considerazione non me ne ero più interessato. Questo
inverno, esattamente il sei gennaio, con una temperatura polare di venti gradi
sotto zero, ho raggiunto dalla Val Alba la Creta dai Rusei, percorrendo il sentiero
dell’alta via C.A.I di Moggio. Nell’ultimo tratto prima della creta ho ammirato
il dirupato versante occidentale della Cima Valeri, con le sue meravigliose guglie
di roccia. Dalla cima della Creta dai Rusei, sfidando le gelide raffiche di
vento, ho potuto ammirare la cima e la valle di Gleris, chiedendo anzitempo un
appuntamento alla selvaggia asperità. Arriva la primavera, e la vocina
interiore che organizza il mio programma escursionistico mi suggerisce la meta:
<<Cima Valeri, Malfa! Cima Valeri! È giunta l’ora, ti aspetta!>>
Ammaliato da quest’ultimo amore, non vedo di l’ora di avventurami. Cerco sul
web e studio sulle mappe il percorso da fare. Ho trovato solo un paio di
articoli e una traccia GPS, che con i dovuti dubbi prendo in considerazione.
Dalle relazioni si denota una chiara difficoltà a trovare subito la traccia per
la cima, questo non fa che aumentare il mio desiderio. Da buon amante della
montagna, preferisco una cima poco frequentata piuttosto che una vetta puttana.
Questo mio innato desiderio di conquista non fa che aumentare con il passare degli
anni. Lo zaino è pronto da una settimana, e finalmente arriva il giorno della
partenza. Il meteo non è il massimo che
si poteva sperare, ma almeno la pioggia sembra scongiurata, quindi partenza
anticipata. Lungo la percorrenza stradale, constato con gioia che la neve è
quasi del tutto assente sui monti, soprattutto alle quote a cui sono
interessato. Raggiunta la cittadina di Pontebba, seguo le indicazioni per la
Val Aupa, percorrendo la stretta e panoramica rotabile. Giunto nei pressi di Studena
alta, mi fermo ad ammirare il bellissimo borgo sottostante, dipinto sui verdi
pascoli dominati dalle lontane cime del Malvuerich e Creta di Pricot. Sentimenti di felicità, misti a nostalgia si
impossessano del mio stato d’animo. Io, che sono nato sul mare, provo nostalgia
per un mondo non vissuto. Io, che sono stato bagnato e unto dalla salsedine e
ho respirato lo smog della città, mi commuovo nel fiutare il profumo dell’erba,
e ascoltare il suono dei campanacci appesi ai collari delle mucche. Me ne sto
accanto al camino, a montare il latte dentro la pentola, mentre sotto di essa
arde il fuoco. Aspettando gli ordini del
vecchio malgaro, per poi vagare libero nei prati, respirando quella sensazione
di libertà. Riprendo il viaggio per la meta, inebriato, fino a raggiungere il
successivo borgo di Frattis. Pochi metri dopo, proprio sotto il borgo di Aupa,
un carreggiabile si dirama alla sinistra della rotabile, proseguendo per la
bellissima Val Gleris. Mi fermo un attimo ad ammirare le Crete di Gleris, che
si innalzano al cielo come pinnacoli. È impossibile resistere all’incantesimo.
Se chiedete ad un bimbo di disegnare le montagne, in qualsiasi parte del mondo,
egli le illustrerà come una serie di punte, poste in fondo ad una valle di
abeti. Credetemi, tutti i bambini del mondo, inconsciamente disegnano la “Valle
di Gleris”, e io, oggi, sono ritornato bimbo e ho ritrovato il mio disegno
dell’infanzia perduta, riconoscendolo tra mille, e in esso vado a perdermi. La
carrozzabile raggiunge il fondo valle, lascio l’auto presso un ampio parcheggio,
preceduto da un cartello con indicazioni CAI. È un abbandono, perché essa,
l’auto, in questo contesto è fuori luogo. Mi appronto per la partenza, Magritte
scalpita, e io ancora più di lui. Zaino in spalle, fido e sogni al seguito, si
parte. Il primo tratto dell’escursione è il prosieguo della carreggiabile. Le
Crete o “Sette Picche” catturano costantemente la mia attenzione, lo sguardo è
fisso sulle guglie. Dopo un paio di tornanti raggiungo un cartello CAI numerato
sentiero 430 (posto sopra il muretto di contenimento) con le indicazioni per la
forcella della Pecora, e il bivio per forcella Vacca. Sorrido! Le prime difficoltà
dell’escursione consistono in un metro di percorso attrezzato con due staffe,
se è possibile da farsi senza autoassicurazione e caschetto, naturalmente
scherzo! Rido, pensando ad alcuni relatori di forum sulla montagna. Dopo essere
balzato sopra il muretto, comincia il sentiero vero e proprio, che sale il
ripido versante boschivo, tra fitti faggi. Gli abbondanti segnavia mi guidano
sicuro fino al tratto superiore, dove dei bellissimi e regali larici mi suggeriscono
che sto percorrendo un luogo sacro agli “dei”, e che sono ancora in tempo a
ritornare indietro. Proseguo, la sensazione di libertà è forte, sbuco fuori dal
bosco, ammiro il catino selvaggio posto ai piedi delle “Creste”. Guardando da
sinistra a destra, riconosco le Cime di Gleris, a occhio nudo si vedono le forcelle
della Pecora e della Vacca. Al centro dell’anfiteatro selvaggio spicca la più alta
vetta del gruppo (la creta dai Rusei), e alla sua destra, ricoperta di mughi,
la selvaggia Cima Valeri. Proseguo fino a raggiungere un sasso posto al centro
del sentiero, con su dipinte le indicazioni CAI. A sinistra del masso si
procede per la forcella della Pecora, a destra per la forcella della Vacca. La
mia meta è a destra, percorro un centinaio di metri tra i mughi, superando il
primo impluvio, subito dopo la labile traccia si biforca. Bisogna fare
attenzione alle piste: quella a sinistra va alla forcella della Vacca, invece
quella a destra mira a occidente. Un ramo è messo a sbarramento per chi vuol proseguire
per la cima Valeri, intuisco che l’ostacolo è stato messo per aiutare gli
escursionisti che vogliono procedere sulle forcelle; per la meta di oggi,
scavalco l’ostacolo, procedendo per la caduca traccia tra i mughi. Pochi metri
dopo mi ritrovo davanti il primo dei canaloni che percorrerò durante
l’escursione, un ometto mi invita a risalirlo. Da questo ometto in poi non avrò
più tracce e segni da seguire, dovrò affidarmi all’intuito. Risalgo il secco
impluvio, per tratti meno malagevoli, nei primi metri scorre l’acqua. Dopo un
centinaio di metri scorgo un ometto tra la vegetazione, lo seguo, ma vengo tratto
in inganno da una lieve traccia che mi riporta sul canalone. Da questo medesimo
istante inizia la mia “Odissea”. Con il senno di poi, avrei dovuto proseguire
dritto a occidente seguendo nella vegetazione una radura priva di mughi, lo scoprirò
solo al ritorno. Ritornando all’escursione, ritrovandomi sul secco canalone lo risalgo,
guadagnando vistosamente quota, ed errando alla ricerca di un qualche indizio o
traccia che mi indichi la direzione. Invece, mio malgrado, trovo un bel nulla fatto
di niente. Tenendo sempre sotto osservazione Cima Valeri, provo ad avvicinarmi
al suo versante meridionale, la fitta vegetazione di mughi mi trae in inganno.
Rientro nel canalone, percorrendolo quasi fino al vertice, portandomi a pochi
metri della forcella posta tra la Creta dai Rusei e la Cima Valeri (non segnata
sulle mappe). In vista della forcella ho un‘idea (un azzardo), raggiungere la
Cima Valeri dalla cresta meridionale, e poi una volta in vetta, scendere per il
sentiero (via normale?). Nel risalire il canalone, arrampicandomi sui massi, mi
diverto, posso scegliere in libertà i passaggi, provando delle adrenaliniche
sensazioni; le stesse emozioni che provavo da bambino quando mi avventuravo in
piena libertà nei giardini di agrumi o in aperta campagna, alla ricerca del mio
tesoro. Il mio vero e prezioso tesoro, che dopo anni ho scoperto che è sempre
lo stesso,” La libertà”. Voltandomi indietro, scorgo nella fitta vegetazione di
mughi della Cima Valeri un’evidente traccia. Mi fermo un attimo a riflettere: valuto
se mi conviene proseguire per la cresta, risalendo fino in fondo il canalone,
ma con il grosso rischio di incrodarmi; o di tornare indietro e risalire per
sentiero. Scelgo la seconda ipotesi, avendo al seguito Magritte, è salutare per
entrambi evitare di avventurarsi in “missioni impossibili”. Avendo ben localizzato
la posizione del sentiero, ridiscendo per il canalone, attraverso un tratto
boschivo, trovando un altro canalone, e sceso anche per quest’ultimo mi affido
alla speranza. Penso tra me: << Se non trovo nessuna traccia o segno, me
ne ritorno a casa.>>Nemmeno finisco di formulare il pensiero che davanti
mi si materializza un grande masso sormontato da un corposo ometto, che sembra
dirmi: << Buongiorno viandante! Finalmente siete arrivato, avevo perso le
speranze di vedervi.>> Mi fermo, mi guardo in giro, un altro ometto è
posto all’interno presso un piccolo canalino che risale. Ho ancora ore di luce,
quindi procedo. Stavolta penso di aver imboccato la giusta traccia. Risalgo il
piccolo canalino tra i mughi per un centinaio di metri, fino a intersecare l’inerbita
traccia che è solo un varco che mi conduce per ripidi passaggi fino in cresta;
molto pericolosa se piove o in presenza di ghiaccio. Raggiunta la dorsale, la
meta appare più vicina. La traccia, con minor pendenza prosegue da oriente a occidente,
mantenendosi sotto il filo di cresta, sul versante meridionale. Gli ultimi
metri sotto la vetta sono un ripido passaggio inerbito da risalire con quasi
verticale pendenza, mi aiuto con i santi mughi che adopero come corde, fino a
raggiungere la parte terminale dello scosceso versante. La cima sembra non
arrivare mai. Grazie al lavoro dei volontari, noto che nell’ultimo tratto si è
provveduto alla potatura dei rami, la traccia lambisce pericolosamente gli
impressionanti dirupi che si aggettano sulla Val Alba. Con cautela passo dopo
passo, aiutando l’amico fido, raggiungo la piccola vetta della Cima Valeri, ovvero,
un fazzoletto d’erba con un piccolo ometto che si protrae sulle Crete di
Gleris. <<Vetta!!! Wow!! >>Esclamo, e continuando: <<Magritte
c’è l’abbiamo fatta, siamo i migliori, qua la zampa amico!>> Euforico per
l’impresa e la caparbietà dimostrata, finalmente mi tolgo lo zaino. Estraggo da
quest’ultimo una piccola agenda che userò come libro di vetta, e un contenitore
in plastica con elastici, più una penna. Nei giorni che hanno preceduto
l’escursione, ho chiesto al presidente del CAI di Moggio (Michele), se la cima
ne era provvista. L’amico, mi ha confermato l’assenza del libro di vetta,
quindi ho provveduto. Con questo rito,
che ritengo liturgico, e alla presenza del mio fedele scudiero, si procede al
battesimo del libro firme. Conclusa la prima e sacra operazione, passo alla seconda,
meno nobile ma pur necessaria, ovvero il nutrimento, per recuperare le energie,
quest’ultima attività è sollecitata con fervore dall’eroico compagno di viaggio.
Ci nutriamo con una voracità paragonabile a quella di un “velociraptor”,
recuperando velocemente le forze. Nel frattempo Magritte effettua il suo
consueto e proverbiale pisolino di vetta, e io mi dedico a documentare il momento magico.
<<Bello, bello, bello!>> Meravigliosa cima, e che spettacolo,
sudata sì, ma ora è solo goduria, orgasmo mistico.>> Soddisfatto, e dopo
aver colmato lo spirito e soprattutto lo stomaco, ci prepariamo al ritorno.
Zaino in spalle e scrollata di Magritte, si scende, naturalmente con la dovuta attenzione
e concentrazione. Raggiunto Il grande masso sormontato dall’ometto, mi concedo
un momento di riflessione sul percorso da effettuare al ritorno, decidendo di
affidarmi all’istinto, e se sia il caso di costruire altri ometti per i futuri
avventori. La risposta al secondo quesito è di lasciare il luogo come l’ho
trovato, per non togliere il piacere dell’avventura agli altri spiriti liberi
che volessero avventurarsi nella valle. Per il rientro l’intuito mi consiglia
di scendere per il canalone, operazione che eseguo subito e si rivela vincente.
Dopo un centinaio di metri incontro un altro ometto, a conferma che sono nella
giusta direzione. Indeciso se proseguire per il canalone, guardo il prosieguo,
ci sono cinque metri di salto, allora provo a guardare dentro la vegetazione
posta a oriente del greto. Ecco! Scorgo un pertugio tra i mughi, scendo per un
tratto dove gli arbusti si diradano e trovo il terzo ometto. Bene! Sono nella
giusta rotta. In breve! Sono sbucato fuori dall’ometto che mi aveva ingannato
in precedenza durante l’ascesa. Proseguendo per il canale scendo fino a
incrociare la traccia che si collega al sentiero CAI 430. Wow! Doppio Wow!
Anche questa è fatta! Dal masso CAI, in breve raggiungo la carrareccia
dell’andata. Gli ultimi metri del sentiero non richiedono la mia massima concentrazione,
e quindi mi abbandono a libere riflessioni, che dedico alla mia amica,
scomparsa recentemente. Una lacrima solca il mio volto, e il mio pensiero vola,
lontano dalla valle, da questo bel sogno e da questa cima. La montagna anche
oggi mi ha rapito, portandomi lontano dal mondo materiale, e dalle pochezze del
genere umano.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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