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martedì 23 maggio 2017

Monte Brizzia e monte Bruca.

 
Monte Brizzia 1540 m. Monte Bruca 1583 m. dalla strada per Pramollo

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche Orientali.

Avvicinamento: Gemona-Pontebba-Strada per Passo di Pramollo- Sostar nello spiazzo dopo la seconda galleria- Punto di partenza, cartello CAI, a destra appena usciti dalla seconda galleria.

Dislivello: 753 m.

Dislivello complessivo: 950 m.

Distanza percorsa in Km: 13 Km.

Quota minima partenza: 835 m.

Quota massima raggiunta: 1585 m.

Tempi di percorrenza. 5 ore totali, escluse le soste.

 In: Coppia + Magritte.

 Tipologia Escursione: Storico-Selvaggia.

Difficoltà: Escursionisti Esperti, per via di alcuni tratti infidi.

Segnavia: CAI 501 A; 501; bolli rossi e ometti.

Attrezzature: Si.

Croce di vetta: Solo monte Brizzia.

Libro di vetta: Si entrambi.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tab 018.

Periodo consigliato: maggio-ottobre

Condizioni del sentiero: Ben segnato, alcuni tratti erosi.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

 Monte Brizzia e monte Bruca, le due cime del Pontebbano, sono l’ideale per fare un’escursione di fine settimana con la famiglia. La cima del Brizzia domina la cittadina di Pontebba, impossibile non notarla mentre in lungo e in largo si sfreccia per le vie di comunicazioni sottostanti. Montagna dalla quota modesta, di certo non attira gli escursionisti ambiziosi che vogliono aggiungere al loro carnet di successi grandi nomi, ma si sa nella vita “quando si è bevuta l’acqua che sta in superficie, dopo si comincia a bere anche il fondo”; che spesso come succede anche in montagna, da più emozioni di quanto ci aspettiamo. Quindi anche oggi una cima, che nella mia imperdonabile ignoranza ho sempre considerato un rilievo di ripiego, si prende la sua rivincita, regalandomi tante emozioni. L’idea mi è stata suggerita da due escursionisti [Rosetta e Sandro] che l’hanno percorsa recentemente. Ho letto la loro relazione, e mi sono ispirato. E bello ispirarsi a vicenda tra frequentatori dei social network, “nulla si distrugge, ma tutto si diffonde”, è un continuo scambio di dati e opinioni. Sicuramente questo procedimento di “mutuo soccorso” non farà piacere a chi vende libri sull’argomento, Appunto! Noi non lucriamo, ma semplicemente doniamo le nostre esperienze e immagini. È facile riempirsi la bocca con la parola “Libertà”, e poi diventare profittatori e opportunisti, vendendo informazioni con la stessa ignobile azione di chi vende l’acqua. Allora ben vengono i forum, i gruppi sul web dove c’è un libero scambio. Un sorriso, un grazie, sarà il giusto premio per chi dona agli altri le proprie esperienze. Lo spirito di chi va in montagna deve essere senza vincoli, e la montagna saprà essere generosa con chi è “Spirito Libero”. Nessun bravo a chi non suda, a chi non si guadagna con i calli ai piedi l’onore di raggiungere la vetta, o l’obbiettivo prefissato, ma solo disgusto! Ingannare sé stessi mentendo agli altri, o lucrare sul “desiderio di sapere” li considero tra le peggiori azioni che possano commettere gli esseri umani. Donare, barattare esperienze, lo trovo divino, da “super-uomini”, quelli veri con la U maiuscola. Chiusa questa parentesi da idealista, motivata da fatti, continuo a descrivere l’escursione. Dopo una vigilia meteo contraddistinta dal piovasco arriva la domenica mattina, che promette bel tempo. Si parte da casa al completo, con la mia signora, e Magritte impaziente di correre per sentieri. Arrivati nei pressi di Pontebba, ammiriamo la nostra meta, che domina dall’alto la valle. Fino all’ultimo secondo ho il dubbio se percorrere il sentiero CAI 501, che sale dalla località” il Calvario” (più lunga e meno impegnativa) oppure optare per il sentiero 501a, partente dalla strada per il Passo di Pramollo, subito dopo la seconda galleria. Visto e previsto che vorrei fare due cime, opto per la seconda scelta, percorrendo per rotabile la strada che porta al passo. Dopo la seconda galleria scorgo il cartello inizio sentiero, ma non trovo uno slargo adeguato dove lasciare l’auto, inverto direzione, e successivamente contro-inverto fino a sostare l’auto in forte pendenza, sul margine di una carrareccia che si dirama dal tornante successivo al cartello CAI. Parcheggiata l’auto e messi i sassi sotto le gomme, ci si prepara per l’escursione. Una volta pronti, controllate le luci, le chiusure dell’auto, i rubinetti del gas e dell’acqua, si parte, naturalmente con i sogni nello zaino. Raggiunto il cartello con le indicazioni CAI, ci caliamo al disotto della barriera di contenimento, dove ci attende la prima sorpresa: una paretina verticale con staffe e catene. Magritte, si ricorda di avere un impegno e vuol andare via, lo prendo per il collare e gli ricordo che è un eroe, e ha un onore da difendere. Titubante e fidandosi della mia presa si cala con me. Raggiunta la base, vicino il pilone della strada, la seconda sorpresa: una paretina più alta e ripida da risalire sempre con catene e staffe. La mia compagna sale per prima, Magritte mi minaccia di denunciarmi al WWF, precisandomi che preferisce essere abbandonato in autostrada, piuttosto che fare una fine indegna. Lo rincuoro, coraggiosamente e insieme saliamo la paretina. Una volta giunto alla sommità di quest’ultima, il fido si scrolla il pelo, riprendendo il suo abituale aspetto di cane indomito. Superate le prime difficoltà procediamo per la bella mulattiera di guerra, dietro l’angolo ci aspetta un altro tratto delicato, (un traverso friabile, da attraversare con cautela), Magritte tira fuori tutte le sue doti di alpinista, e fischiettando lo supera. La bella mulattiera attraversa in diagonale il ripido versante occidentale del monte Brizzia, oltrepassando alcuni tratti malagevoli. Con una lunga serie di serpentine, guadagniamo quota sul ripido pendio. L’ardita mulattiera malgrado gli anni conserva il suo primitivo fascino, in alcuni tratti è sottile, dove con passaggi aerei supera esposte pareti; altre volte è larga e comoda. Alcuni tratti del sentiero sono erosi e messi in sicurezza da cavi. Il camminarci sopra ti dà l’illusione di essere in fila con i soldati, che cento anni fa la risalivano. Sì, lo so! Sono i nemici, ma per me non lo sono. Li sento cantare in tedesco, ben coscienti, che una volta finita la guerra, con le morose visiteranno l’Italia: Firenze, Venezia, Roma; E noi, italiani, andiamo a Vienna dove passeremo l’ultimo dell’anno a danzare con un valzer di Strauss. Dopo i ripidi pendii raggiungiamo il fitto bosco di abeti presso la località “Scalzer”, dove a causa di alcuni schianti la segnaletica appare disordinata. Guardando la mappa e i segni sul terreno, intuisco che il 501 CAI che sale da Pontebba incrocia il sentiero che stiamo percorrendo, ed esso continua verso la Sella Brisiach, con la numerazione 501. Memorizzando i punti di riferimento ripercorro a ritroso il 501 fino ad avvistare gli stavoli Scalzer, ritorno indietro, dove scorgo un grande trinceramento che prosegue come un serpente a sud risalendo il cocuzzolo Scalzer, lo seguo! Dopo aver attraversato una zona piena di schianti, noto una targa con un’iscrizione, seguo la trincea che arriva alla quota di 1270 m. L’ampio trinceramento aggira il costone, fotografo un bunker, targa alla parete di cemento.  La trincea scende in basso, dove noto altre targhe, ritorniamo indietro fino all’incrocio con il sentiero 501, percependo (io e mia moglie) la presenza dei soldati austroungarici. Ne ascoltiamo le voci, si sentono gli spari dei fucili, il rombo dei cannoni e lo stridulo suono delle mitragliatrici. Il bosco e le trincee non sono curate, come se in questo istante fosse in atto un bombardamento. E’ difficile spiegare, tutto intorno è un brulicare di soldati, e noi siamo gli intrusi, entrando nella loro vita che la morte ha reso eterna. Avviandoci per il Brizza, al lato del sentiero cinque enormi abeti crescono dalla terra che un giorno ospitò le spoglie di cinque soldati austroungarici. Cinque croci di ferro sono inchiodate ad altrettante croci latine in metallo, e accanto ad esse cinque croci latine con tabernacoli in legno. I militi germani: belli, forti, biondi e giovani, adesso giacciono sotto un metro di terra. Il loro sangue fu linfa vitale per gli stessi abeti, anch’essi: belli, forti e regali, come la vita che la “Signora Nera” un dì a loro tolse. Mi fermo un attimo, in preghiera, e penso. Penso all’incontro tra l’Odisseo e il Pelide Achille, quest’ultimo onorato e interrogato dall’astuto eroe omerico rispose: <<Preferirei servire da bracciante un uomo povero, piuttosto che regnare su tutti i morti.>> Che onore essere riveriti e non dimenticati, ma che vita è una vita non vissuta, che rende sterile una generazione, e la priva dei sogni. Con queste mie amare considerazioni riprendo il cammino verso le cime, sicuramente anche la mia signora avrà fatto le sue riflessioni, come tutti quelli che passano sotto questi cinque abeti. Il sentiero 501 affronta l’ultimo tratto, non impegnativo, in breve tempo, attraversando il bosco, sempre per comoda mulattiera, raggiungiamo la sella di Brisiach (quota 1421 metri). Il sentiero si dirama: il 501 prosegue a sinistra, mentre per il Brizzia una traccia segnata e marcata procede a destra, seguiamo quest’ultima. Dopo aver superato un tratto dirupato con cavo lasco, percorriamo il costone boschivo tra faggi antropomorfi e ontani. Il sentiero si affaccia sul versante meridionale dove raggiungiamo il punto più elevato del monte (quota 1570 m.), che domina a oriente il paesaggio, tra cui spicca il massiccio dello Scinauz. Sotto di noi gli impressionanti dirupi si aggettano sulla selvaggia valle. Il sole che si fa sentire, ci accompagna alla grande croce, pochi metri più bassa della cima precedente, ma posta a guardia della valle di Pontebba (quota 1540 m.). Zaini a terra, ci accomodiamo sulla panchina posta alla base dell’abnorme simbolo religioso, molto appariscente per i miei gusti. Tiriamo fuori dagli zaini le cibarie, ci sfamiamo, e commentiamo il paesaggio. Non nascondo una certa emozione nel riconoscere da destra a sinistra le cime, molte delle quali le ho percorse di recente. All’interno del basamento della croce, è posta una cassetta rossa in metallo contenente libro di vetta. Apro, tra i vari visitatori scorgo alcuni amici del gruppo “Spiriti Liberi”, e altri che ignoro. Firmo e ripongo il materiale. La giornata è bella, la visuale sul Fella e la valle meritano il giusto onore. Ripresi gli zaini, affrontiamo il ritorno, ripassando sui nostri passi fino a raggiungere la sella. Mentre salivo osservavo le pendici del monte Bruca, studiandolo. Affronto da solo la seconda cima, lasciando la mia compagna presso la sella, in compagnia dell’eroico fido. Mi organizzo per raggiungere la vetta del Bruca, con me al seguito porto solo due paia di guanti da lavoro, il GPS, acqua e frutta secca. Parto, lesto, più veloce della luce. Girandomi indietro osservo il sorriso della mia signora, e il punto interrogativo espresso da Magritte. Cammino alla volta della cima, seguo la vecchia mulattiera di guerra che con una serie di tornanti risale il fianco meridionale del monte, attraversando la faggeta dove scorgo caverne artificiali. Una sella esposta sui dirupi a occidente collega l’ante-cima al corpo principale del monte, subito dopo adocchio un cartello con le indicazioni per il Bruca e un bollo rosso posti su dei faggi, essi mi consigliano di abbandonare il sentiero 501 per andare in vetta. Tra i mughi la marcata e ripida traccia mi porta all’ultimo tratto, tra rocce friabili e utili mughi che adopero come passamano. I bolli mi accompagnano sulla vetta, che è abbastanza spaziosa, la traccia con un’ampia ansa svolta da destra a sinistra raggiungendo il centro dell’ampio cupolone ricoperto a occidente di mughi. La vetta è materializzata da: un paio di sassi, un verticale ramo secco, e quello che rimane di un secchiello nero, contenente al suo interno un porta-alimenti in plastica con il libro di vetta. La cima è sobria, bella e selvaggia. È totalmente l’opposto dell’appariscente cima del Brizzia. Il silenzio regna sovrano, e il paesaggio è davvero splendido. Apporto la mia firma sul libretto. Mi godo la visione, e ridiscendo, accompagnato dal caldo sole. Raggiunta velocemente la sella dove sostano la mia signora e Magritte si riprende il viaggio, stavolta verso l’auto. Il sentiero in discesa lo affrontiamo con soddisfazione, l’escursione ci ha caricato. Nel frattempo incrociamo un paio di gruppi di escursionisti in salita. Raggiunti gli ultimi tornanti, odiamo il rombo delle moto che percorrono la strada che porta al Passo di Pramollo, dopo pochi minuti scorgiamo la strada, siamo vicini. Mentre stiamo per attraversare un canalino, Magritte, si ferma puntando le zampette, si rifiuta di andare avanti. Ho intuito, la sua eccellente memoria si ricorda delle due paretine con staffe affrontate a inizio escursione. Magritte mi fissa negli occhi e con tono serio e perentorio mi dice: <<Caro Malfa, abbi rispetto del tuo compagno di avventure, non ho nove vite come il gattaccio pseudoselvatico dalla coda amovibile, quindi visto che mezza vita me la sono giocata all’andata, abbi pietà di me, e fai in modo che io possa avere un buon ricordo di questa escursione.>> Guardo Magritte sbalordito, colpito anche dalla raffinatezza dell’enunciare, gli chiedo quale alternative mi propone. Rimanere sulla cengia e vivere sui monti? Oppure, buttarmi dal costone a mo’ di aliante. Il fido con tono serio mi risponde. <<Malfa, non fare lo spiritoso, non farmi pentire di tutte le volte che ho avuto le tue succulente caviglie a portata di zanne. Allora, ti spiego il mio piano, prendi nota! Ascolta, scendiamo per questo canalino, ho visionato all’andata il tratto. Non ci sono passaggi pericolosi, anzi vedrai che sarà una piacevole discesa, che ci porterà sani e salvi e senza patemi d’animo fino al greto del rio Bombaso. Raggiunto quest’ultimo, tu innalzerai un paio di ometti, e proseguendo pochi metri avanti, a sinistra, seguendo il corso d’acqua, erigerai un altro ometto. Guadato il rio, nel punto più agevole, saliamo sull’altra sponda trovandoci sulla carrareccia, a dieci metri dall’auto.>> Il Piano del canino alpino non fa una grinza, se scendendo per il canale, constato che ha ragione, chiamerò questa deviazione “Scorciatoia Magritte”, e gli cederò in auto la metà dei miei panini. Scendiamo fiduciosi per il sottostante canale, seguendo le indicazioni di Magritte, in pochi minuti senza nessuna apprensione e fatica, ci ritroviamo sul greto del torrente, dove, come promesso, erigo due ometti. Memore dei dettami, proseguo a sud, dove il torrente si fa esiguo tra due vasche. Prima e dopo il guado erigo altri due ometti, superato il rio ci troviamo sulla carrareccia, a ridosso dell’auto. Rimango sbigottito, il fido ha fatto bingo. Magritte saltella baldanzoso, mi guarda negli occhi, e con espressione compiaciuta, mi dice: <<Elementare, Malfa! Elementare!>> Raggiunta l’auto, soddisfatti, ci prepariamo per il rientro, e una volta pronti ci avviamo per la valle friulana. In auto pago a Magritte la scommessa persa, dividendo con lui, e con gioia, i panini. Così volge al termine la splendida escursione sul monte Brizzia e Bruca, in compagnia della mia consorte e del fido Magritte.

       Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 







































































































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