Monte Teverone:
Cimon de la Busa Valars 2345 m. (Cima
Ovest); Cima Busa Secca 2328 m. (cima est) da Malga Degnona (Alpago).
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti oltre Piave- Gruppo del Col Nudo-Cavallo
Regione:
Veneto
Avvicinamento:
Montereale di Val Cellino-Barcis-Cimolais-Erto-Longarone- Alpago -Pieve Alpago-
Schiucaz- Lamosano- Alpàos- San martino
di Alpago - Malga Degnona.
Dislivello: 1300
m.
Dislivello
complessivo: 1300 m.
Distanza
percorsa in Km: 7,2 Km.
Quota minima
partenza: 1102 m.
Quota
massima raggiunta: 2345 m.
Tempi di
percorrenza. 4ore in salita-2 ore in discesa escludendo le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Segnavia:
CAI 931, radi ometti, bolli rossi dalla forcella alle cime.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Si due sulla cima est, nessuna sulla cima principale.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: TABACCO N. 012 - Alpago, Cansiglio, Pian Cavallo 1:25000
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Selvaggio, ma ben segnato.
Data. 28
maggio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Il Monte Teverone,
l’ho visto per la prima volta mentre salivo l’anno scorso sul Crep Nudo, rimasi
colpito dalla sua possente mole. Volevo affrontare questa escursione un mese
fa, ma le recenti nevicate mi hanno scoraggiato. Dalle ultime escursioni
guardando l’orizzonte alpino ho costatato che la neve rimaneva solo su alcune
cime al di sopra dei 2500 metri di quota, quindi rischiando, ma non troppo, ho
deciso di affrontare l’avventura. Durante la settimana che precede l’escursione
ho letto alcune relazioni nel web riguardanti il Teverone; in sintesi: trattasi
di una lunga sfacchinata per ripido pendio fino alla forcella, dopo di ché c’è
da raggiungere le due cime, poste a destra e a sinistra della forcella che si
aggetta sullo strapiombante e vertiginoso versante settentrionale. Per
raggiungere le cime si procede con passaggi di primo grado, di cui alcuni esposti.
Con queste informazioni mi preparo per l’escursione, mantenendo nei confronti
del monte il dovuto timore reverenziale. La domenica mattina, non avverto
stanchezza. malgrado appena due giorni prima ho effettuato un’escursione impegnativa,
di ventidue chilometri, nelle alpi carniche orientali. Sto bene, mi sento in
forma, dinamico, ed eccitato per la nuova avventura. Esco presto da casa,
passando per lla peba valle del Cellino dal borgo omonimo, scruto le pareti
settentrionali del Teverone, esse sono ben visibili, dominano dall’alto la
selvaggia valle Chialedina. <<Bene! << Esclamo. <<Non c’è
neve.>> Attraverso la valle del Vajont, ammirando il monte Toc. Dopo le
gallerie presso la diga mi ritrovo in Veneto, scendendo per la rotabile che mi
porta a Longarone. La giornata è bella, stimola l’evasione, e io da malfattore
non solo non mi esimo, ma ne approfitto. Raggiunto il magico Alpago, affronto
la parte più difficile dell’intera escursione, ovvero districarmi per i borghi
e le frazioni dell’Alpago. Raggiungo la località prevista per la partenza
infilando una serie di nomi (Pieve Alpago- Schiucaz- Lamosano- Alpàos- San martino di Alpago) e per stradina
stretta e asfaltata raggiungo la malga Degnona. Per sicurezza durante il
tragitto ho chiesto conferma dell’itinerario alla gente del luogo. I valligiani
mi hanno risposto sempre con tanta cortesia, e dolcezza. Poco sotto la malga
Degnona, una simpatica signora che guida un piccolo trattore, è indaffarata nel
mettere cartelli e segnali per la maratona locale. Mi fermo, chiedendo se
procedo bene per il mio obiettivo. Sorridente e cordiale, è prodiga di
informazioni, mi raggiunge poco dopo nei pressi della malga, mentre mi preparo per l’escursione. Si ferma a conversare,
ella, conosce bene il Teverone, intuisco dalle sue dritte che l’impresa sarà
meno difficile di quanto pensassi. Lasciando l’auto al margine della
carrareccia (quota 1102 m), zaino in spalle e sogni al seguito, parto. Scorgo un
paio di cartelli: uno scritto in veneto che avvisa che anche in montagna ci
sono le regole, e l’altro con le indicazioni CAI (sentiero 931), e i tempi di
percorrenza (quattro ore per raggiungere il vertice del Teverone). Mi inoltro
nel bosco di aghifoglie, la pendenza è sin da subito sostenuta, e rimarrà tale fino
a fine percorso, superando spesso il 35%. Nel primo tratto, il sentiero,
adombrato, procede dentro il bosco di Colon, fino alla base di un canalone, con
il caratteristico profilo roccioso. Sulla destra proseguo dentro il bosco,
sbucando nel ripido pendio erboso esposto a meridione. Miro alla base della caratteristica
parete, sostando sul panoramico pulpito, da dove ammiro la valle dell’Alpago a
sud e il Vallone che mi aspetta a nord. Il primo tratto di sentiero lambisce le
pareti rocciose dell’ampio canalone, per poi tagliare tra le ghiaie e portarsi
al centro del vallone. Seguo i numerosi segni tra zolle erbose, mantenendo la
direzione di salita al centro del ripido tratto. I segni sono copiosi, a occhio
nudo riesco a distinguerli a centinaia di metri di distanza. Osservo la
morfologia del luogo, l’ampio catino sommitale e cinto dalle ripide pareti
verticali, quelle a sinistra appaiono più fattibili. I segni virano a destra
spingendosi alla base dell’anfratto roccioso. Temo di trovare lingue di neve, per
fortuna la poca rimasta è quasi del tutto dissolta. Seguendo i segni scalo
l’asperità, tra rocce e piccoli salti affrontabili senza l’uso delle mani, fino
a raggiungere il canalino finale che sfocia sulla forcella. Le nubi birichine
giocano con il “forestiero nomade”, velando e svelando le nude creste. In
forcella mi fermo pochi metri sotto la linea che delimita il canalino di salita
dal vertiginoso dirupo che si aggetta a nord (quota 2290 m.). Ho impiegato meno di tre ore, sono gratificato.
Come è mia consuetudine, subordino la curiosità alla logica, quindi procedo
alla fase successiva dell’escursione, tralasciando inizialmente la visione
sulla valle del Cellino. Sgancio lo zaino (molto pesante per via della scorta
d’acqua) e lo adagio tra le rocce. Mi porto al seguito solo la mini sacca, con:
GPS, guanti da lavoro, mini ramponi, e un pile e negli appositi contenitori attaccati
alla cintola dei pantaloni, porto l’acqua, la frutta secca e altro
indispensabile. Pronto! Riparto, iniziando a visitare la forcella. Caspita!
Paurosa, si aggetta sulla valle Chiadelina, con un salto di mille metri; non
soffrendo di vertigini (non è una battuta) mi sporgo per provare l’emozione del
vuoto. Dopo l’adrenalinica visione, ora viene il bello dell’escursione, wow! Anzi
extra doppio wow, sono euforico. Procediamo per ordine, prima si va a sinistra
per la cima principale. Dei chiari ed inequivocabili bolli rossi mi indicano la
via da seguire, un ripido traverso sotto una parete verticale, superata
quest’ultima, sempre per traverso, tra rocce e zolle erbose continuo a
occidente. La roccia è eccellente, appigli e appoggi sono numerosi. L’incedere
è divertente, quasi mai mi aiuto con le mani, non ci sono tratti di arrampicata,
così pervengo alla base del tratto finale che precede la cima principale. Una
serie di piccole svolte mi porta alla cresta e successivamente alla vetta. Dalla
forcella alla cima ho impiegato all’incirca dieci minuti, e non sono il tipo
che ama correre. La vetta (quota 2345 m.) è materializzata da un corposo ometto
e da un segno trigonometrico dell’IGM. Mi fermo, sosto, e mi godo il gioco
delle nuvole. Canticchio un motivetto: <<Vanno, vengono…>>. La
bella nuvoletta esegue giochi di prestigio, sono il suo unico spettatore,
seduto in prima fila a godermi lo spettacolo. <<Venghino, signori, venghino!
Ora potete ammirare la valle del Cellino, ops, guardate a destra la cima
Valars! Pardon! Scusate! Alla vostra sinistra la cresta della cima della Busa
secca e in lontananza il Crep Nudo!>> Assisto divertito a questo mirabile
spettacolo, che oggi non ha uguali. Come posso avere paura di una nuvola, che
gioca con i monti, mostrando ai viandanti le meraviglie. Le sono infinitamente
grato. Grazie alla nube non ho patito eccessivamente il caldo. Ben contento, procedo
verso la cima a oriente, ritornando sui miei passi e proseguendo a est per la
cima Busa Secca. I passaggi su roccia, anche se leggermente esposti, sono abbordabili
rispetto ai precedenti. Raggiungo la seconda cima (2328 m.) con lo stesso tempo
impiegato per la cima principale. Avvisto la croce di vetta, appena raggiunta
la sommità, ne scopro una seconda per terra, anch’essa in metallo; la raccolgo,
accostandola a quella verticale. Anche da questo pulpito la visione è
spettacolare, naturalmente a volte coperta dalla nuvola birichina, che continua
imperterrita la sua esibizione. A oriente perdendo quota la traccia prosegue
per la bella cresta che porta al Crep Nudo. Effettuate anche su questa cima le
foto di rito, rientro, naturalmente fermandomi spesso ad ammirare il
vertiginoso salto sulla valle del Cellino. Raggiunta la forcella, finalmente mi
concedo una meritata pausa. Procedo con il reintegro delle energie, il momento
liturgico dopo la sacra visione. Mentre finisco di rifocillarmi, dalla nebbia
in basso vedo qualcosa muoversi, penso che sia un umano, infatti è un
escursionista, solitario? Gli do il benvenuto, mi risponde, nel frattempo noto
altri movimenti alle sue spalle, sempre dalla nebbia spuntano fuori i suoi
compagni di viaggio. Si conversa, sono allegro, forse su di giri e prodigo di
consigli. Mi rendo conto che dopo aver concluso le fatiche il tutto appare
facile, spesso tra il serio e il faceto mi dico: << È sempre facile la “Montagna”
… dopo che l’hai conquistata”.>> Consiglio a loro di lasciare gli zaini
in forcella, e procedere in libera. Sorridono, mi chiedono da dove provengo,
intuisco che si riferiscono al mio spiccato accento stile” Aldo”, del famoso
gruppo comico” Aldo, Giovanni, Giacomo”. Loro sono veneti, della zona, beh! Questo
fa sorridere più a me, soprattutto perché uno di loro non ha fatto il militare
come alpino ma da marinaio. Sono passato dalla magia della nuvola al
surrealismo del genere umano. Con piacere noto che hanno colto il mio
consiglio. Mi appronto per il ritorno, indosso lo zaino, saluto la compagnia e
scendo a valle. Il ritorno che mi aspetto faticoso, si rivela non impegnativo,
in un’ora e mezza raggiungo l’auto, naturalmente senza correre, gustandomi
dall’alto il paesaggio sul magico Alpago. Mi preparo per il rientro,
lasciandomi cullare dal sole. Piano piano, scendo dall’Alpago, ammirando le
vecchie case e i bei volti dei vallegiani. La stanchezza a volte è terapeutica,
mi consiglia di procedere lentamente, ammirando il paesaggio lungo il tragitto.
Il Teverone è stata una gradita sorpresa, ringrazio la “Montagna” per questo
dono.
Il vostro “Forestiero
Nomade”
Malfa.