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martedì 22 marzo 2016

Alle falde del Monte Cucco!



Prima breve escursione sulla neve, dopo un forte attacco influenzale e le copiose nevicate dei giorni passati.

Da tempo avevo in mente il monte Cucco. Con le nevicate che sono arrivate bassissime, prevedevo già problemi alla partenza. Sorprendentemente ho trovato sgombra la strada che da Arta porta alla località di borgo Rivalpo. In auto percorro la stretta careggiata che dal centro della frazione mi porta fino alla chiesetta DI San Martino (quota 930 m.). Lascio l’auto nell’ ampio parcheggio, indosso le ghette e con le ciaspe al seguito inizio questa avventura. Dietro la caratteristica chiesetta, una vecchia   carrareccia da oriente a occidente risale il pendio boscoso, fino alle pendici del Monte Tersadia. Con il guadagnare di quota, aumenta lo spessore del manto nevoso, fino a superare il mezzo metro centimetri in alcuni tratti. Superati alcuni vecchi stavoli (quota 1044 m) la carreggiata quasi scompare nella neve. L’incedere diventa più faticoso, mi sposto sul margine destro dove la neve è più dura, così evito di usare le ciaspole. Supero una ampia radura, la neve è morbida e profonda più di mezzo metro, cammino a fatica, affondando con gli scarponi fino a sopra le ginocchia. Raggiungo un bivio, la carrareccia prosegue a destra in direzione della Malga Valdeman di sotto, mentre a sinistra noto un sentiero che risale il pendio erboso. Da buon spirito libero dopo aver visionato la mappa, opto per quest’ultimo sentiero. La neve è soffice, affondo con gli scarponi, decido di sganciare dallo zaino le ciaspole. Le uso per la prima volta. Negli ultimi anni, più che mai il mio motto è “Carpe Diem”, non è la solita frase fatta. A otto anni fuggii da un collegio dove mi avevano relegato “I mie adorati zii”, dopo la morte di mio padre. Appena fuori dal collegio notai una scritta sotto un vecchio orologio settecentesco “Carpe Diem”. Fuggii per i monti, quindici chilometri, fino a raggiungere la mia città. Da allora per me, i monti e la scritta” Carpe Diem” sono sinonimo di libertà. Ritornando all’escursione, calzate le ciaspole, proseguo in sull’esile traccia. Un po’ imbranato all’inizio, sembravo un papero, intuisco che devo camminare a gambe larghe. Il vecchio troi è erto, mi esercito superando tratti esposti e scoscesi. Bastano poche centinaia di metri per impadronirmi dello strumento. Mi rendo conto che mi sono inoltrato molto a occidente con la traccia, decido di risalire un pendio inclinato fino a ritrovare un ampio sentiero CAI, numerato 410, che non mi risulta segnato sulla mappa, sarà di nuova numerazione. Decido di seguire la traccia ad oriente, ottima intuizione. Supero un tratto dove il sentiero è scavato nella roccia superando un traverso strapiombante nel vuoto(adrenalinico). La cima oggi sarebbe impossibile da raggiungere, sono le ore dodici e nemmeno sono giunto alla malga, senza tanti ripensamenti decido di rientrare per la normale carrareccia. Arrivato agli stavoli precedenti, mi avvicino alla Baita, adornata da mille oggetti, il cancelletto è aperto. Lo varco, portandomi nei pressi di un tavolo con panche. Sgancio lo zaino, tolgo le ciaspole, nel frattempo Magritte sale sul tavolo cercando un luogo asciutto. Gironzolo intorno alla baita, quanti feticci appesi! Sembra che abbiano raccolto oggetti smarriti. E’ un po’ tetra! Mi cambio il pile sudato, e finalmente banchetto, in compagnia del mio fido. Bello, bello, bello! Seduto sulla panca, guardo verso il monte Cucco, ammirando il paesaggio invernale. Penso: <<come sentiero in primavera sarà facile>>. Magritte, mangia la sua razione, e adocchia la mia.  Giochiamo, è simpaticissimo, era tanto buffo osservarlo quando affondava nella neve. Finita la breve pausa riprendiamo il cammino verso l’auto, non prima di aver incontrato una matura signora con segugio. Saluto, risponde, mi fermo a conversare. La signora è un enciclopedia della saggezza popolare, mi rende edotto sulle condizioni della neve e le relative conseguenze, quanto durerà, ecc ecc. Commiatatomi dalla simpatica Carnica, riprendo il cammino verso la civiltà. Sereno, felice di aver dipinto con l’animo quel bianco di emozioni.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 

 







































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