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martedì 25 ottobre 2022

Anello del Monte Flagjel e Cima dei Laris da Cuel di Forchia.

Anello del Monte Flagjel e Cima dei Laris da Cuel di Forchia.

 

 

Localizzazione:  Prealpi Carniche

 

Avvicinamento: Lestans- Pinzano- Forgaria-Monte Prat- Cuel di Forchia- posteggi incustoditi soggetti ad atti di vandalismo da parte di sconosciuti.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

 

Provincia di: UD

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Dislivello: 620 m.

 

Dislivello complessivo:


Distanza percorsa in Km: 14,57


Quota minima partenza: 900 m.

 

Quota massima raggiunta: 1667 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: paesaggistica escursionistica

 

Difficoltà: escursionistiche

 

Tipologia sentiero o cammino: sentiero CAI, carrareccia-sentiero non CAI ma segnato benissimo.

 

 

Ferrata- no

 

Segnavia: CAI 815- segni giallo-rossi sul sentiero che da Monte Flagjel conduce passando per la Cima dei Laris alla carrareccia di servizio.,

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: si, breve tratto sulla mulattiera che conduce al monte Flagjel

 

Croce di vetta: si

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

Consigliati:

 

Periodo consigliato:  primavera e autunno

 

Da evitare da farsi in: condizione di sentiero ghiacciato

 

Dedicata a: coloro che amano assaporare i colori autunnali

 

Condizioni del sentiero: ben marcato e segnato



Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet: 

Data dell’escursione: 20 ottobre 2022

 

Data di pubblicazione della relazione:

 

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

La Cima dei Laris in passato l’ho spesso osservata dal basso, precisamente dalla strada che da Anduins conduce a San Francesco. Il versante selvaggio e fittamente boschivo me l’hanno fatta immaginare come difficile da scalare, con un crinale farraginoso molto più idoneo ai greppisti. Una casuale lettura della mappa relativa al monte Cuar ha mutato le mie valutazioni, quindi, ho ideato un itinerario con partenza da Cuel di Forchia (da anni non ascendevo da questo pulpito). In passato per salire il monte Cuar ho sempre preferito l’assolato versante  con punto di partenza dalla Val Tochel, invece, quest’ultimo itinerario che ho in mente, si sviluppa sul versante settentrionale del monte, quindi, la partenza sarà dal Cuel di Forchia.

Nelle prime ore del mattino transito in auto per le strade comunali che attraversano le  frazioni di   Flagogna e Ragogna, e seguendo la chiara segnaletica, inizio l’ascesa tramite i numerosi tornanti che conducono al monte Prat. Sono così tante le mie visite sull’altopiano, che pare che la mia auto abbia inserito il pilota automatico. Il monte Prat è un affascinante località, meravigliosa in tutte le stagioni, e serba più di mille segreti per i viandanti. Il tratto che mi porta alla forchia, si addentra nel cuore del monte finché svolta a oriente in direzione della forcella che collega il versante orientale del Cuar a quello occidentale del monte Covria. Erano tanti anni che non salivo quassù con l’auto. Benché l’aurora abbia dato il buongiorno,  sono il primo  che approda al parcheggio. Bastano pochi minuti per passare dalla versione automobilista a quella da escursionista, ed eccomi, bello e pimpante, iniziare i primi passi del viaggio. Avendo ancora nelle gambe l’escursione precedente, procedo per la via più lunga e meno faticosa. Pochi metri dopo dove ho lasciato l’auto, sulla sinistra diparte un sentiero segnato e numerato 815. È una antica via di servizio dei malgari, e ne sono testimoni i muri a secco che a volte compaiono lungo il sentiero. Presso i  vetusti ruderi degli stavoli Pala ammiro un meraviglioso architrave in pietra ancora in piedi, mentre l’ombra proiettata dalle fronde di un regale noce è custode delle memorie del sito. Il sacro silenzio dell’ambiente è rotto dal crepitare delle foglie secche al calpestio dei miei scarponi. Il cammino lungo sentiero non è lungo e ben presto mi immetto su una comoda carrareccia.  È impossibile perdersi grazie alla numerosa ed efficiente segnaletica. La comoda carrareccia taglia il versante settentrionale del monte Cuar. Lungo il cammino e presso un faggio trovo una spartana tabella (inchiodata) con indicazione per la malga Gabor. La diramazione non era in programma, ma sono curioso, quindi, lascio lo sterrato per seguire, guidato dai troppi ed evidenti bolli blu una traccia che risale un secco impluvio. Dopo una cinquantina di metri di dislivello all’interno della boscaglia mi ritrovo a ridosso dei ruderi della malga. Del remoto riparo rimane ben poco, anche se i resti evidenziano la possanza della costruzione. Peccato, se la struttura fosse restaurata sarebbe stato un ottimo riparo per i viandanti. Scendendo tra la vegetazione incolta ritrovo la precedente carrareccia e proseguo il cammino per la meta. I colori rossicci del fogliame dei faggi infiammano la scena e anche il mio spirito, donando all’ambiente circostante il tipico fascino autunnale.

Devio per il sentiero, sempre numerato 815, che mi conduce alla Malga Cuar. Il tratto è molto scorrevole e ben battuto, e i colori bruni del bosco amplificano il mio sentimento poetico, dandomi vibrazioni  e sensazioni di beatitudine. Dal bosco improvvisamente filtra una luce, sono a ridosso dell’ampia e ripida radura che mi porterà alla malga. Dopo pochi metri in alto spunta l’edificio e di seguito l’ampiezza dell’ambiente dedicato all’alpeggio. Dalla felice posizione posso ammirare il versante boschivo che conduce alla vetta del monte Cuar, che mi appare velata da una leggera caligine. Sfioro la struttura dell’edificio, nessuna presenza umana è enunciata e anche le giovenche sono assenti, pare che si siano allontanate da poco, e gli odori dello sterco rimandano all’olfatto una viva memoria.

Non avverto ancora la fatica, quindi, non effettuo nessuna sosta e procedo dritto per la meta che è il monte Flagjel.

Dalla malga, in senso antiorario aggiro tramite il medesimo sentiero CAI che sto percorrendo  il Cuel dai Poz, sbucando in uno stretto avvallamento nominato Val dai Poz. Pochi metri  di cammino e sono a ridosso di una palizzata che protegge dall’affascinante e aggettante cresta, che delimita il versante boschivo e settentrionale del monte Cuar da quello ripidissimo e orientale.

La cresta l’ho percorsa più volte, essa mantiene intatto il suo fascino. Il primo tratto di sentiero è un po' caotico, ma poi si dispiega in tutta la sua naturalezza, trattasi di una remota mulattiera, interrotta in un tratto da un franamento, e messa in sicurezza tramite una catena provvidenziale.

Dopo pochi metri la pista si mescia con il declivio, e in essa si perde. È saggio risalire di alcuni metri il versante e trovare la traccia che conduce agli ultimi tornanti della mulattiera. L’abnorme croce del monte Flagjel è visibilissima anche da Trieste da quanto è voluminosa, è stata edificata con enormi tubi in metallo, e non poggia sulla quota più alta, ma bensì, su quella panoramica.

Effettuo una breve sosta, e mi copro per bene , visto che l’umidità esterna mi sta raffreddando. Alla base della croce, oltre una serie di targhe è posta una cassettina in metallo con all’interno il libro di vetta. Estrapolo da essa il contenuto, scoprendo un simpatico quaderno con dei pennarelli di vari colori. Lascio il mio segno di passaggio, e una volta ripristinato l’assetto da marcia, riprendo il cammino, per l’ultima meta odierna. Dalla croce quotata metri 1455 metri, risalgo alla più alta di appena 12 metri. Tra i nervosi faggi esposti alle intemperie non vi trovo tracce di ometti, ma sorprendentemente su una corteccia scorgo un segno biancorosso. Mi aspettavo di trovare solo passaggi di camosci e un ambiente molto più selvatico, invece, con mia gradita sorpresa, devo percorrere cento metri di crinale e in discesa, su un comodo tappeto di foglie del bosco di faggi.

Non posso errare, sono svariati i segni sulle cortecce, alcuni biancorossi e altri  giallorossi. Il tratto è comodo, e procedo a intuito visto i chiari segni. Da quota 1467 metri scendo fino al dosso della quota 1403 metri, dove è posto di sentinella un altro bel faggio, la mia meta è ancora 50 metri di quota più in basso. Raggiunta la probabile quota della Cima dei Laris, non vi trovo ometti, assolutamente nulla, solo il dosso spoglio di arbusti  ma con alcune carcasse di alberi esposte a sud.

Lascio momentaneamente lo zaino a terra, e ispeziono ancora in basso. Nulla, non trovo nulla, e la quota si è abbassata sotto i 1340 metri; quindi, risalgo sino allo zaino e decido di erigere ad Artemide un ometto votivo.

Di sassi intorno non ne trovo, mi tocca allontanarmi un po’ di metri e scavare tra le zolle di terra e di fogliame per estrapolarne qualcuno. Con calma e dedizione, riesco nell’opera, un bel ometto di sassi freschi di giornata,  al cui centro ficco un ramo secco e naturalmente ne ricavo anche l’alloggiamento per il contenitore degli spiriti liberi.

A volte mi par di ritornare fanciullo, quando tra amici sulla spiaggia, si edificavano castelli di sabbia, in fondo la montagna riesce a tirare fuori l’eterno fanciullo che alberga nel profondo del nostro spirito.  

Ora il dosso ha un bel aspetto, e l’ometto ha quel certo non so che, che in molti viandanti appiana le fatiche alla prima visione.  Riprendo lo zaino e continuo il cammino, seguendo  i segni sui faggi, e  dopo pochi metri mi ritrovo a ridosso della carrareccia che conduce alla Malga Cuar.

Le difficoltà dovrebbero essere finite, quindi, con passo lento e costante, procedo alla volta della malga per consumare il mio classico panino. Raggiunta l’alpe, mi colloco verso una panca, e imbandisco la stessa a festa. Stavolta  non ho farcito il panino con la mortadella bolognese ai pistacchi, bensì, con il salame milanese. Una variante sul tema, ma ho confermato  come nettare degli Dei il mio rosso preferito, ovvero il Nero d’Avola, naturalmente come frutta una banana, recuperare il potassio è salutare. Lo spuntino è un momento soave, la fame  dovuta alla fatica amplifica questi sentimenti di beatitudine.  Tra un morso e l’altro al pannino, osservo una graziosa famigliola giocare poco più in là sui prati, hanno raggiunto il sito in auto. Trascorso il tempo dedicato a Dionisio, riprendo il cammino, per lo stesso sentiero fatto in salita, ossia l’815. L’escursione è stata splendida, meno impegnativa di quanto avessi previsto, ma il diavolo sul finire ci ha messo la coda. Raggiunto lo spiazzo dove ho lasciato l’auto, trovo un primo automezzo di colore bianco, passandogli accanto noto che ha il vetro laterale frantumato e degli oggetti  disposti in modo disordinato sul sedile del passeggero. Mi preoccupo pure per la mia auto, e constato che anch’essa ha subito lo stesso atto vandalico. Il mio umore varia di poco, mi rendo conto che questi poveri di spirito cercavano quello che solitamente si custodisce nello zaino, quindi, hanno solo fatto danno. Rimango sereno. Codesti signori  sono solo gente orfana di cervello, che conduce una vita inesistente per fare nulla di buono. Ho pietà per costoro, la natura a volte con gli esseri umani è matrigna. Nel frattempo, sopraggiungono in auto delle signore per un’escursione, le avviso dell’accaduto. Riprendo il cammino in  auto, stavolta cambio il percorso del rientro, lo avevo previsto,  procedendo dalla Val di Tochel per la valle solcata dal torrente Arzino. Viaggio con un finestrino forzatamente aperto, e tiro le mie conclusioni, che sono molto semplici. La montagna è un meraviglio luogo, che se ti cadesse anche il cielo in testa ti lascia sempre magnifiche sensazioni, e io questo giorno lo ricorderò per la magnifica gita che ho vissuto.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.
























































 

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