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venerdì 6 maggio 2022

Cengia del cacciatore, Monte Rossa e monte Dassa da Casasola.

Cengia del cacciatore, Monte Rossa e monte Dassa da Casasola.

 

Con questa ultima escursione chiudo un ciclo esplorativo intorno al monte Rossa, da più versanti. Come meta prefissato ho scelto una cengia che mi è stata segnalata in precedenza da un cacciatore locale, davvero magnifica, e a tratti anche adrenalinica.

 

Localizzazione:  Prealpi Carniche- Catena Chiarescons-Cornaget-Resettum - Dorsale Resettum-Raut.

 

 

Avvicinamento: Lestans- toppo-Meduno-Navarons-Casasola- Ampio parcheggio nella periferia del borgo.

 

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia.

 

Provincia di: PN

.

Dislivello: 1050 m.

 

Dislivello complessivo: 1050 m.


Distanza percorsa in Km: 10


Quota minima partenza: 400 m.

 

Quota massima raggiunta: 1309 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore

 

Tipologia Escursione: Ambiente prevalentemente selvaggio, con percorrenza di sentieri remoti o ripristinati, e tracce di cacciatori.

 

Difficoltà: Escursionisti Esperti atti ad agire in ambiente con poche o assenza di tracce e segni.

 

Tipologia sentiero o cammino: remoti sentieri di montagna o tracce di cacciatori o animali selvatici.

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI 973- bolli rossi- per la cengia nessun segno-ho lasciato tre fettucce come indicanti.

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: installato barattolino spiriti liberi anche sul Monte Dassa. Ripristinato materiale sulla vetta del monte  Rossa (deturpato da un gruppo di vandali).

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: primavera-autunno

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: 28 marzo 2022

 

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Dopo circa un mese, esattamente dal 26 febbraio del corrente anno, rieccomi nel medesimo territorio, posto a monte della frazione di Casasola. Mi trovo a riesplorare  il monte Rossa, e di proseguire a occidente per  la cresta, transitando per il monte Dassa, fino alla forcella del Moltrin, per poi rientrare tramite un sentiero ufficiale a Casasola. Durante la precedente escursione avevo incontrato un cacciatore, e nel dialogare sui vari sentieri della zona, mi ha accennato a una misteriosa cengia. La cengia che io nominerò “ del Cacciatore” l’avevo notata durante l’ascesa del canalone che porta al Von,  essa conduce fin sotto le ripide pareti del monte Rossa, mentre i bolli consigliano di continuare a risalire lo stesso canalone. Quel passaggio mancato, dopo la conversazione con il cacciatore, mi frulla in  testa, e da allora è diventato per il sottoscritto un pensiero fisso. Finalmente arriva il giorno che posso togliermi il dubbio e indagare la cengia. Percorro il sentiero selvaggio che si stacca dal sentiero ufficiale 973 poco sopra la frazione di Casasola, pochi metri dopo una piccola cappella votiva. Lungo il tracciato noto il passaggio recente di alcuni escursionisti, molte ramaglie sono state spostate dalla mia ultima ascesa.  In poco tempo raggiungo il ripido versante delle pendici meridionali del monte Rossa, dall’aspetto magico, selvaggio e dolomitico. Poco prima di ascendere il canalone finale, decido di non calzare i ramponi, il terreno è asciutto, e devo solo percorrere un tratto che con la necessaria prudenza non dovrebbe crearmi problemi. Mi inoltro dentro il canale, risalendolo sulla destra orografica, finché raggiungo un punto, dove i bolli  rossi indicano la via a ovest tramite il canalone, proprio nel tratto finale che precede il Von, mentre una traccia marcata prosegue sull’altro versante dello stesso canalone, continuando l’ascesa, ma a oriente. Sono tanto emozionato, non so cosa mi aspetta, per sicurezza stavolta calzo i ramponi da erba, e lascio una fettuccia bicolore in plastica legata a un ramo di un mugo posto all’ingresso della cengia. Ho deciso, il dado è tratto, non mi resta che risalire e scoprire la misteriosa via di accesso al monte Rossa. I primi metri della cengia sono davvero emozionanti, sono cosciente che sto camminando sopra un  impressionante vuoto, i dirupi meridionali del monte Rossa.

La traccia è pulita, e pare che sia abitualmente percorsa, ad un tratto scorgo un volto nella roccia, esso contempla a sud, verso le abitazioni della frazione Casasola. Osservo meglio la forma, è un volto femminile, una donna non più fanciulla per giocare con le bambole ma matura per giocare con l’amore. Rapito come da un sogno mi innamoro del volto e ne odo la  flebile voce. Si chiama Maria, fu la figlia di un contadino che viveva a Casasola. Essa, fu promessa in sposa dal padre a un compaesano, molto più anziano di lei, forse per sanare dei debiti. Notoriamente un tempo l’amore non era per tutte le donne una libera scelta, ma un’utopia, perché, come spesso nell’antichità, venivano usate anche dagli stessi genitori come merce di scambio. Un giorno, mentre la giovine era a tagliare il fieno sul colle di Piel, vide avvicinarsi dal sentiero un forestiero. Lo straniero aveva un aspetto bizzarro: portava un sacco sulle spalle, un bastone e aveva un cane al seguito. Lo stesso calzava strani indumenti, giovane, dimostrava una trentina di anni,  aveva capelli castani lunghi e barba incolta. Maria, mentre falciava, non era indifferente al viandante. Ella, quasi d’istinto, si staccò dal gruppo, sicuramente per farsi notare. Per aumentare la curiosità, sciolse il fazzoletto con cui teneva legata la bruna chioma, che ora fluttuava liberamente grazie alla dolce brezza primaverile. Questo gesto non passò inosservato al giovane forestiero, che raccolse un papavero e lo porse alla fanciulla. Nella breve frazione di tempo che le mani di entrambi furono assai vicine si scatenò un turbinio di emozioni che li rapì. Con il solo sguardo furono avvolti dalla passione, si presero per mano e corsero per i campi fin sotto l’ombra di un acero, dove si abbandonarono all’amplesso. Tutto fu inatteso, solo chi nella vita ha amato può cogliere. La fanciulla con grazia prese il dono del papavero e graziosamente ringraziò, mentre il viandante le sorrise per poi riprendere il cammino, fermandosi poco più avanti presso un olmo, e dandole le spalle. Fu chiaro il messaggio che dettò il viandante << Maria, lascia tutto e fuggi con me! Non avrai mai un tetto fisso sulla testa, solo un cielo stellato, ma avrai tanto amore. Ti aspetto per alcuni minuti, poi riprenderò il cammino. Sarà un addio terreno, ma ti amerò per sempre. >>. La giovane percepì il messaggio, era sul punto di lasciar cadere la falce e correre in direzione del giovane, ma non ebbe il coraggio, qualcosa la frenò. Sicuramente  la bloccarono le abitudini del quotidiano e il non voler dare un dispiacere agli anziani genitori, ma anche le chiacchere delle comari provocate dal gesto;  fatto sta, che il giovane si avviò, svanendo oltre l’orizzonte del paesaggio. La sera stessa, Maria, presa dallo sconforto e dal rimpianto della scelta, finse di portare da bere agli animali della stalla, per poi incamminarsi sul sentiero illuminato dalla luna. Di lei non si seppe più nulla e si persero le tracce. Qualcuno nel paese sentenziò che fu rapita dai turchi, classico di chi non sapendo cosa dire addossa le colpe allo straniero. Non si sa se la giovane raggiunse il viandante, forse perì, ma di una cosa sono sicuro, ella non fu data in sposa per saldare un debito. Il monte Rossa assistette alla vicenda, e commosso, implorò al vento e all’acqua di scolpire il volto di Maria sulle proprie aggettanti e verticali pareti che si orientano sulla frazione di Casasola.

Da allora, il monte Rossa dona il volto scolpito di Maria solo ai forestieri che sanno cogliere la bellezza e l’amore, mentre agli altri  mostra solo il Von, con il volto del vecchio padre che la voleva dare in sposa…

Malfa

Ripresomi dalla storia immaginata, riprendo il passo, transitando sulla meravigliosa cengia.  Metro dopo metro l’emozione cresce a dismisura, i passaggi mi appaiono più ardui di quanto essi siano in realtà. L’adrenalina è costante, ad un tratto la cengia, restringendosi, si abbassa di alcuni metri, e ho paura che essa si esaurisca sulla roccia; ma avvicinandomi noto che anche se esile, continua il suo tratto sino a risalire il versante, sul ripido pendio che immette nel tratto di cresta tra il Von e il Monte Rossa. Ultimi metri da percorrere seguendo le esili tracce, e un ometto posto vicino un solitario faggio segna il congiungimento della traccia con il sentiero di cresta. Fatta! È stata una meravigliosa esperienza di cui serberò un meraviglioso ricordo. Vista la vicinanza della cima del monte Rossa, decido di lasciare lo zaino adagiato presso un ometto di sassi, e di proseguire leggero, al rientro  dalla vetta lo riprenderò. Poche centinaia di metri mi dividono dalla cima, che scorgo immediatamente, riconoscendo la laconica croce eretta dal sottoscritto con due rametti. Ritrovo anche il vasetto di vetro con il foglio per i viandanti, ma ne manca uno, quello con il simbolo del gruppo “La montagna per Spiriti liberi” e la poesia di Walt Witman. Sul blocchetto che avevo lasciato, trovo sola la mia firma iniziale e di alcuni passati dopo di me. Ripristino un foglio nel barattolo, e mi gusto il paesaggio dal ripetitore posto a pochi metri dalla vetta, e in una posizione panoramica. Entusiasta dalla meravigliosa giornata, riprendo il passo e di seguito lo zaino,  avviandomi per cresta a occidente, alla volta dell’elevazione del monte Dassa, che dalla mia posizione appare con il versante settentrionale imbiancato di neve. 

Superata la forcella del Von, procedo per una traccia segnata con bolli rossi, e attraverso una serie di tornanti raggiungo la cresta orientale del monte Dassa.

Il cammino che mi aspetta è uno degli più affascinanti che si possono effettuare in regione. Devo cavalcare la morbida e assolata cresta, avente sempre  il versante meridionale proteso verso la valle friulana, mentre  intravedo in lontananza il bianco del piano inclinato del Monte Raut.

Questo breve tratto di cresta che percorro è l’unico che non conoscevo della lunga cresta che dal monte Raut scende fino alla frazione di Faidona. Una volta raggiunta la forcella Moltrin, potrò scrivere, che, anche se a puntate, ho percorso la cresta per intero. Questo tratto della Dassa è il meno impegnativo dell’intera dorsale, ma assai panoramico, esso è costituito da due cime, la più bassa posta a 1286 metri, mentre la più alta a 1309 metri. Raggiunta la seconda cima, la più alta e meno panoramica, provvedo ad erigere un corposo ometto, includendo in esso un evidente ramo, con la parte terminale alta che si biforca a segno di V.

L’operazione creatrice richiede un po’di tempo e di fatica, ma è fatta in onore dei futuri viandanti, che spero che aggiungano e non distruggano. Finita l’opera, e assecondato dalla fresca brezza, lascio sventolare i colori della bandiera della pace. Pace e amore. La pace e l’amore sono i soggetti astratti, le idee, che ultimamente, come nella mia adolescenza, rapiscono costantemente i miei sentimenti. Per una vita ho professato il mestiere di soldato, e sono stato in tanti paesi del mondo, portando assieme ai miei commilitoni, aiuto e solidarietà tra le  popolazioni sofferenti per cause belliche. Ora che sono in quiescenza, il mondo riaccende mille conflitti, lasciandosi andare all’odio. E un continuo farsi la guerra, a iniziare dai condomini per finire alle Super Potenze.  Come se all’improvviso l’umanità avesse smesso di amare. Sì, effettivamente il genere umano ha smesso di amare. Per questo motivo non mi ritengo schierato quando sventolo i colori dell’arcobaleno, e coscientemente diffido dai finti pacifisti, che ignorano la guerra reale essendo pacifisti da tastiera. Io inizio a fare la pace salutando per primo il viandante che incontro, senza chiedere chi sia, da dove venga, e dove sia diretto…

Le grandi civiltà si sono sviluppate grazie al cammino, alla navigazione e all’esplorazione di pochi, che emigrando dalle proprie terre, per svariati motivi, hanno creato altre frazioni, villaggi, città, nazioni, culture. Chi è rimasto fermo  e non ha voluto integrare o integrarsi, è morto, sepolto dall’ignoranza o da chi è subentrato dopo provenendo da lontano. Questo è il  naturale ciclo del continuo divenire del genere umano, qualcuno se ne faccia una ragione. 

Raggiunta la forcella del Montrin, ammiro la cresta che procede verso il monte Rodolino,  risvegliando vecchi ricordi, ma la mia via procede a meridione, tramite il sentiero 973 che mi riporta a Casasola.  

Il  sentiero 973 in discesa è splendido, selvatico, luminoso, con quei crinali aguzzi e inerbiti che invitano a dominarli. Un accattivante paesaggio che ti mostra l’armonia della natura. Raggiunta la cappella votiva, chiudo il cerchio esplorativo. Pochi metri ancora e raggiungo la periferia di Casasola dove mi aspettano Lucignolo e Pinocchio, i due somarelli che si godono il sole pomeridiano dinanzi agli stavoli.

Non ho ancora desinato, mi ricordo di una panchina posta davanti alla cappella di Sant Antonio, e avente come paesaggio i colli che uniscono in un unico abbraccio le meravigliose frazioni di Navarons, Frisanco, Poffabro e Casasola. Con il lieto e meritato pranzo ha termine la meravigliosa escursione che in un solo dì mi ha visto ammiratore della Cengia del Cacciatore, del monte Rossa , della Dassa, e soprattutto il bel volto di Maria scolpito nella roccia.

Il forestiero Nomade.

Malfa.


















































































 

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