Cengia
del cacciatore, Monte Rossa e monte Dassa da Casasola.
Con
questa ultima escursione chiudo un ciclo esplorativo intorno al monte Rossa, da
più versanti. Come meta prefissato ho scelto una cengia che mi è stata
segnalata in precedenza da un cacciatore locale, davvero magnifica, e a tratti
anche adrenalinica.
Localizzazione: Prealpi Carniche- Catena Chiarescons-Cornaget-Resettum -
Dorsale Resettum-Raut.
Avvicinamento: Lestans- toppo-Meduno-Navarons-Casasola-
Ampio parcheggio nella periferia del borgo.
Regione: Friuli-Venezia
Giulia.
Provincia di: PN
.
Dislivello: 1050 m.
Dislivello complessivo: 1050
m.
Distanza percorsa in Km: 10
Quota minima partenza: 400 m.
Quota massima raggiunta: 1309
m.
Tempi di percorrenza
escluse le soste: 4 ore
Tipologia Escursione:
Ambiente prevalentemente selvaggio, con percorrenza di sentieri remoti o
ripristinati, e tracce di cacciatori.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti atti ad agire in ambiente con poche o assenza di tracce e segni.
Tipologia sentiero o cammino: remoti sentieri di montagna o
tracce di cacciatori o animali selvatici.
Ferrata-
Segnavia: CAI 973- bolli
rossi- per la cengia nessun segno-ho lasciato tre fettucce come indicanti.
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: installato barattolino
spiriti liberi anche sul Monte Dassa. Ripristinato materiale sulla vetta del
monte Rossa (deturpato da un gruppo di
vandali).
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera-autunno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Consigliati:
Data: 28 marzo 2022
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Dopo circa un mese,
esattamente dal 26 febbraio del corrente anno, rieccomi nel medesimo territorio,
posto a monte della frazione di Casasola. Mi trovo a riesplorare il monte Rossa, e di proseguire a occidente
per la cresta, transitando per il monte
Dassa, fino alla forcella del Moltrin, per poi rientrare tramite un sentiero
ufficiale a Casasola. Durante la precedente escursione avevo incontrato un
cacciatore, e nel dialogare sui vari sentieri della zona, mi ha accennato a una
misteriosa cengia. La cengia che io nominerò “ del Cacciatore” l’avevo notata durante
l’ascesa del canalone che porta al Von, essa
conduce fin sotto le ripide pareti del monte Rossa, mentre i bolli consigliano
di continuare a risalire lo stesso canalone. Quel passaggio mancato, dopo la
conversazione con il cacciatore, mi frulla in
testa, e da allora è diventato per il sottoscritto un pensiero fisso.
Finalmente arriva il giorno che posso togliermi il dubbio e indagare la cengia.
Percorro il sentiero selvaggio che si stacca dal sentiero ufficiale 973 poco
sopra la frazione di Casasola, pochi metri dopo una piccola cappella votiva. Lungo
il tracciato noto il passaggio recente di alcuni escursionisti, molte ramaglie
sono state spostate dalla mia ultima ascesa.
In poco tempo raggiungo il ripido versante delle pendici meridionali del
monte Rossa, dall’aspetto magico, selvaggio e dolomitico. Poco prima di ascendere
il canalone finale, decido di non calzare i ramponi, il terreno è asciutto, e
devo solo percorrere un tratto che con la necessaria prudenza non dovrebbe
crearmi problemi. Mi inoltro dentro il canale, risalendolo sulla destra
orografica, finché raggiungo un punto, dove i bolli rossi indicano la via a ovest tramite il
canalone, proprio nel tratto finale che precede il Von, mentre una traccia
marcata prosegue sull’altro versante dello stesso canalone, continuando l’ascesa,
ma a oriente. Sono tanto emozionato, non so cosa mi aspetta, per sicurezza
stavolta calzo i ramponi da erba, e lascio una fettuccia bicolore in plastica
legata a un ramo di un mugo posto all’ingresso della cengia. Ho deciso, il dado
è tratto, non mi resta che risalire e scoprire la misteriosa via di accesso al
monte Rossa. I primi metri della cengia sono davvero emozionanti, sono
cosciente che sto camminando sopra un impressionante vuoto, i dirupi meridionali del
monte Rossa.
La traccia è pulita, e
pare che sia abitualmente percorsa, ad un tratto scorgo un volto nella roccia,
esso contempla a sud, verso le abitazioni della frazione Casasola. Osservo
meglio la forma, è un volto femminile, una donna non più fanciulla per giocare
con le bambole ma matura per giocare con l’amore. Rapito come da un sogno mi
innamoro del volto e ne odo la flebile voce.
Si chiama Maria, fu la figlia di un contadino che viveva a Casasola. Essa, fu promessa
in sposa dal padre a un compaesano, molto più anziano di lei, forse per sanare
dei debiti. Notoriamente un tempo l’amore non era per tutte le donne una libera
scelta, ma un’utopia, perché, come spesso nell’antichità, venivano usate anche
dagli stessi genitori come merce di scambio. Un giorno, mentre la giovine era a
tagliare il fieno sul colle di Piel, vide avvicinarsi dal sentiero un forestiero.
Lo straniero aveva un aspetto bizzarro: portava un sacco sulle spalle, un
bastone e aveva un cane al seguito. Lo stesso calzava strani indumenti,
giovane, dimostrava una trentina di anni, aveva capelli castani lunghi e barba incolta.
Maria, mentre falciava, non era indifferente al viandante. Ella, quasi
d’istinto, si staccò dal gruppo, sicuramente per farsi notare. Per aumentare la
curiosità, sciolse il fazzoletto con cui teneva legata la bruna chioma, che ora
fluttuava liberamente grazie alla dolce brezza primaverile. Questo gesto non
passò inosservato al giovane forestiero, che raccolse un papavero e lo porse
alla fanciulla. Nella breve frazione di tempo che le mani di entrambi furono
assai vicine si scatenò un turbinio di emozioni che li rapì. Con il solo
sguardo furono avvolti dalla passione, si presero per mano e corsero per i
campi fin sotto l’ombra di un acero, dove si abbandonarono all’amplesso. Tutto fu
inatteso, solo chi nella vita ha amato può cogliere. La fanciulla con grazia prese
il dono del papavero e graziosamente ringraziò, mentre il viandante le sorrise per
poi riprendere il cammino, fermandosi poco più avanti presso un olmo, e dandole
le spalle. Fu chiaro il messaggio che dettò il viandante << Maria, lascia
tutto e fuggi con me! Non avrai mai un tetto fisso sulla testa, solo un cielo
stellato, ma avrai tanto amore. Ti aspetto per alcuni minuti, poi riprenderò il
cammino. Sarà un addio terreno, ma ti amerò per sempre. >>. La giovane
percepì il messaggio, era sul punto di lasciar cadere la falce e correre in
direzione del giovane, ma non ebbe il coraggio, qualcosa la frenò. Sicuramente la bloccarono le abitudini del quotidiano e il
non voler dare un dispiacere agli anziani genitori, ma anche le chiacchere
delle comari provocate dal gesto; fatto
sta, che il giovane si avviò, svanendo oltre l’orizzonte del paesaggio. La sera
stessa, Maria, presa dallo sconforto e dal rimpianto della scelta, finse di
portare da bere agli animali della stalla, per poi incamminarsi sul sentiero
illuminato dalla luna. Di lei non si seppe più nulla e si persero le tracce.
Qualcuno nel paese sentenziò che fu rapita dai turchi, classico di chi non
sapendo cosa dire addossa le colpe allo straniero. Non si sa se la giovane
raggiunse il viandante, forse perì, ma di una cosa sono sicuro, ella non fu
data in sposa per saldare un debito. Il monte Rossa assistette alla vicenda, e commosso,
implorò al vento e all’acqua di scolpire il volto di Maria sulle proprie aggettanti
e verticali pareti che si orientano sulla frazione di Casasola.
Da allora, il monte
Rossa dona il volto scolpito di Maria solo ai forestieri che sanno cogliere la
bellezza e l’amore, mentre agli altri
mostra solo il Von, con il volto del vecchio padre che la voleva dare in
sposa…
Malfa
Ripresomi dalla storia
immaginata, riprendo il passo, transitando sulla meravigliosa cengia. Metro dopo metro l’emozione cresce a
dismisura, i passaggi mi appaiono più ardui di quanto essi siano in realtà.
L’adrenalina è costante, ad un tratto la cengia, restringendosi, si abbassa di
alcuni metri, e ho paura che essa si esaurisca sulla roccia; ma avvicinandomi
noto che anche se esile, continua il suo tratto sino a risalire il versante,
sul ripido pendio che immette nel tratto di cresta tra il Von e il Monte Rossa.
Ultimi metri da percorrere seguendo le esili tracce, e un ometto posto vicino un
solitario faggio segna il congiungimento della traccia con il sentiero di
cresta. Fatta! È stata una meravigliosa esperienza di cui serberò un meraviglioso
ricordo. Vista la vicinanza della cima del monte Rossa, decido di lasciare lo
zaino adagiato presso un ometto di sassi, e di proseguire leggero, al
rientro dalla vetta lo riprenderò. Poche
centinaia di metri mi dividono dalla cima, che scorgo immediatamente,
riconoscendo la laconica croce eretta dal sottoscritto con due rametti. Ritrovo
anche il vasetto di vetro con il foglio per i viandanti, ma ne manca uno, quello
con il simbolo del gruppo “La montagna per Spiriti liberi” e la poesia di Walt
Witman. Sul blocchetto che avevo lasciato, trovo sola la mia firma iniziale e di
alcuni passati dopo di me. Ripristino un foglio nel barattolo, e mi gusto il
paesaggio dal ripetitore posto a pochi metri dalla vetta, e in una posizione
panoramica. Entusiasta dalla meravigliosa giornata, riprendo il passo e di
seguito lo zaino, avviandomi per cresta
a occidente, alla volta dell’elevazione del monte Dassa, che dalla mia posizione
appare con il versante settentrionale imbiancato di neve.
Superata la forcella
del Von, procedo per una traccia segnata con bolli rossi, e attraverso una
serie di tornanti raggiungo la cresta orientale del monte Dassa.
Il cammino che mi
aspetta è uno degli più affascinanti che si possono effettuare in regione. Devo
cavalcare la morbida e assolata cresta, avente sempre il versante meridionale proteso verso la
valle friulana, mentre intravedo in
lontananza il bianco del piano inclinato del Monte Raut.
Questo breve tratto di
cresta che percorro è l’unico che non conoscevo della lunga cresta che dal
monte Raut scende fino alla frazione di Faidona. Una volta raggiunta la
forcella Moltrin, potrò scrivere, che, anche se a puntate, ho percorso la
cresta per intero. Questo tratto della Dassa è il meno impegnativo dell’intera
dorsale, ma assai panoramico, esso è costituito da due cime, la più bassa posta
a 1286 metri, mentre la più alta a 1309 metri. Raggiunta la seconda cima, la
più alta e meno panoramica, provvedo ad erigere un corposo ometto, includendo
in esso un evidente ramo, con la parte terminale alta che si biforca a segno di
V.
L’operazione creatrice
richiede un po’di tempo e di fatica, ma è fatta in onore dei futuri viandanti,
che spero che aggiungano e non distruggano. Finita l’opera, e assecondato dalla
fresca brezza, lascio sventolare i colori della bandiera della pace. Pace e
amore. La pace e l’amore sono i soggetti astratti, le idee, che ultimamente,
come nella mia adolescenza, rapiscono costantemente i miei sentimenti. Per una
vita ho professato il mestiere di soldato, e sono stato in tanti paesi del
mondo, portando assieme ai miei commilitoni, aiuto e solidarietà tra le popolazioni sofferenti per cause belliche. Ora
che sono in quiescenza, il mondo riaccende mille conflitti, lasciandosi andare
all’odio. E un continuo farsi la guerra, a iniziare dai condomini per finire alle
Super Potenze. Come se all’improvviso l’umanità
avesse smesso di amare. Sì, effettivamente il genere umano ha smesso di amare.
Per questo motivo non mi ritengo schierato quando sventolo i colori
dell’arcobaleno, e coscientemente diffido dai finti pacifisti, che ignorano la
guerra reale essendo pacifisti da tastiera. Io inizio a fare la pace salutando
per primo il viandante che incontro, senza chiedere chi sia, da dove venga, e
dove sia diretto…
Le grandi civiltà si
sono sviluppate grazie al cammino, alla navigazione e all’esplorazione di
pochi, che emigrando dalle proprie terre, per svariati motivi, hanno creato
altre frazioni, villaggi, città, nazioni, culture. Chi è rimasto fermo e non ha voluto integrare o integrarsi, è morto,
sepolto dall’ignoranza o da chi è subentrato dopo provenendo da lontano. Questo
è il naturale ciclo del continuo
divenire del genere umano, qualcuno se ne faccia una ragione.
Raggiunta la forcella
del Montrin, ammiro la cresta che procede verso il monte Rodolino, risvegliando vecchi ricordi, ma la mia via
procede a meridione, tramite il sentiero 973 che mi riporta a Casasola.
Il sentiero 973 in discesa è splendido,
selvatico, luminoso, con quei crinali aguzzi e inerbiti che invitano a dominarli.
Un accattivante paesaggio che ti mostra l’armonia della natura. Raggiunta la
cappella votiva, chiudo il cerchio esplorativo. Pochi metri ancora e raggiungo
la periferia di Casasola dove mi aspettano Lucignolo e Pinocchio, i due
somarelli che si godono il sole pomeridiano dinanzi agli stavoli.
Non ho ancora desinato,
mi ricordo di una panchina posta davanti alla cappella di Sant Antonio, e
avente come paesaggio i colli che uniscono in un unico abbraccio le
meravigliose frazioni di Navarons, Frisanco, Poffabro e Casasola. Con il lieto
e meritato pranzo ha termine la meravigliosa escursione che in un solo dì mi ha
visto ammiratore della Cengia del Cacciatore, del monte Rossa , della Dassa, e
soprattutto il bel volto di Maria scolpito nella roccia.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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