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mercoledì 6 novembre 2019

Monte Nische e Monte Stregone da Sella Carnizza


 Sulle ali del Vento…
Monte Nische e Monte Stregone da Sella Carnizza

Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Giulie-Val Resia.

Avvicinamento: Pinzano-Gemona -Val Resia- indicazioni per Uccea- Superata Sella Carnizza prendere la biforcazione per Uccea, superato un piccolo villaggio, pochi metri trovare sosta presso un ampio prato verde, (indicazione e attacco sentiero a sinistra) segnavia CAI n.731 (cartello).

Dislivello: 370 m.

Dislivello complessivo: 560 m.

Distanza percorsa in Km: 8 chilometri

Quota minima partenza: 1070 m.

Quota massima raggiunta: 1470 m.

Tempi di percorrenza escluse le soste: 3 ore

In: Solitaria

Tipologia Escursione: Escursionistica-paesaggistica

Difficoltà: Escursionistiche

Segnavia:
Impegno fisico: Basso

Preparazione tecnica: Bassa

Attrezzature: No,

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Sicilia – Tabacco 027.
2) Bibliografici:
3) Internet:

2)          Periodo consigliato: Tutto l’anno.

3)          Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:

Fonti d’acqua: No.

Consigliati:

Data: 01 novembre 2019

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 Questa stagione autunnale è pazzerella, alterna brevi giornate solari ad altre piovose e tediose. Approfittando della straordinaria giornata solare che mi si prospetta decido di dedicarmi un’evasione tra i monti ritornando nella fatata Val Resia. Durante il tragitto in auto in direzione della meta, la volta celeste emigra dalla notte tingendosi d’azzurro. La temperatura esterna dell’abitacolo è fresca, quasi primaverile, straordinariamente insolita in codesto mese che precede il “Generale Inverno”.  Il mio sguardo curioso si specchia negli occhi non tinti e stancati dalla notte insonne. I versanti orientali dei monti sono vivacizzati dal sole, essi ridestano alla memoria riecheggi di passate fatiche.
La Val Resia, custodita dal caldo e protettivo abbraccio delle catene montuose delle Giulie, mi offre i suoi cangianti colori autunnali.  Mi inoltro nella valle lambendo il sinuoso andamento del torrente Resia, cedendo la luce per l’intima conca dell’Uccea. I rossi e le ocre accese della fronda della selva scorta la mia ascesa sino alla Sella. Il varco conserva i segni di un remoto passato bellico, quando i boati dei cannoni succedevano al canto del gallo.
Le singolari e originali baite poste poco dopo la sella Carnizza mi ispirano le voluttuose testimonianze materiche di fugaci incontri sensuali, codeste dimore precedono  di un centinaio di metri il verde prato dove mi separerò  dall’automezzo. La temperatura all’esterno dell’abitacolo è invernale, mi appronto per il viaggio, e co zaino in spalle e sogni al seguito, ricalco il solco del sentiero dopo il cartello CAI. 
La cresta della dorsale che devo percorrere è già illuminata dal sole, essa ben in vista, mi par di toccarla con un dito; il ben marcato e dolce sentiero mi porterà in breve al suo cospetto.
Le fioriture fuori stagione allietano lo spirito del viandante, e il sorbo montano con le gemme del colore dell’amore stimolano il mio passo verso il turchese orizzonte. La mulattiera, realizzata all’inizio del secolo scorso da genieri in uniforme, risale l’assolato versante del monte Nische. Il comodo sentiero, tramite una serie di tornanti, approda all’alpeggio dove i miseri ruderi della casera omonima testimoniano il bucolico e faticoso passato della vita montana. Adesso i resti della malga giacciono, dormienti e silenti, sepolti e rapiti dall’oblio.
Dischiudo il cuore al meraviglioso paesaggio che attornia la prateria sommitale, potrei anche terminare qui l’escursione, il mio spirito è colmo e rapito dalla beatitudine.
Osservo la cresta che procede a occidente tingersi di scarlatto per via di una faggeta che tanto evoca dalla forma il pube. Proseguo il cammino a oriente, per l’esile solco che traspare tra i ciuffi d’erba, e successivamente mi addentro nella rada faggeta che precede la vetta del Nische.
Abbandono la mulattiera che si mantiene in quota e cavalco la schiena della dorsale, un esile traccia mi guida e rassicura che non sono stato il primo viandante che l’ha peregrinata. Ometti di sassi dalle forme originali guidano il passo, raggiungo quello(ometto) corposo, posto alla quota più alta del monte.
La visuale a settentrione è celata dalla vegetazione, effettuo una breve sosta e riprendo il cammino per la prossima cima. Continuo il percorso per cresta, scrutando dall’alto la comoda mulattiera. I faggi antropomorfi richiamano la mia curiosità, avverto la strana sensazione che siano spiriti tormentati e urlanti, come le figure dei dannati nei gironi infernali danteschi. Dalle loro forme percepisco la disperazione, come se vivessero stregati, catturati da un alchemico sentimento che non è l’amore, ma solo la cupezza dell’animo truccata da apparente passione.
Mi seduce in particolare la singolare figura sofferente di un faggio, trovo la sua conformazione fantastica, tanto somigliante al dolore di chi ama ed è conscio di non essere amato, essa effonde un grido di sofferenza sovrumana che va lontanissimo, dove non ci sono animi sensibili disposti a coglierlo.
Lascio il triste luogo, volgendo il cammino in direzione del sole, così raggiungo la seconda cima, monte Stregone, caratterizzata da un equivoco strumento artificiale, sembra un ripetitore di frequenze radio.
Il paesaggio da questa elevazione è ostruito a settentrione, quindi mi abbasso di quota a occidente, per raggiungere un pulpito panoramico sgombro dalla vegetazione.
Fin qui il percorrere la cresta mi ha liberato dai pensieri avversi, ho solo portato al seguito lo zaino, e in solitaria come un apache ho percorso la linea che unisce la vita reale al sogno.
Come un funambolo d’altri tempi percorro questo confine immaginario, tra la vita e la morte, lasciando all’oblio il dolore dell’odierno esistere. Raggiunto il pulpito panoramico pianto i bastoni telescopici e sgancio lo zaino adagiandolo sulla morbida e inerbita zolla, di seguito anch’io mi distendo. Dalla comoda posizione indago intorno, scrutando i monti che hanno segnato il mio recente passato: dalla lunga cresta dei Musi, alle due Babe e di seguito il Monte Canin, asceso per la prima volta insieme ad un grande amico. Oltre i primi rilievi intravedo il Krn e le vicine montagne slovene, il Montasio e le Giulie, mentre a occidente i monti del moggese e le lontane dolomiti friulane, imperiosi nelle forme indicano che l’inverno è ancora lontano.  Dallo zaino traggo la borsa viveri, consumo il pasto e volgendo lo sguardo in orizzonte, fantastico a occhi aperti.
“Ricordo che durante il tragitto ho raccolto un bocciolo di rosa dal mio roseto preferito, e l’ho riposto nel taschino della giacca.
Questo gentile fiore l’ho voluto con me al seguito, come se in esso trasponessi l’amore che si brama e mai si consegue. Apro il taschino abbassando la lampo, lo prendo con delicatezza con la punta delle dita e gli svelo il magico mondo della montagna. Lo adagio sullo zaino, accanto al pupazzo di peluche portafortuna, ne sfioro i leggeri petali racchiusi come lo è un amore timido, lo guardo con un desiderio bramoso, come si dovrebbe con un amore eterno, lo bacio chiudendo gli occhi lo ripongo nel taschino, per poi offrirlo al vento.”


Questa straordinaria giornata è stato uno dono del dio Pan, vorrei proseguire a occidente per cresta, ma non posso, quindi decido di scendere avventurosamente il ripido e scosceso pendio erboso, privo di tracce apparenti. Con attenzione e peripezia e per tratti meno esposti miro alla mulattiera, che dista in basso più di un centinaio di metri di dislivello.
Raggiunta la pista militare la percorro a ritroso, il tratto non esplorato in precedenza si rivela affascinante. Vagare per la cresta è stato sublime, ne avverto già la mancanza. Lassù, sul crinale, volavo come un’aquila e l’infinito assoluto mi emozionava. Rientro rapidamente alla Sella di Carnizza, non ho effettuato un percorso chilometrico, ma ugualmente mi ha colmato il cuore di grandezza e infinite vibrazioni. Verrà di nuovo il giorno in cui ricomincerò a vagare per le alte cime dai percorsi lunghi e tortuosi, per adesso sono pago di respirare per brevi lassi di tempo l’aria di montagna.
Il forestiero Nomade
Malfa.  

























































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