Vetta Bella dalla Val Rio del Lago.
Note tecniche.
Vetta Bella dalla Val
Rio del Lago.
Localizzazione: Alpi Giulie, gruppo del Jof Fuart.
Avvicinamento: Gemona-Chiusaforte- Sella Nevea- Direzione
Cave di Predil-Ponte sul Rio Bianco. (m 989, cartello CAI, piccolo spiazzo a
destra o parcheggio presso il Rio della Trincea).
Località di Partenza: Piccolo spiazzo a destra o parcheggio
presso il Rio della Trincea).
Dislivello: 1000 m.
Dislivello
complessivo:1000 m.
Distanza percorsa in Km: 7 chilometri.
Quota minima partenza: 990 m.
Quota massima raggiunta: 2049 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Escursionistica.
Difficoltà: Escursionisti Esperti.
Segnavia: CAI 625- bolli rossi e ometti.
Impegno fisico: Medio.
Preparazione tecnica: Media.
Attrezzature: Nessuna.
Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: Si.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: IGM regione Friuli.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: luglio-settembre
Da evitare da farsi in: Avversità meteo.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: Molteplici.
Consigliati:
Data: 01 luglio 2018
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Per festeggiare gli undici lustri da tempo avevo in mente
una meta amabile, una vetta bella, appunto ”Vetta Bella” da farsi dalla Val Rio
del Lago. Il compleanno cade di domenica, giornata non propizia per i solitari,
soprattutto nella valle che precede il lago di Predil, infestata come non mai da
turisti. Ma le speranze sono le ultime a morire e favorito da una giornata che
non si preannuncia radiosa, mi avvio per la Valle Raccolana. Nei pressi di
Sella Nevea sono così basse che le nubi che coprono la visuale, l’escursione si
preannuncia avventurosa, e oggi sono ben disposto anche a fare una doccia
fredda per godermi la solitudine.
Pervenuto nei pressi dello spiazzo che precede il sentiero
CAI 625, cerco un posto auto, è tutto pieno, lo trovo ai margini della strada. Mi
osservo intorno, sento il vociare di mille comitive, ma nemmeno l’ombra degli
avventurieri.
Una volta pronto, mi avvio per il sentiero che parte poco
prima di un tornante, alla sinistra della strada. È chiaro, che devo risalire
la valle del Rio Bianco, alla sinistra orografica del torrente. Il sentiero è
ben battuto e segnato, evidenziando la sua alta frequentazione. Confrontandola
con la precedente escursione selvaggia sul Ciol di Sass, mi pare di essere nella
piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, a camminare sciolto come se portassi le infradito.
Risalito per un po’ il costone, attraverso alcune placche
dove delle staffe in metallo rendono meno accidentato il proseguo. Cammino
pochi metri ancora dentro la faggeta, seguo i suggerimenti di alcuni ometti portandomi
sulla destra orografica, stavolta con maggior pendenza risalgo il bosco, finché
avvisto la sagoma di un bivacco, la capanna G. Brunner o “capanna di caccia Re
di Sassonia” 1432 m. di quota, severamente chiusa ai viandanti. Circumnavigo
ispezionando la struttura, niente da fare per gli sventurati avventori, in caso
di maltempo non è predisposto nessun buco dove rifugiarsi. Quindi non potendo
effettuare una comoda pausa e nemmeno il firmare l’assente libricino dei
visitatori (nel vuoto contenitore), proseguo per un’indicazione tinta a
pennello su un grande masso (Vetta Bella).
La traccia ben marcata attraversa una fitta mugheta, fino a
portarmi alle pendici della meta, lambendo le ripide pareti rocciose. La nebbia
persiste, ma la sensazione è quella di intravedere qualcosa di azzurro.
Tra le rocce il percorso è articolato, sono brevi i passaggi
dove mi tengo con le mani, finché arrivo alla nota paretina di cui mi
accennavano gli amici. Si trova esposta sul ripido coperto di mughi, è ben
articolata, ma per non avere problemi mi libero dello zaino e di un bastoncino
telescopico. La risalgo con qualche patema, dovuto di più alla mia insicurezza dei
postumi dell’infortunio che alle difficoltà reali. Superato l’ostacolo sono
fuori dal sito esposto, attraverso una piccola cengia portandomi alla base di
un canalone detritico, che supero con l’aiuto dei provvidenziali mughi. Durante
la salita ho un breve incontro con due escursionisti in discesa. Un ometto mi
preannuncia l’ultimo ostacolo reale, un canale che sale dritto alla forcella, dotato
di una serie di placche da superarsi con la dovuta attenzione.
Poco sotto la forcella incontro uno spirito libero in
solitaria, accompagnato dal suo bellissimo cagnolino. Durante la breve e simpatica
conversazione il mio pensiero vola al mio sfortunato amico a quattro zampe, che
sofferente a causa di problemi cardiaci ha dovuto mettere da parte la
montagna. Riprendo il cammino,
confortato dalle parole dello spirito libero, che mi ha preannunciato l’apparizione
dell’azzurro. Dalla piccola forcella ammiro alcune rocce dalle forme fantastiche,
delirando quel tanto che ti da riposo alle membra.
Un solco nella verde mugheta preannuncia la cima, sprazzi di
azzurro mi spronano. Tra le roccette e zolle erbose gli ultimi metri, ed eccomi
sull’affilata vetta, la lama di roccia mi accoglie con due ometti, uno di vetta
e l’altro oltre, raggiunta quota 2049 m. Fatta! La cima è conquistata, anche il
paesaggio aderisce al festeggiamento per il mio genetliaco, donandomi alcuni
dei suoi tesori finora celati, tra cui il gruppo del Fuart e le cime intorno al
lago di Predil.
La soddisfazione è intensa, la solitaria cima rispecchia le
mie attese, ma la pace dura poco, sento il sopraggiungere di nuovi avventori,
una simpatica coppietta che ha deciso di festeggiare l’anniversario di
matrimonio sull’identica sommità. Instauriamo una piacevole conversazione, dopodiché
decido di lasciare gli sposini da soli e iniziare la discesa. Confortato dal
cielo di un meraviglioso blu cobalto inizio dolcemente la discesa, pochi metri
sotto la cima incrocio numerosi gruppi di escursionisti all’arrembaggio della
risicata vetta, mi par di essere ai “grandi magazzini” o sta solo crescendo la
mia insofferenza. Raggiunta la paretina di secondo grado, la supero con serenità,
evidentemente ho smaltito le insicurezze.
Ho fame, tanta fame, non vedo l’ora di raggiungere il
bivacco dedicato al Re di Sassonia, per effettuare una pausa all’esterno. La
morsa dell’appetito mi spinge alla velocità della luce, ma più morde la fame e
di più cocente sarà la delusione che sto per raccontarvi. Da lontano, in
prossimità della capanna sento voci umane, simili a quelle che si odono in una
piazza di mercato. Il sogno è svanito, sono sopraggiunti i barbari, penso. Un
nutrito numero di zaini circonda il casolare, le finestre del bivacco sono spalancate,
mi avvicino intimidito, trovando davanti l’uscio un manipolo di escursionisti
con tavola imbandita di pane e affettato e bevande a gogò. Sono un gruppo
misto, appartenenti alle sezioni CAI di Gemona e Tarvisio, tra i convitati mi
riconosce un amico di una conoscenza in comune su Facebook, ci salutiamo, anche
qualcuno del gruppo mi identifica, vecchi e deludenti ricordi. Mi fermo a
conversare con l’amico dell’amico sopracitato, sento delle voci, ma non
riconosco i volti. Nel gruppo notano la mia barba corta e commentano le mie
opere pittoriche, con domande banali che educatamente surclasso evitando di
rispondere. Rispondo solo che è il mio compleanno, e in un’altra occasione
avrei offerto da bere, in realtà ho voglia di togliere il disturbo, nessuna
voce si leva per offrire da bere, non è che ne avessi bisogno, ma mi rendo
conto che l’ospitalità in questo gruppo non è proprio il punto forte. Anche il
vedere una struttura CAI adibita a baccanali privati e chiusa ai bisognosi mi
fa ripensare se mi conviene rinnovare l’anno venturo la tessera CAI. La fame,
per fortuna, mi è maestra consigliera e mi conduce lontano, di nuovo nel
silenzio a raggiungere la verde valle. Un misterioso membro del baccanale nel
frattempo ha spedito tramite sms ad un amico in comune la foto dei miei
bastoncini da trekking poggiati sulla palizzata. Che strana e curiosa la gente!
Arrivato a fondo valle, ho il tempo di allestire il tutto per la ripartenza. Trovata
la sospirata pace nel vicino lago di Predil (presso una panca messa sul pulpito
panoramico) procedo alla consumazione del lauto pasto. Affamato, come una belva
con la preda mi dedico a sbranare il panino. Al sopraggiungere del secondo
morso sulla deliziosa pagnottella, vengo raggiunto sul luogo del misfatto da
due coppie di attempati centauri austriaci, che decidono di dimorare sulla stessa
mia medesima panca, e se non bastasse, si scambiano effusioni sentimentali tipo
adolescenti al tempo delle mele. Anche in questo caso lascio il paradiso ai “giovincelli”,
metto in moto l’auto e finisco il pasto lontano dal genere umano, ascoltando le
note di “Imagine” venire fuori dall’autoradio. Con un finale tragicomico
termina l’escursione nella Val del Rio del Lago, con una montagna conquistata e
una un’altra storia da raccontare.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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