Ciol di Sass dalla Val Settimana: sabato 23 giugno 2018
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti Friulane; Gruppo Caserine-Cornaghet
Avvicinamento: Montereale Valcellina-Barcis-Cellino-Claut-Imbocco Val settimana- Sosta auto presso parcheggio subito dopo il Stavolo il Gobbo (quota 770 m.).
Dislivello: 1300 m.
Dislivello complessivo: 1350 m.
Distanza percorsa in Km: 10 chilometri.
Quota minima partenza: 770m.
Quota massima raggiunta: (2073 m.)
Tempi di percorrenza. Relativi, viste le ovvie difficoltà di orientamento.
In: Gruppo.
Tipologia Escursione: Selvaggia estrema.
Difficoltà: E.E.A.
Segnavia: Passaggi di cacciatori.
Attrezzature: Nessuna.
Croce di vetta: Si.
Libro di vetta: Si.
Timbro di vetta: No.
Cartografia consigliata: Tab 021-
Periodo consigliato: giugno-ottobre
Condizioni del sentiero: Spesso, quasi sempre inesistente.
Fonti d’acqua: I due Ciol Val Piovin.
Data: sabato 23 giugno 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto.
Un conto in sospeso da saldare, ecco
come definisco la conquista della cima Ciol di Sass, e per queste missioni
particolari ho l’onore di avere come compagno di ventura il mitico Roberto
Fabbro. Non ho nessuna incertezza nel raggiungere la vetta, ho il compagno
ideale che non demorde mai, insieme siamo una forza.
Il primo approccio alla cima lo effettuai
insieme al mitico duo “Federica e Loris”, superammo la forcella del Ciol di
Sass, errando l’obiettivo grazie anche alle cattive informazioni lette su un
blog di un “amico discolo”. Per il secondo tentativo, vado sul sicuro,
fidandomi stavolta del mio istinto e della traccia che segnai in precedenza.
Si arriva in val settimana di prima ora,
ho al seguito una mappa con su tracciato il nostro percorso, è tutto scritto, bisogna
solo realizzarlo. Superato il ponticello presso lo stavolo del Gobbo, lasciamo
l’auto, armati di buona volontà e zaini, torniamo indietro, e da un bollo rosso
tra la vegetazione iniziamo l’avventura.
Percorriamo la sinistra orografica del
torrente Settimana, dopo la lieve traccia nella ghiaia iniziamo a salire il
costone erboso, che Roberto giudica a primo acchito percosso labile e impalpabile;
gli rispondo che dopo sarà peggio.
Dopo una lunga serie di serpentine nella
vegetazione siamo a ridosso del greto del torrente Piovin, prime difficoltà, ma
guidati dall’istinto risaliamo di trenta metri il torrente, trovando sul versante
opposto la traccia perduta. Ai margini superiori del costone ci addentriamo
nella faggeta, dei rari ometti ci guidano. Il ricordo della precedente
escursione mi consiglia il giusto orientamento, effettivamente trovo alcuni
degli ometti che costruimmo allora.
Da dentro la selva passiamo accanto a un
riparo con della legna secca pronto all’uso. Risalito il costone, sempre guidati
dai provvidenziali ometti, sbuchiamo fuori dalla vegetazione ai margini di un canalone
detritico; lo risaliamo, mirando in alto finché non troviamo un ometto e un varco
tra i mughi.
Seguiamo la traccia e gli evidenti tagli
nella vegetazione, breve passaggio dentro un canalino per poi sbucare sul
ripido pendio alle falde delle Pale di Cione. La nostra meta è a vista, a
sinistra distinguiamo bene le verticali pareti dello Spiz Val Piovin e la forcella
che precede la placca del Ciol di Sass.
Alla base di un ghiaione, sulla destra
orografica, scorgiamo un ometto e una traccia che ci spingono a seguirla, la percorriamo,
finché guadato il Ciol di Piovin essa si perde dentro il bosco. Per non
rischiare inutili ravanamenti, ritorniamo indietro, riguadagnando il ghiaione
fino a mirare ad un gigantesco masso erratico sovrastato da un chiaro e
definito ometto.
Raggiunto il grosso macigno, lo sormontiamo
dal lato accessibile, e qui facciamo una breve pausa per riorganizzare le idee.
Allora! La meta è ben evidente dalla
nostra posizione, miriamo a oriente, ai chiari sprazzi di prato tra i mughi, dopodiché,
scendendo nel canalone del Ciol Piovin lo guadiamo voltando a sinistra. Percorrendo i radi prati
posti tra i larici e la sovrastante mugheta, raggiungeremo la base delle strapiombanti
pareti rocciose dello Spiz Val Piovin, da quest’ultime, percorrendo l’evidente
rampa rocciosa saremo in forcella e dopo decideremo cosa fare. Il piano è
elementare, approvato con la maggioranza assoluta, si parte passando all’azione.
In breve l’intento si rivela più facile del previsto, alimentando a dismisura
già la nostra non poca autostima.
Giunti
sotto le pareti dello Spiz, incontriamo un muro di mughi, ci abbassiamo di pochi
metri per poi risalirlo, finché sbuchiamo tra le bianche e friabili rocce,
fatta! Non ci resta che faticare,
risalendo la friabile rampa fino alla forcella. Da sotto la sella effettuiamo
la seconda pausa, mentre Roberto va a ispezionare, io mi libero del peso dello
zaino, portando al seguito l’indispensabile.
Una
volta pronti seguiamo un evidente traccia che aggira la parete rocciosa sul
versante della Val Piovin, dopo pochi metri ritroviamo i mughi con evidenti segni
di passaggio, li superiamo grazie ad un canalino ripido e friabile che ci
accompagna fin alla base dell’enorme placca rocciosa.
L’emozione
di essere vicino alla meta si capta, l’istinto ci consiglia di percorrere a fil
di cresta sul versante esposto della Val Piovin, inutile ricordare che dal
basso, ovvero dal macigno errante non abbiamo trovato più nessun segno e ometto.
Mantenendoci
a destra, a fil di cresta, proviamo l’ebrezza dell’esposizione e sempre per
ripida placca risaliamo la china, sfruttando le rade zolle d’erba, finché l’ultimo
mughetto cede il passo alla nuda e bianca roccia.
Attenti
all’infido ghiaino guadagniamo quota fino a sotto la cima, dove la roccia si
frantuma in più corposi massi che rendono più sicura e meno insidiosa l’ascesa.
Pochi
metri ancora ed ecco apparire da un mucchio di sassi la risicata croce di vetta,
costruita con spartani rametti di mugo. Fatta!
Ci siamo, ci abbracciamo, soddisfattissimi ed entusiasti. Come nostro
solito operare, provvediamo a restaurare il barattolo di vetta, non troviamo
libretti, ma solo un contenitore di pellicole analogiche, e dentro posta su un
foglio bianco la firma dell’ultimo visitatore, 30 agosto 2014.
Il
barattolo è mal ridotto, recupero il coperchio tra i sassi, non troviamo altro,
mi aspettavo di trovare un libricino di cui avevo letto su un blog, niente! Evidentemente
c’è chi si diverte in montagna a distruggere le opere altrui. Non è il nostro
caso, lasciamo quello che troviamo meglio di prima. Distruggere il lavoro degli
altri è semplicemente opera di “STOLTI”, fossero croci in legno, libretti che
segnano il passaggio o semplici ometti, le allusioni sono chiare e volute.
Con
il buon Roberto, rafforziamo il barattolo, lo muniamo di altre buste protettive
segniamo il nostro passaggio, riponiamo con cura, e consolidiamo l’ometto in
pietra. Ora ci concediamo alla contemplazione, sicuramente gioiremo di più in
basso, ma siamo letteralmente in estasi, ammirando lo stupendo paesaggio (Dolomiti
Friulane) da una delle cime più selvagge del Friuli. Il Ciol di Sass come
montagna non richiede particolari abilità tecniche, ma un eccellente senso di
orientamento e alto grado di allenamento fisico.
Passato
il tempo della visita di cortesia, scendiamo per la ripida rampa, fino a raggiungere
la forcella dello Spiz. Lo Spiz, la
montagna dal volto antropomorfo che sembra patire atroci dolori. Eseguita la
meritata sosta e festeggiata la cima con un buon Cabernet, approntiamo gli
zaini e ci avviamo al rientro. La discesa è amabile, dentro il bosco
recuperiamo le fettucce che avevamo posto durante la salita; è saggio e onesto
lasciare l’ambiente incontaminato, e non togliere ad altri il piacere dell’avventura.
Si
arriva in auto colmi di euforia, come se avessimo preso una sbornia, ma questo
stato d’animo è dovuto al grande appagamento dell’ultima conquista. Una volta
partiti ci avviamo al nostro consueto ritrovo fuori Claut per bere una birra e
rivivere le immagini più belle dell’avventura. Inebriati e soddisfatti si
rientra a valle, con una cima conquistata e una nuova storia da raccontare.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
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