Cima Bortolusc dalla Val
Settimana.
(salita per il canale Fradeloni- discesa per la via
normale)
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti d’Oltrepiave-Gruppo Caserine
Cornaget.
Avvicinamento: Lestans- Maniago-Montereale Valcellino- Poco
prima di Claut seguire la segnaletica per il Rifugio Pussa e la VAL Settimana- Procedere
fino al termine della strada carrozzabile parzialmente asfaltata. (13
chilometri di percorso) fino al grande spiazzo-parcheggio che precede il
rifugio Pussa.
Località di Partenza: spiazzo-parcheggio in località Pussa.
Dislivello: 1235 m.
Dislivello
complessivo: 1235 m.
Distanza percorsa in Km: 13 chilometri.
Quota minima partenza: 925 m.
Quota massima raggiunta: 2160 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 7 ore.
In: Gruppo
Tipologia Escursione:
Selvaggia.
Difficoltà: Escurionisti Esperti , con passaggi di
arrampicata base di primo e secondo grado.
Segnavia: CAI 376-
Bolli rossi sbiaditi e ometti.
Impegno fisico: medio.
Preparazione tecnica: Media.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: IGM Friuli.
2)
Bibliografici: Dolomiti Orientali. A e C. Berti
3)
Internet:
Periodo consigliato: maggio-ottobre
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: Pozza quasi a
inizio sentiero
Consigliati:
Data: domenica 08 luglio 2018
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Racconto:
È
risaputo che quando gli spiriti liberi della montagna si incontrano
(spontaneamente o no) tutto diviene magico.
La cima Bortolusc è un valido motivo per andare per monti insieme a Roberto e l’amico Paolo. Da tempo (dopo la mega escursione del gruppo sul Valmenon) non riuscivamo per motivi astrusi a incontrarci. So che Paolo conosce bene la cima, avendola in precedenza scalata più volte, invece per me e Roberto è la prima volta e rappresenta una valida prova per alzare l’asticella delle qualità delle nostre escursioni. L’appuntamento è fissato a Montereale Valcellina, presso il bar che precede le gallerie per Barcis, da dove ci avviamo per la Val Settimana percorrendo la valle del torrente Cellina. Entranti nello scrigno della Val Settimana possiamo ammirare i selvaggi versanti, autentico paradiso per chi ama la montagna incontaminata.
Giungiamo nella località di Pussa, trovando ad attenderci Andrea con una delle sue mitiche amazzoni, la figlioletta Ilaria; bellissima e inattesa sorpresa. Andrea in passato è stato in cima al Bortolusc, quindi i novizi rimaniamo io e Roberto. Buon per noi che possiamo usufruire di due ottime guide.
Una volta approntati si parte, percorrendo il tratto iniziale della strada forestale che risale la Val di Senons, per lasciarla subito dopo imboccando il ripidissimo e faticoso sentiero CAI 376. Il cammino ora si svolge per stretti e faticosi tornanti che risalgono il costone boschivo delle Pregoiane.
Le prime due ore passano velocemente, risaliamo il fitto bosco finché all’orizzonte fanno capolino le bianche rocce delle cime. Sbuchiamo nell’aperto Cadin delle Pregoiane dove la tipologia del territorio cambia bruscamente, passando dall’ombroso bosco di aghifogli al luminoso ghiaione detritico tipico delle Dolomiti d’Oltrepiave. Dopo aver glissato al bivio le indicazioni per la forcella del Ciadinut, ci involiamo per piste di ghiaia alla forcella delle Pregoiane. Siamo letteralmente incantanti dal biancore delle rocce che ci sovrastano. Passiamo sotto le perpendicolari pareti della cima Bortolusc, scrutando con timore reverenziale le fenditure che solcano la roccia sino al cielo. La nostra meta è vicina, passo dopo passo e distratti da una conversazione esistenziale ci avviciniamo alla forca delle Pregoiane.
Il nostro gruppo non procede compatto: Andrea e Ilaria sono avanti, volano più che camminare, Paolo e io siamo la retroguardia, mentre Roberto pur essendo il veterano è quello che tiene l’argento vivo, quindi sta in mezzo. Raggiunta la forcella, ci concediamo alla contemplazione delle cime di Meda e Gasparin, che sono in bella mostra davanti a noi. Tra quelle distanti riconosco bene il Dosaip e le Prealpi friulane. Effettuiamo una sosta prima di dedicarci al tratto più affascinante dell’escursione. Dopo la foto di gruppo nel mirabile luogo, si riparte, mirando alle ghiaie che sottostanno al versante orientale della nostra meta. La salita è resa malagevole dall’instabilità delle ghiaie, a guidarci troviamo sparuti ometti e una labile traccia di camoscio. Raggiunto un dosso inerbito, dei dubbi sopraggiungono, tiriamo fuori dai taschini le rispettive relazioni. Le diverse interpretazioni che diamo ci guidano a un secondo poggio inerbito, nel frattempo prima Andrea e poi io siamo richiamati dal canalino che penetra nelle pareti rocciose a sinistra. Sembra quello giusto, ma Paolo è convinto del contrario, e ci spinge a oriente. Tentare non nuoce, dopo aver raggiunto il secondo dosso i dubbi aumentano, anche perché non vediamo nessun canalino che somigli alle indicazioni di Fradeloni, e i passaggi in arrampicata, a occhio nudo, sono esposti anche di terzo grado. Paolo, prima di autoconvincersi si prodiga in arrampicate paragonabili al giovane Bonatti, mentre io (seguito a ruota da Ilaria e Andrea) mi dileguo con un perentorio dietro front, dirigendomi al canalino visto in precedenza. Il resto della comitiva, convincendosi, si aggregherà pochi istanti dopo. Raggiunto il canalino Fradeloni, ci dà il benvenuto un bel ometto e un bollo sbiadito posto poco sopra. Certi che siamo nel giusto, contraiamo e deponiamo i bastoncini da trekking per poi infilare il caschetto. Manteniamo lo stesso ordine di marcia fin qui utilizzato, Ilaria va avanti, seguono a ruota Andrea, Roberto, io e Paolo. I primi passaggi sono da subito di primo e secondo grado, l’ascensione è sicura, procediamo ben incamerati e la mancanza esposizione rende l’ascesa divertente. Ad un tratto, non so cosa è successo, mi ritrovo secondo, procedo, naturalmente con calma e stando attento a non smuovere sassi sugli amici. Andrea mi esclama:<<Beppe, questo sì che è per spiriti liberi!>> Non ne dubito, bellissimo, mani sulle rocce, ripasso le nozioni base di arrampicata.
Una volta fuori il canalino, le fatiche non sono finite, ci attende una placca molto inclinata con roccia instabile e cosparsa di infido ghiaino. Cercando i passaggi migliori e guidati da sporadici ometti risaliamo il ripido piano senza un andamento preciso, mirando al vertice posto a sinistra. il pericolo maggiore in questa circostanza e che accidentalmente vengono smossi i sassi. La vetta è in vista, ultimi passi e procediamo sull’affilata cresta, ci abbracciamo per la meritata conquista.
Passiamo una buona mezzoretta ad ammirare le cime circostanti, spingiamo lo sguardo il più lontano possibile, giocando a riconoscere i rilievi. Fatta la foto di gruppo e assunto qualche energetico, riprendiamo il cammino per quella via chiamata la “normale”, ma che si rivela sin da subito più complessa della salita. Nel primo tratto percorriamo l’affilato crinale, calandoci successivamente nel versante meridionale. Cercando di non farci impressionare dal baratro e guidati da rari ometti, affrontiamo alcuni passaggi di primo grado e più. Noto che ognuno di noi scende con manovre diverse dagli altri, ma ugualmente funzionali. Per mio vezzo procedo lento, Ilaria vola e il resto del gruppo sta in mezzo. La discesa si rivela lunga, scorgiamo i primi mughi, che non sono sicuramente la fine dei tomenti ma un utile sgravio. Altri passaggi di primo grado, ma stavolta utilizziamo i rami del santo mugo come corde, finché non troviamo una bella traccia che in orizzontale ci riporta nel Cadin delle Pregoiane a incrociare il sentiero da dove siamo saliti. La fame più della fama esige deferenza e i crescenti languorini ci consigliano di fermarci presso dei voluminosi massi per consumare il pasto. L’ebrezza della sosta libera la chiacchera, siamo paghi e lo scenario che ci circonda è stupefacente, selvaggio e unico. Per lodare tale magnificenza potrei adoperare tutti gli aggettivi disponibili di questo mondo, ma le immagini lo comunicano da sole. Ripresi gli zaini, iniziamo il cammino per il rientro. Sebbene siamo in discesa il tragitto è lungo. Il mattino nella trepidazione di toccare la nuda roccia volavamo al di là della fatica. Andrea e Ilaria, vanno via prima. Noi, con passo lento e costante da alpino, raggiungiamo la località di Pussa e una volta risistemati i materiali e datoci un aspetto decoroso, procediamo a valle per l’irrinunciabile appuntamento con la bevuta post escursione. Nel bar presso Claut sostiamo all’esterno, ammirando le cime che ci circondano: lo sguardo vola sulle creste, di quelle conosciute e le altre ancora ignote. L’escursione ha sottolineato la bella e sana amicizia che ci stringe, sicuramente ne faremo altre insieme. Ho avuto il piacere di camminare assieme a delle grandi persone su ogni punto di vista, e considero questo un grande onore. Con i volti ancora estasiati dal recente vissuto, si rientra a valle e nel quotidiano, con una nuova cima conquistata e una storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
La cima Bortolusc è un valido motivo per andare per monti insieme a Roberto e l’amico Paolo. Da tempo (dopo la mega escursione del gruppo sul Valmenon) non riuscivamo per motivi astrusi a incontrarci. So che Paolo conosce bene la cima, avendola in precedenza scalata più volte, invece per me e Roberto è la prima volta e rappresenta una valida prova per alzare l’asticella delle qualità delle nostre escursioni. L’appuntamento è fissato a Montereale Valcellina, presso il bar che precede le gallerie per Barcis, da dove ci avviamo per la Val Settimana percorrendo la valle del torrente Cellina. Entranti nello scrigno della Val Settimana possiamo ammirare i selvaggi versanti, autentico paradiso per chi ama la montagna incontaminata.
Giungiamo nella località di Pussa, trovando ad attenderci Andrea con una delle sue mitiche amazzoni, la figlioletta Ilaria; bellissima e inattesa sorpresa. Andrea in passato è stato in cima al Bortolusc, quindi i novizi rimaniamo io e Roberto. Buon per noi che possiamo usufruire di due ottime guide.
Una volta approntati si parte, percorrendo il tratto iniziale della strada forestale che risale la Val di Senons, per lasciarla subito dopo imboccando il ripidissimo e faticoso sentiero CAI 376. Il cammino ora si svolge per stretti e faticosi tornanti che risalgono il costone boschivo delle Pregoiane.
Le prime due ore passano velocemente, risaliamo il fitto bosco finché all’orizzonte fanno capolino le bianche rocce delle cime. Sbuchiamo nell’aperto Cadin delle Pregoiane dove la tipologia del territorio cambia bruscamente, passando dall’ombroso bosco di aghifogli al luminoso ghiaione detritico tipico delle Dolomiti d’Oltrepiave. Dopo aver glissato al bivio le indicazioni per la forcella del Ciadinut, ci involiamo per piste di ghiaia alla forcella delle Pregoiane. Siamo letteralmente incantanti dal biancore delle rocce che ci sovrastano. Passiamo sotto le perpendicolari pareti della cima Bortolusc, scrutando con timore reverenziale le fenditure che solcano la roccia sino al cielo. La nostra meta è vicina, passo dopo passo e distratti da una conversazione esistenziale ci avviciniamo alla forca delle Pregoiane.
Il nostro gruppo non procede compatto: Andrea e Ilaria sono avanti, volano più che camminare, Paolo e io siamo la retroguardia, mentre Roberto pur essendo il veterano è quello che tiene l’argento vivo, quindi sta in mezzo. Raggiunta la forcella, ci concediamo alla contemplazione delle cime di Meda e Gasparin, che sono in bella mostra davanti a noi. Tra quelle distanti riconosco bene il Dosaip e le Prealpi friulane. Effettuiamo una sosta prima di dedicarci al tratto più affascinante dell’escursione. Dopo la foto di gruppo nel mirabile luogo, si riparte, mirando alle ghiaie che sottostanno al versante orientale della nostra meta. La salita è resa malagevole dall’instabilità delle ghiaie, a guidarci troviamo sparuti ometti e una labile traccia di camoscio. Raggiunto un dosso inerbito, dei dubbi sopraggiungono, tiriamo fuori dai taschini le rispettive relazioni. Le diverse interpretazioni che diamo ci guidano a un secondo poggio inerbito, nel frattempo prima Andrea e poi io siamo richiamati dal canalino che penetra nelle pareti rocciose a sinistra. Sembra quello giusto, ma Paolo è convinto del contrario, e ci spinge a oriente. Tentare non nuoce, dopo aver raggiunto il secondo dosso i dubbi aumentano, anche perché non vediamo nessun canalino che somigli alle indicazioni di Fradeloni, e i passaggi in arrampicata, a occhio nudo, sono esposti anche di terzo grado. Paolo, prima di autoconvincersi si prodiga in arrampicate paragonabili al giovane Bonatti, mentre io (seguito a ruota da Ilaria e Andrea) mi dileguo con un perentorio dietro front, dirigendomi al canalino visto in precedenza. Il resto della comitiva, convincendosi, si aggregherà pochi istanti dopo. Raggiunto il canalino Fradeloni, ci dà il benvenuto un bel ometto e un bollo sbiadito posto poco sopra. Certi che siamo nel giusto, contraiamo e deponiamo i bastoncini da trekking per poi infilare il caschetto. Manteniamo lo stesso ordine di marcia fin qui utilizzato, Ilaria va avanti, seguono a ruota Andrea, Roberto, io e Paolo. I primi passaggi sono da subito di primo e secondo grado, l’ascensione è sicura, procediamo ben incamerati e la mancanza esposizione rende l’ascesa divertente. Ad un tratto, non so cosa è successo, mi ritrovo secondo, procedo, naturalmente con calma e stando attento a non smuovere sassi sugli amici. Andrea mi esclama:<<Beppe, questo sì che è per spiriti liberi!>> Non ne dubito, bellissimo, mani sulle rocce, ripasso le nozioni base di arrampicata.
Una volta fuori il canalino, le fatiche non sono finite, ci attende una placca molto inclinata con roccia instabile e cosparsa di infido ghiaino. Cercando i passaggi migliori e guidati da sporadici ometti risaliamo il ripido piano senza un andamento preciso, mirando al vertice posto a sinistra. il pericolo maggiore in questa circostanza e che accidentalmente vengono smossi i sassi. La vetta è in vista, ultimi passi e procediamo sull’affilata cresta, ci abbracciamo per la meritata conquista.
Passiamo una buona mezzoretta ad ammirare le cime circostanti, spingiamo lo sguardo il più lontano possibile, giocando a riconoscere i rilievi. Fatta la foto di gruppo e assunto qualche energetico, riprendiamo il cammino per quella via chiamata la “normale”, ma che si rivela sin da subito più complessa della salita. Nel primo tratto percorriamo l’affilato crinale, calandoci successivamente nel versante meridionale. Cercando di non farci impressionare dal baratro e guidati da rari ometti, affrontiamo alcuni passaggi di primo grado e più. Noto che ognuno di noi scende con manovre diverse dagli altri, ma ugualmente funzionali. Per mio vezzo procedo lento, Ilaria vola e il resto del gruppo sta in mezzo. La discesa si rivela lunga, scorgiamo i primi mughi, che non sono sicuramente la fine dei tomenti ma un utile sgravio. Altri passaggi di primo grado, ma stavolta utilizziamo i rami del santo mugo come corde, finché non troviamo una bella traccia che in orizzontale ci riporta nel Cadin delle Pregoiane a incrociare il sentiero da dove siamo saliti. La fame più della fama esige deferenza e i crescenti languorini ci consigliano di fermarci presso dei voluminosi massi per consumare il pasto. L’ebrezza della sosta libera la chiacchera, siamo paghi e lo scenario che ci circonda è stupefacente, selvaggio e unico. Per lodare tale magnificenza potrei adoperare tutti gli aggettivi disponibili di questo mondo, ma le immagini lo comunicano da sole. Ripresi gli zaini, iniziamo il cammino per il rientro. Sebbene siamo in discesa il tragitto è lungo. Il mattino nella trepidazione di toccare la nuda roccia volavamo al di là della fatica. Andrea e Ilaria, vanno via prima. Noi, con passo lento e costante da alpino, raggiungiamo la località di Pussa e una volta risistemati i materiali e datoci un aspetto decoroso, procediamo a valle per l’irrinunciabile appuntamento con la bevuta post escursione. Nel bar presso Claut sostiamo all’esterno, ammirando le cime che ci circondano: lo sguardo vola sulle creste, di quelle conosciute e le altre ancora ignote. L’escursione ha sottolineato la bella e sana amicizia che ci stringe, sicuramente ne faremo altre insieme. Ho avuto il piacere di camminare assieme a delle grandi persone su ogni punto di vista, e considero questo un grande onore. Con i volti ancora estasiati dal recente vissuto, si rientra a valle e nel quotidiano, con una nuova cima conquistata e una storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.