Monte Kolovrat dal Rifugio Solarie.
Racconto.
Il monte Kolovrat giace da tempo nell’elenco delle montagne
che desidero fare, approfittando delle recenti nevicate mi sono convinto che è
giunto il momento di scriverlo nell’elenco delle cime conquistate. Roberto non
è mai stato sulla dorsale, quindi si va insieme all’avventura. Del Kolovrat e
delle vicine cime di confine ho letto nei libri di storia, sono ben cosciente
che rivivrò una pagina importante del primo conflitto mondiale, soprattutto la
disfatta di Caporetto e le sue tragiche conseguenze.
Il mattino dell’escursione con Roberto ci troviamo a Buia, e
insieme proseguiamo per Cividale. Superato il ponte di San Quirino, svoltiamo a
destra avventurandoci per le valli del Natisone, risalendo la piccola strada
che affianca il torrente Cosizza sulla sua destra orografica.
L’obiettivo iniziale è quello di giungere nel piccolo borgo
di Topolò, e proseguire per il sentiero CAI 746 fino alla dorsale del Kolovrat,
ma ci perdiamo nel labirinto stradale. Seguendo le indicazioni storiche per
Kolovrat, distrattamente ignoriamo la diramazione per Topolò, e ci avventuriamo
in una lunga serie di tornantini. Con
l’elevarsi della quota incontriamo la prima neve, fortunatamente il manto
stradale è stato cosparso di sale; ben coscienti che Topolò lo abbiamo perso,
continuiamo impavidi per la strada. Ben presto giungiamo a una conclusione, che
errando strada ci abbiamo preso.
Stiamo attraversando una miriade di piccole frazioni: le
case hanno l’aspetto antico, i camini sono accesi, le strade che percorriamo
entrano dentro l’anima dei borghi. Con lo sguardo riusciamo a catturare attimi di
un mondo scomparso. Intuiamo di viaggiare dentro un territorio che a causa delle
continue invasioni e disavventure belliche mantiene l’aspetto simile a quello
di un limbo. Leggiamo i nomi dei comuni: Drenchia, Grimacco, Stregna, San
Leonardo, fino a ieri a noi sconosciuti. Siamo consapevoli che a parte i
confini politici, noi non siamo né in Italia e né in Slovenia ma in Slavia,
antica comunità e gruppo etnico che resiste e persiste alla storia avversa. Siamo
come sospesi in aria, per molti aspetti ci sentiamo forestieri in questa terra
sconosciuta.
Partiremo poco sotto il rifugio Solarie, dove lasciamo l’auto
presso un bivio, non osiamo avventurarci con il mezzo sino al rifugio per via
della presenza di ghiaccio lungo la stradina di servizio.
Indossati gli scarponi e i ramponi iniziamo la marcia,
direzione rifugio, la temperatura è bassa, malgrado il cielo terso prometta
bene. Nei pressi del bel rifugio Solarie ci aspetta il sole (sembra un gioco di
parole) e un manto di neve, il tutto coronato dall’azzurro cielo.
Il camino del rifugio fuma, decidiamo di fargli visita
consumando un caffè. All’interno del locale ci aspetta una simpatica e anziana
signora dallo spiccato accento veneto. Consumata la bevanda proseguiamo per il
nostro itinerario, seguendo gli evidenti segni CAI.
Ci troviamo nei pressi del confine di stato (Passo Solarie)
ne approfittiamo per mettere un piede oltre il confine, ritornati sui nostri
passi nel suolo italiano iniziamo a percorrere la carrareccia, che pochi metri dopo
abbandoniamo. Un cartello CAI ci invita
a proseguire l’escursione per sentiero.
Inizialmente il manto nevoso non supera i trenta centimetri
di spessore, teniamo i ramponi per cautela, la salita è ripidissima e faticosa,
essa ci porta in cresta e alla prima elevazione “il monte Na Gradu Klabuk”,
bellissimo pulpito panoramico, sicuramente della dorsale del Kolovrat, quello
con la visuale migliore.
Pochi metri prima della cima affondavamo anche di un metro
nella neve, sul margine della crestina troviamo appena dieci centimetri.
Dalla vetta ammiriamo le vicine cime slovene, tra cui spicca
il Monte Nero e la Batognica, le altre a seguire, tutto intorno è bianco, dalla
cittadina slovena di Tolmino sino alla lontana pianura friulana.
Firmiamo il libro di vetta, ammirando la lunghissima dorsale
che dobbiamo percorrere, odiamo voci di bimbi, sembra un sogno, forse il vento
ci inganna. Ripreso il cammino scendiamo dalla prima elevazione entrando in Slovenia,
lo spessore del manto nevoso aumenta considerevolmente, superando in alcuni
tratti anche il metro. Scendendo dentro il primo avvallamento, notiamo un
escursionista venirci incontro, dopo esserci incontrati ripercorreremo a
vicenda l’uno le orme dell’altro.
Giunto nel punto più basso della conca odiamo ancora il
vociare dei bimbi, felici di giocare sulla neve, e li vediamo, sono in
compagnia del loro babbo. Dove un secolo fa si moriva per pallottole e granate,
oggi si gioca, ci si incontra senza nessun ostacolo, le trincee sono rimaste a
testimoniare l’assurdità della guerra e il canto dei bimbi è la logica risposta
che qualcuno non trovò o non volle trovare.
Ammirando i due frus (bimbi) che giocano con la neve, risaliamo la dorsale seguendo quello che ci
appare una traccia lasciandoci guidare dai segni sugli alberi. Gli abeti e i
faggi gelati e ornati di neve sembrano sculture, il cielo azzurro enfatizza
questo lato artistico della natura. Con il mio compagno di viaggio seguiamo la
china percorrendo una linea immaginaria che divide due stati, ma che in questo
caso unisce gli amici in un sentiero di fratellanza. Decidiamo di fermarci
presso quota 1130 metri per sostituire i ramponi con le ciaspole.
Il percorso è un lungo e continuo saliscendi. La cima
Nagnoj, la massima elevazione di questa escursione è ben visibile laggiù, ci
dividono da essa ben sei dorsi innevati di neve fresca. Li percorriamo con
divertimento, anche se la fatica si fa sentire, nelle rocambolesche discese
speriamo di non cadere in qualche buca e nelle faticose salite non ci perdiamo
d’animo. Avvistiamo presso la stradina che percorre parallela alla cresta il
bivacco Zanuso e una famiglia di escursionisti. Noi proseguiamo per cresta, la
sensazione di libertà che ci dà è indescrivibile, la fatica è ricompensata dal
mirabile paesaggio che metro dopo metro cambia, donandoci una felicità allo
stato puro.
Ci siamo! Abbiamo raggiunto l’ultimo colle, con Roberto ci
guardiamo negli occhi, abbiamo fatto 30, bene, facciamo 31!
Ultimi metri di faticoso pendio, che compiamo con larghe svolte,
fino a raggiungere la meta ”un cartello CAI con cassetta porta libro e timbro
di vetta”, fatta! Missione compiuta, non ci resta che abbracciarci e dedicarci
a pensieri ludici, come il pranzare. Faccio notare a Roberto, che la cima è
poco ospitale per desinare se confrontata con il vicino bivacco Zanuso, la mia
proposta poco oscena viene accolta con entusiasmo dal compagno di viaggio. La
fame ci spinge giù dalla cima più veloce della luce, catapultandoci al bivacco.
Raggiunto con le ciaspole il Bivacco, ci liberiamo di esse,
preparando il lauto banchetto. La temperatura stranamente è mite e il sole ci
scalda con benevolenza, come se volesse lodare gli immeritevoli eroi.
Benché l’interno del riparo sia ospitale, preferiamo rimanere
all’esterno, contemplando i monti della Patria. Roberto versa nei calici il
nettare degli Dei, agguantati i panini, non li molliamo fino al loro estremo
sacrificio.
Questo luogo, dove in passato si è versato sangue dello
stesso colore del vino che beviamo, non trasmette cupezza, la neve sicuramente
rende candido il paesaggio, questa non è una terra dove combattere, ma un luogo
per amare. Io e Roberto lo facciamo da amici, sorridendo al sole e al cielo
azzurro, così sconfiggiamo le pallottole di chi non usò il cuore e la ragione.
Finita la meritata pausa, ci avviamo, sempre per carrareccia al rifugio
Solarie. Lungo il tragitto abbiamo tempo di ammirare alcune fortificazioni
costruite all’interno di cavità artificiali. Presso il rifugio stavolta
troviamo numerose auto, entriamo dentro, per consumare un altro caffè. La
presenza di autoctoni dentro il locale mi fa riflettere, osservo i loro volti e
il pensiero vola alla Grande Guerra. Un secolo fa centinaia di migliaia di
soldati italiani animavano la valle, bastava chiudere gli occhi per udire vivi dialetti,
poi vennero i tedeschi, di nuovo gli italiani e ancora tedeschi e infine gli
italiani. Tutto questo lo leggo dallo sguardo di chi beve una birra accanto a
noi. Proviamo a instaurare una conversazione avendo come argomento la montagna
e ci riusciamo. Così sciogliamo la ritrosia, e la conversazione ha termine con
saluti, sorrisi e un buon rientro detto di cuore. Anche noi oggi abbiamo vinto la
nostra guerra, usando come armi: scarponi, zaini e i nostri sorrisi. Con
l’animo pieno di emozioni rientriamo a valle, consapevoli che oggi è stato il
giorno ideale per salire sul Kolovrat.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione:
Avvicinamento: Gemona-Cividale-Ponte San Quirino-Val
Cosizza- indicazioni per il Kolovrat- Clodig- Pertenel- Lombai- San Volfango-
Praponca- poco prima di Crai predere il bivio a
destra per il rifugio Solarie- ampio parcheggio.
Località di Partenza: Crai 793 m.
Dislivello: 550 m.
Dislivello
complessivo: 650 m.
Distanza percorsa in Km: 12 Km.
Quota minima partenza: 793 m.
Quota massima raggiunta: 1193 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore complessive, comprese le soste
In: Coppia.
Tipologia Escursione:
Storico-Escursionistica.
Difficoltà:
Escursionistica.
Segnavia: CAI 746 .
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: Si.
Timbro di vetta: Si.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tabacco 041
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: No.
Consigliati:
Data: mercoledì 14 febbraio 2018
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
un bellissimo posto della memoria , un bellissimo posto da vivere in pace , un bellissimo posto da di speranza, un bellissimo posto da visitare.
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