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domenica 25 febbraio 2018

Monte Joànaz e le malghe di Porzus.

 
Monte Joànaz e le malghe di Porzus.

Racconto.

Le temperature gelide e la neve permanente sulle alte quote mi spingono a oriente, ammirando le prime elevazioni dove è possibile camminare per sentieri senza penare eccessivamente.

È tanto affascinante la scoperta di questi rilievi carichi di storia, sicuramente in cuor mio c’è un continuo bisogno di contatto umano, ecco perché ultimamente non vado più in solitaria e sono alla continua ricerca di borghi in cui non ho vissuto.

L’itinerario di oggi è un’idea di Roberto, che ben conosce il sito. Pur essendo munito di mappa, stavolta la terrò ben riposta nello zaino, lasciandomi condurre dall’amico.

Giungiamo alle prime ore del mattino nella cittadina di Faedis, seguiamo le indicazioni per il canal di Grivò e il borgo di Canebola. La strada fortunatamente è sgombra da neve, raggiunta la bocchetta di S. Antonio, lasciamo l’auto nello spiazzo adibito, pochi metri sotto la cappella votiva.

Appena fuori dall’autovettura ci sorprende una raffica di vento gelido che ci consiglia di coprirci abbondantemente, tali da somigliare all’omino della Michelin.

 Oggi nella combriccola c’è anche il fido Magritte, con Roberto si conoscono, siamo un trio affiatato. Appena approntati partiamo dalla bocchetta in direzione Rifugio Joànaz, effettuando una lunga diagonale su strada forestale, questo ci permette di compiere l’anello che ci siamo prefissati.

Subito dopo la partenza udiamo il rombo di mastodontici trattori, salutiamo il personale che opera sui mezzi, ci osservano senza rispondere al saluto. La strada che percorriamo non è per nulla attraente, anzi, è molto noiosa, ma conduce all’inizio della lunga dorsale che porta alla meta odierna.

Raggiunti i prati antistanti al Rifugio Joànaz, ci dirigiamo verso quest’ultimo, calpestando la prima neve che troviamo dura. Davanti al rifugio, che troviamo chiuso e sprovvisto di riparo per viandanti, effettuiamo la prima breve pausa, decidendo come attrezzarci per proseguire. Suggerisco all’amico di munirci di ghette e ramponi, una volta partiti la scelta si dimostra felice, ne è prova il continuo scricchiolio del ghiaccio sotto i ramponi.

Pochi metri dopo il rifugio lambiamo un cippo commemorativo dedicato agli alpini e sormontato da un’aquila, ci fermiamo per una spontanea e silenziosa preghiera in onore dei caduti della nobile arma.

Riprendiamo il cammino iniziando la lunga dorsale che conduce alla cima dello Joànaz, il sentiero è comodo, attraversa ampie praterie, intervallate da brevi macchie boschive. Con l’aumentare di quota la neve ammanta per intero il crinale, le fredde folate di vento e il cielo grigio fanno rassomigliare il tutto a un paesaggio siberiano. Magritte stranamente gradisce il paesaggio polare, ho sempre avuto il sospetto che tra i suoi avi ci fosse il ben noto Zanna Bianca.

Raggiunta una cabina con numerosi ripetitori, cerchiamo riparo dietro di essa, ma è inutile, il freddo è pungente, l’unica soluzione è camminare per non raggelare. Poco prima di raggiungere il boschetto che precede la meta salutiamo un albero solitario con i rami protesi al vento, la solitudine che scaturisce da esso è paragonabile alla poetica di Giuseppe Ungaretti.  

Un bosco di noccioli precede l’ultima elevazione, pochi tornanti e tocchiamo la vetta (Prisma goniometrico e paletto segnavia con annessa cassetta porta libro di vetta), un piccolo pulpito panoramico che si apre verso la limitrofa Slovenia.

La visita è di breve durata, firmiamo il libro di vetta, tentando di ricordare i nomi dei rilievi che ci circondano, evidentemente il gelo ha assiderato qualche nostro neurone. Si rientra percorrendo a ritroso il tratto sotto la cima, per poi utilizzare la strada militare che corre lungo il versante occidentale del monte.

Il paesaggio a tratti è divino, da sogno, i solitari alberi giocano con il sole che si cela dietro le nubi. Roberto e io cerchiamo di catturare i brevi attimi di poesia che il bianco manto ci dona.

Dalla carrareccia noto in basso un segno CAI, abbandono la rotabile per discendere rapidamente per i ripidi prati innevati, Roberto mi segue a ruota. Viviamo felici attimi in cui ritorniamo bimbi monelli, baloccando con la magica neve.

Ripresa in basso la carrareccia, pochi metri dopo la lasciamo stavolta seguendo il sentiero CAI. Dopo aver sfiorato i ruderi di una vecchia costruzione bellica ci immettiamo nella lunga discesa, interrotta dal disastro compiuto dai trattori visti al mattino subito dopo la partenza. I mezzi cingolati hanno creato una ferita nel bosco, facendo scempio degli abeti. La lunga scia di terra mista a ramaglie ricalca il vecchio sentiero CAI, pestando il tratto ora infangato ho sentito gli alberi piangere di dolore. Giungiamo alla bocchetta di S. Antonio, con l’animo ferito per quello che abbiamo visto nell’ultimo tratto percorso.

Il Joànaz è stata una bella escursione, ma non siamo ancora paghi, ci manca qualcosa, propongo a Roberto di proseguire a piedi per la malga di Porzus; egli acconsente con entusiasmo, quindi lasciamo in auto solo i ramponi, continuando a piedi per il vicino monte Jauar.

Dopo pochi metri di sentiero, imbocchiamo la strada forestale che porta alle malghe di Porzus, la seguiamo fino all’ampio spiazzo panoramico, dove ci fermiamo.

La sacralità del luogo esige rispetto, stavolta il passo è silenzioso, saliamo la piccola gradinata che conduce davanti agli stavoli dove fu perpetrato l’eccidio ai danni dei partigiani Osovari.

Ho saputo di questo massacro in età matura e mi sono schierato per la nobile causa della libertà. Ho avuto sempre rispetto per i morti di tutte le fazioni, sia dei repubblichini che dei partigiani; entrambi credevano nella causa per cui combattevano, ma l’eccidio di partigiani ad opera di altri partigiani è stato raccapricciante.

È stato un bene non insabbiare l’infausto crimine e oggi, con devozione cammino sul suolo dove si versò il sangue degli sfortunati difensori della Libertà. Percepisco la presenza di chi uccise e di chi subì il vile gesto, non nascondo, nel veder versare a Roberto il vino nei bicchieri, di aver provato emozioni; quel color rosso mi ha fatto pensare agli sventurati patrioti.  Stranamente, come se fosse un segnale divino, il cielo si dischiude, svelando un bellissimo azzurro, e la bandiera tricolore posta di vedetta sopra di noi, sventola con veemenza. Quello che ho sentito in quell’istante ve lo lascio immaginare.

Risistemati gli zaini, ci apprestiamo a rientrare, stavolta percorriamo la stradina fino alla bocchetta di S. Antonio, una volta sistemati i materiali ci avviamo a valle.

Con l’amico (durante il tragitto che conduce a Faedis) discutiamo di politica, abbiamo idee diverse, ma ci confrontiamo con amicizia e serenità, quello che avrebbero dovuto fare i carnefici della strage di Porzus settantatré anni fa!

Durante il rientro ci fermiamo per consumare un caffè, il locale è chiuso ma in via eccezionale ci aprono. Osservo il personale di servizio, ognuno di loro ha un aspetto diverso, tutti noi abbiamo tratti somatici diversi e chissà quanti incroci di popoli ci hanno preceduto. Mi chiedo:<< Perché non possiamo vivere in pace in questa terra, visto che c’è spazio per tutti?>> Non è difficile, basta crederci!

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 
Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Giulie- Valle del Grivò.

Avvicinamento: Buia-Gemona-Tarcento- Faedis-Canal di Grivò-Canebola-Bocchetta di S. Antonio.



Località di Partenza: Bocchetta di S. Antonio. 783 m.

Dislivello: 300 m.



 Dislivello complessivo: 601 m.



Distanza percorsa in Km: 13,5.





Quota minima partenza: 788 m.



Quota massima raggiunta: 1192 m.



Tempi di percorrenza. 4 ore escluse le soste

In: Coppia.



 Tipologia Escursione: Storico-Naturalistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionistiche

Segnavia: CAI 753, 765.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                  Cartografici: Tabacco 041

2)                  Bibliografici:

3)                  Internet:

Periodo consigliato:

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:

Fonti d’acqua: No.

Consigliati:

Data: 21 febbraio 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa