Sovente
mi succede di visionare le mappe digitali per cercare ispirazione per le
future escursioni, ampliando la ricerca con la lettura delle piccole guide CAI
“Guida dei monti d’Italia”, utilissime per approfondire, il resto lo
completo individuando nel web, immagini o eventuali relazioni. L’idea di
percorrere la cresta del monte Ferro è nata in egual modo come ho appena scritto
sopra. Mentre ero intento nell’analizzare la mappa dei rilievi intorno a
Sappada, l’occhio si ferma sull’evidente lunga cresta del Righele e del
Ferro, che fa da spartiacque tra la Val Rinaldo e la Val d’Olbe. Essa
sovrasta la conca di Sappada con un’alta e ripida parete.
Rivedendo
le foto delle precedenti escursioni nella zona, non ho potuto fare a meno
di ammirare quest’opera d’arte della natura, frastagliata, e chiaramente di
origine dolomitica. Convinto della bontà della scelta decido di inserire il
nome nella lista dei monti da effettuare nell’anno corrente. Di recente un
amico [Gino] con la sua compagine, per ben due volte ha provato a scalare
la cima, nella seconda occasione ha pure raggiunto la cresta, fermandosi
pochi metri prima. Dopo aver visionato le foto dell’escursione precedentemente
citata, ho sentito il desiderio accrescersi, valutando anche l’ipotesi di
andare insieme all’amico. Come ogni inizio settimana, la vocina misteriosa
mi suggerisce il nome della meta, essa è la “cresta del Ferro”, e da farsi
in solitaria, diligentemente, ubbidisco, mi metto all’opera, studiando il
percorso e le attrezzature da portare al seguito. Dopo l’ultima uscita
sulle “Babe”, sono andato al mare, per rilassare le membra e tonificarmi.
Ahimè! L’effetto è stato il contrario, sono rientrato dalla località con un
dolore insolito all’anca, che mi ha messo “Knockout” per un paio di giorni.
Non è da me arrendermi al primo dolorino, quindi gli ho dichiarato guerra,
assoldando tra le mie schiere il noto combattente “Voltaren”. Voltaren,
amico di tanti escursionisti, stavolta ha un compito arduo da svolgere,
ovvero, fare in modo che il prossimo venerdì il sottoscritto possa
presentarsi all’appuntamento con la montagna, sano e fresco come un pesce!
Il cremoso e spalmabile combattente si immola in nome della mia avventura,
dando il massimo di sé, non lesinando energie, spremendosi fino all’ultima
goccia. Arriva il venerdì mattino, sono in forma, prontissimo per cimentarmi
nella nuova impresa. Dopo aver accompagnato la prole alla stazione
ferroviaria di Gemona, mi catapulto alla volta di Sappada. Presso Villa
Santina avverto i sintomi della sonnolenza, sbadiglio, sono tentato di
fermare l’auto in una piazzola di servizio e concedermi un’oretta di
riposo. Ho dormito male le ultime ore del mattino, e ora ne pago le
conseguenze. Decido di fare una breve sosta in un bar di Ovaro. Entro nel
locale chiedendo cortesemente alla signora (gestrice) un doppio caffè; sul
bancone noto un libricino, da sfogliare aprendo le pagine a caso, mi
ricorda i mini book “una frase al giorno”. Mentre la signora è intenta con
la macchina del caffè, apro a caso il volumetto e leggo: <<Sei sicuro
di andare, hai portato tutto al seguito?>>. Orpo! Esclamo, mentre sorseggio il caffè che mi
è stato servito, ritento e leggo. <<Tieni famiglia, pensaci!>>
Persevero. << Se insisti ce la farai, ma non mollare mai!>>.
Continuo imperterrito. << Faresti cosa buona e giusta a ritornare a
letto.>> Azz! <<Dove vai se la corda non ce l’hai!>>
Insomma, più che una frase al giorno, mi sembra il libretto della sfiga!
Finisco di consumare il caffè, pago, saluto i presenti e lascio il locale.
Naturalmente all’esterno del bar provvedo al gesto scaramantico (sfioramento
con tocco veemente i gioielli di famiglia) che sarebbe stato inopportuno in
presenza di una signora. Il doppio caffè ha dato gli effetti sperati,
rinvigorito raggiungo la località di Sappada, e il susseguente punto di
partenza presso la frazione di Plotta. Un bel cartello scolorito con le indicazioni
CAI, mi consiglia di lasciare l’auto alla sua destra presso un praticello
che precede un ponte. Zaino in spalle e sogni al seguito, parto. L’inizio
del cammino è accompagnato dal latrare di un cane da caccia, percorro il
primo tratto lungo la rotabile mentre una mucca è intenta a fare colazione brucando
la fresca erba. Mi fermo, voltandomi a sud, ammiro la bella cresta montuosa
che dalla Creta di Fuina, passando per la Creta Forata e il gruppo dei Clap
volge a oriente fino alle tre Terze. Solo questa mirabile visione vale il
prezzo del biglietto. Lo spettacolo è appena iniziato, a Sappada, si sa, tutto
è stupefacente. Un cartello CAI con le indicazioni per il rifugio “Monte
Ferro” e i laghi d’ Olbe è posto alla destra della rotabile, ne seguo la
traccia percorrendo una carrareccia che con ripida salita si inoltra nel
bosco. Nel breve tratto che mi separa dal rifugio “Monte Ferro” (quota 1563
m.) passo davanti alle caratteristiche baite, una più bella dell’altra.
Presso la struttura turistica alberghiera mi fermo ad ammirare il paesaggio
e la lontana cresta del monte Ferro. Dall’ombra delle conifere sbucano
fuori due quadrupedi, vecchie conoscenze, sorrido, e penso! <<Guarda
chi si rivede!>>. I due ciuchini sono intenti a brucare erba, il più
lontano [Lucignolo] dista pochi metri, mentre quello vicino (Pinocchio) mi
si avvicina, ha la frangettina alla Beatles. Lo fotografo, e lui,
birichino, vanitoso quasi mi bacia, gli parlo. <<Ciao Pinocchio, come
stai? Non ti sei ancora convertito a diventare bambino buono? Ubbidiente,
ligio alle regole? Come posso criticarti, non oso chiederti di rinunciare
ad essere te stesso, e tutto questo solo per le apparenze e il piacere
altrui. Non mettere le catene “dell’apparenza “per essere felice, rimani te
stesso, rimani asino, non mollare. Prenderai tante botte, sarai deriso,
insultato, calunniato ma nessuno ti renderà schiavo di una felicità
apparente. Ti voglio bene!>> Intenerito dal suo sguardo, apro la
tasca dove tengo la frutta secca, ne prendo un po’, apro il palmo della
mano e la porgo al docile somarello. Inizialmente esso è timido,
diffidente, poi fiducioso, accetta l’offerta, e si fa accarezzare. Ogni
volta che incrocio lo sguardo di un somarello, vedo un’anima docile e
oppressa, e questo mi intenerisce; penso che il Collodi, non abbia scelto a
caso l’asinello per il suo fantasioso romanzo (Le avventure di Pinocchio.
Storia di un burattino). Mi congedo malvolentieri dal ciuchino, seguendo la
carrareccia fino al soprastante rifugio. Dal terrazzo dell’edificio
turistico con un meraviglioso colpo d’occhio ammiro il paesaggio. La
giornata è straordinaria, il cielo terso, un esplicito invito a procedere
verso la meta con gioia. Dietro l’edificio a occidente parte il sentiero
evidenziato da un cartello, la traccia si addentra nel bosco di conifere,
passando vicino le strutture della funivia. Presso un cartello il sentiero
si biforca, prendo quello segnato a destra. Guadato il rigagnolo, sempre
per bosco, mi porto alla base di un salto roccioso, che salgo con perizia e
cautela. Aiutato prima da una staffa in metallo e poi per cenge scavate
nella roccia, supero un anfratto adornato da più statuine di madonnine
multicolor. Sempre per esile cengia risalgo l’esposto dirupo portandomi al
suo vertice, devo ammettere che se per un verso avverto adrenalina, provo
anche piacere ad affrontare i tratti delicati. Raggiunto il terrazzamento
superiore, sempre all’interno del boschetto proseguo per la battuta
traccia, avvicinandomi sempre ai ripidi prati sotto la cresta. Uscito dal
bosco, e memore di una relazione, sono a caccia di un bollo rosso su un
masso alla mia sinistra. Eureka! Che c…! Pardon che fortuna, ne trovo tre
di fila. Evvai! Esco dal sentiero CAI (quota 1950 m.), indirizzandomi alla
ricerca dei successivi bolli rossi sparsi nel ripidissimo verde. Sono
fortunato, trovo tutti i bolli, e con logica risalgo la china,
avvicinandomi sempre di più alle rocce sommitali. Raggiunta la dorsale, un
ometto mi indica di seguire a meridione e scendere nel sottostante versante
per l’erosa cengia. L’iconografia del paesaggio cambia bruscamente, devo
attraversare in diagonale il dirupato ed esposto tratto. Decido di lasciare
lo zaino, e di portare al seguito la mini sacca con all’interno lo stretto necessario.
Con cautela supero il versante dirupato, continuando a salire (sempre per
più ripidi ed esposti prati) il versante meridionale della cresta del Monte
Ferro. Le guglie dolomitiche sono più vicine, mi ritrovo alla base di un
ripido salto. Lascio uno dei due bastoncini telescopici alla base della
parete, e salgo con attenzione il verticale tratto, tra rocce e zolle, ben
cosciente che lo devo fare anche in discesa. Così raggiungo l’esposta e
adrenalinica cresta. Mi fermo, emozionato, è stupenda, di colpo ho toccato
il cielo, e che cielo!
Scatto tante
foto a raffica; a nord fotografo la cresta di Righele, a sud la cresta del
Ferro. Io adoro le creste, personalmente, sono il lato delle montagne che
mi attrae di più. Seguendo i bolli a sinistra, e speranzoso di essere
vicino la vetta, procedo. Mi trovo in una sequenza di piccole cime, i bolli
mi consigliano di scendere giù sul versante orientale (molto esposto), per
poi risalire dentro un angusto canalino. Un masso ostruisce il passo,
abbracciandolo lo supero, risalendo il canalino per friabili ghiaie. Sul
vertice dell’ante-cima mi ritrovo in equilibrio sul vuoto, i bolli sembrano
dirigersi sul versante occidentale, ma non vedo passaggi, sicuramente ci
sono, ma la friabilità del monte mi ha reso insicuro. Su una lastra leggo
un inciso” Madre de Dios”, sicuramente si è materializzata l’espressione di
stupore dell’amico Gino! Non essendo “Philippe Petit”, il noto funambolo
francese, evito di percorrere la cresta, malgrado abbia in vista la croce
di vetta, che dista solo 11 metri di dislivello. Abbandono la cresta, ben
cosciente, che: ho lasciato lo zaino sulla cengia, il bastoncino alla base
della parete, ma non voglio lasciare la pelle sulla cresta, quindi da buon
soldatino, eseguo un “Dietrofront e un avanti march”. Mi fermo sulla prima
delle cime della cresta, indosso i mini ramponi da erba, per rendere più
sicura la discesa e mi calo giù per il ripido verde. Effettivamente con gli
aggeggini appuntiti sotto le suole, tutto è più sicuro. In breve recupero
il bastoncino e di seguito lo zaino, tutti felici di esserci ritrovati,
sani e salvi, per i festeggiamenti rinviamo a luogo da decidersi. Rientrato
sull’esposto pendio, sono indeciso se raggiungere una delle innumerevoli
cime della cresta del Righele, o spinto da eroico ardire (come osò Napoleone
durante la campagna italica), raggiungere i lontani laghi d’Olbe, dove
fermarmi per la meritata sosta. Indeciso, tra le due opzioni tentenno, ma
appena decido per la seconda mi pento immediatamente della scelta.
Pazienza, sarà per un’altra occasione, quindi, scelta la meta, scendo dal
ripido pendio e raggiungo il sottostante sentiero 141. Erroneamente,
percorro la vecchia traccia, interrotta da un tratto franato, quindi
ridiscendo ancora per poi scorgere la nuova traccia. Stavolta procedo per i
laghi, è mezzogiorno, il sole picchia forte, malgrado mi sia coperto il
capo (con cappello da escursionista modello safari). Il caldo sole non ha
pietà per “il Forestiero Nomade”. Per fortuna lassù qualcuno mi ama. La Dea
natura che con il sottoscritto è sempre affabile e generosa, vela il cielo
con delle nuvole, tali da rinfrescare l’ambiente fino a quando non
raggiungo la meta. La fame si fa sentire, e le riserve d’acqua cominciano a
scarseggiare. Nelle vicinanze dei laghi il sentiero guada un torrentello,
come un beduino nel deserto, bramo, mi chino accanto lo scorrere delle zampillanti
acque per dissetarmi. Scongiurata la più terribile delle pene per un
escursionista (la sete), procedo per il più grande dei laghi, fermandomi
presso la riva (quota 2177 m). Zaino a terra, mi siedo su un masso,
sospiro, ho fame! Apro la tasca superiore della sacca ed estraggo la borsa
con le lussuriose cibarie. Beh! Con la fame che mi ritrovo, tutto è più
buono, divoro avidamente la banana, il krapfen e la spremuta di arancia, e
di seguito la Red Bull e il panino con prosciutto crudo. Tra il serio e il
faceto, rifletto! Sono passato dai ripidi dirupi del Monte Ferro, alla
dionisiaca località dei laghi d’Orbe. Saziata la fame, riordino le idee.
Ammiro il fantastico scenario che mi circonda, sublime, le foto non possono
catturare in uno scatto una simile bellezza. Mi abbandono ai pensieri
soavi, attimi che vorrei durassero in eterno. Le nuvole si sono dissolte
nell’azzurro, è tempo di assumere la posizione eretta e rientrare, quindi
zaino in spalle riparto. Nel frattempo giunge nella località una giovane
coppia, lascio a loro il silenzio di cui ho goduto. Ritornando sui miei
passi, percorro un breve tratto in discesa, mi fanno male le estremità dei
piedi, le calze devono aver mollato, quindi decido di fermarmi, per fare il
cambio con quelle che tengo nello zaino. Mentre eseguo le operazioni, una
bella farfallina gialla a pois si ferma sul piede destro, temporaneamente
sprovvisto di scarpone, poi risale per i pantaloni, fermandosi sulla maglia
di questi ultimi. Effettivamente il tessuto (pantaloni da rocciatore)
ricorda la cotta maglia delle armature dei cavalieri medievali. Ho
compreso, essa, la farfallina, è una principessa che ha subito un miserando
sortilegio da una vecchia strega, e quando incontrerà il suo cavaliere, lo
bacerà, e l’incantesimo svanirà. La storia non mi giunge nuova. <<Cara
farfallina, ci sono degli impedimenti: In primis io non sono un principe,
ma un Malfattore, e anche quando fossi nobile avrei declinato la proposta
perché sono già sposato, quindi essendo un soggetto non praticabile mi devo
congedare da te.>> La bella farfallina con un battito d’ali vola via,
in cerca del suo principe, ne osservo il volo, e penso! << Se fosse
stata azzurra a pois neri, chissà!>>. Ripreso il cammino, raggiungo
in breve tempo la località dove ho lasciato l’auto. Un ultimo saluto alla
bella cresta del Ferro, rientrando nel quotidiano, ripercorro la Carnia,
magico scrigno di tesori.
Il
Vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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