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giovedì 15 giugno 2017

Cresta monrte Ferro.


Cresta del monte ferro 2326 m. e laghi di Olbe da Casera Plotta(Sappada)

Note tecniche.

Localizzazione:  Alpi Carniche- Gruppo del Rinaldo.

Avvicinamento: Gemona-Tolmezzo-Villa Santina-Ovaro-Rigolato-Sappada-Presso la località Lerpa, prima del ponticello sul Rio Omonimo svoltare per una stradina asfaltata m, arrivati presso dei cartelli  con indicazioni CAI e del borgo (Plotta) svoltare a sinistra e trovare posto posteggiare l’auto prima di un ponticello ( quota 1270 m.).

Dislivello: 1100 m.

Dislivello complessivo: 1420 m.

Distanza percorsa in Km: 15 chilometri.

Quota minima partenza: 1270 m.

Quota massima raggiunta: 2326 m.

Tempi di percorrenza. 7 ore.

 In: Solitaria

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif E.E – F- I° grado

Segnavia: CAI 141.

Attrezzature: No

Croce di vetta: Si.

Libro di vetta: Si

Timbro di vetta: No

Cartografia consigliata: Tab 01

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Condizioni del sentiero: Ben segnato quello CAI, il rssto dell’escursione su radi bolli, ometti e tracce.

Fonti d’acqua: Radi rigagnoli.

Data: 09 giugno 2017.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa


Relazione:

Sovente mi succede di visionare le mappe digitali per cercare ispirazione per le future escursioni, ampliando la ricerca con la lettura delle piccole guide CAI “Guida dei monti d’Italia”, utilissime per approfondire, il resto lo completo individuando nel web, immagini o eventuali relazioni. L’idea di percorrere la cresta del monte Ferro è nata in egual modo come ho appena scritto sopra. Mentre ero intento nell’analizzare la mappa dei rilievi intorno a Sappada, l’occhio si ferma sull’evidente lunga cresta del Righele e del Ferro, che fa da spartiacque tra la Val Rinaldo e la Val d’Olbe. Essa sovrasta la conca di Sappada con un’alta e ripida parete.
Rivedendo le foto delle precedenti escursioni nella zona, non ho potuto fare a meno di ammirare quest’opera d’arte della natura, frastagliata, e chiaramente di origine dolomitica. Convinto della bontà della scelta decido di inserire il nome nella lista dei monti da effettuare nell’anno corrente. Di recente un amico [Gino] con la sua compagine, per ben due volte ha provato a scalare la cima, nella seconda occasione ha pure raggiunto la cresta, fermandosi pochi metri prima. Dopo aver visionato le foto dell’escursione precedentemente citata, ho sentito il desiderio accrescersi, valutando anche l’ipotesi di andare insieme all’amico. Come ogni inizio settimana, la vocina misteriosa mi suggerisce il nome della meta, essa è la “cresta del Ferro”, e da farsi in solitaria, diligentemente, ubbidisco, mi metto all’opera, studiando il percorso e le attrezzature da portare al seguito. Dopo l’ultima uscita sulle “Babe”, sono andato al mare, per rilassare le membra e tonificarmi. Ahimè! L’effetto è stato il contrario, sono rientrato dalla località con un dolore insolito all’anca, che mi ha messo “Knockout” per un paio di giorni. Non è da me arrendermi al primo dolorino, quindi gli ho dichiarato guerra, assoldando tra le mie schiere il noto combattente “Voltaren”. Voltaren, amico di tanti escursionisti, stavolta ha un compito arduo da svolgere, ovvero, fare in modo che il prossimo venerdì il sottoscritto possa presentarsi all’appuntamento con la montagna, sano e fresco come un pesce! Il cremoso e spalmabile combattente si immola in nome della mia avventura, dando il massimo di sé, non lesinando energie, spremendosi fino all’ultima goccia. Arriva il venerdì mattino, sono in forma, prontissimo per cimentarmi nella nuova impresa. Dopo aver accompagnato la prole alla stazione ferroviaria di Gemona, mi catapulto alla volta di Sappada. Presso Villa Santina avverto i sintomi della sonnolenza, sbadiglio, sono tentato di fermare l’auto in una piazzola di servizio e concedermi un’oretta di riposo. Ho dormito male le ultime ore del mattino, e ora ne pago le conseguenze. Decido di fare una breve sosta in un bar di Ovaro. Entro nel locale chiedendo cortesemente alla signora (gestrice) un doppio caffè; sul bancone noto un libricino, da sfogliare aprendo le pagine a caso, mi ricorda i mini book “una frase al giorno”. Mentre la signora è intenta con la macchina del caffè, apro a caso il volumetto e leggo: <<Sei sicuro di andare, hai portato tutto al seguito?>>. Orpo!  Esclamo, mentre sorseggio il caffè che mi è stato servito, ritento e leggo. <<Tieni famiglia, pensaci!>> Persevero. << Se insisti ce la farai, ma non mollare mai!>>. Continuo imperterrito. << Faresti cosa buona e giusta a ritornare a letto.>> Azz! <<Dove vai se la corda non ce l’hai!>> Insomma, più che una frase al giorno, mi sembra il libretto della sfiga! Finisco di consumare il caffè, pago, saluto i presenti e lascio il locale. Naturalmente all’esterno del bar provvedo al gesto scaramantico (sfioramento con tocco veemente i gioielli di famiglia) che sarebbe stato inopportuno in presenza di una signora. Il doppio caffè ha dato gli effetti sperati, rinvigorito raggiungo la località di Sappada, e il susseguente punto di partenza presso la frazione di Plotta. Un bel cartello scolorito con le indicazioni CAI, mi consiglia di lasciare l’auto alla sua destra presso un praticello che precede un ponte. Zaino in spalle e sogni al seguito, parto. L’inizio del cammino è accompagnato dal latrare di un cane da caccia, percorro il primo tratto lungo la rotabile mentre una mucca è intenta a fare colazione brucando la fresca erba. Mi fermo, voltandomi a sud, ammiro la bella cresta montuosa che dalla Creta di Fuina, passando per la Creta Forata e il gruppo dei Clap volge a oriente fino alle tre Terze. Solo questa mirabile visione vale il prezzo del biglietto. Lo spettacolo è appena iniziato, a Sappada, si sa, tutto è stupefacente. Un cartello CAI con le indicazioni per il rifugio “Monte Ferro” e i laghi d’ Olbe è posto alla destra della rotabile, ne seguo la traccia percorrendo una carrareccia che con ripida salita si inoltra nel bosco. Nel breve tratto che mi separa dal rifugio “Monte Ferro” (quota 1563 m.) passo davanti alle caratteristiche baite, una più bella dell’altra. Presso la struttura turistica alberghiera mi fermo ad ammirare il paesaggio e la lontana cresta del monte Ferro. Dall’ombra delle conifere sbucano fuori due quadrupedi, vecchie conoscenze, sorrido, e penso! <<Guarda chi si rivede!>>. I due ciuchini sono intenti a brucare erba, il più lontano [Lucignolo] dista pochi metri, mentre quello vicino (Pinocchio) mi si avvicina, ha la frangettina alla Beatles. Lo fotografo, e lui, birichino, vanitoso quasi mi bacia, gli parlo. <<Ciao Pinocchio, come stai? Non ti sei ancora convertito a diventare bambino buono? Ubbidiente, ligio alle regole? Come posso criticarti, non oso chiederti di rinunciare ad essere te stesso, e tutto questo solo per le apparenze e il piacere altrui. Non mettere le catene “dell’apparenza “per essere felice, rimani te stesso, rimani asino, non mollare. Prenderai tante botte, sarai deriso, insultato, calunniato ma nessuno ti renderà schiavo di una felicità apparente. Ti voglio bene!>> Intenerito dal suo sguardo, apro la tasca dove tengo la frutta secca, ne prendo un po’, apro il palmo della mano e la porgo al docile somarello. Inizialmente esso è timido, diffidente, poi fiducioso, accetta l’offerta, e si fa accarezzare. Ogni volta che incrocio lo sguardo di un somarello, vedo un’anima docile e oppressa, e questo mi intenerisce; penso che il Collodi, non abbia scelto a caso l’asinello per il suo fantasioso romanzo (Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino). Mi congedo malvolentieri dal ciuchino, seguendo la carrareccia fino al soprastante rifugio. Dal terrazzo dell’edificio turistico con un meraviglioso colpo d’occhio ammiro il paesaggio. La giornata è straordinaria, il cielo terso, un esplicito invito a procedere verso la meta con gioia. Dietro l’edificio a occidente parte il sentiero evidenziato da un cartello, la traccia si addentra nel bosco di conifere, passando vicino le strutture della funivia. Presso un cartello il sentiero si biforca, prendo quello segnato a destra. Guadato il rigagnolo, sempre per bosco, mi porto alla base di un salto roccioso, che salgo con perizia e cautela. Aiutato prima da una staffa in metallo e poi per cenge scavate nella roccia, supero un anfratto adornato da più statuine di madonnine multicolor. Sempre per esile cengia risalgo l’esposto dirupo portandomi al suo vertice, devo ammettere che se per un verso avverto adrenalina, provo anche piacere ad affrontare i tratti delicati. Raggiunto il terrazzamento superiore, sempre all’interno del boschetto proseguo per la battuta traccia, avvicinandomi sempre ai ripidi prati sotto la cresta. Uscito dal bosco, e memore di una relazione, sono a caccia di un bollo rosso su un masso alla mia sinistra. Eureka! Che c…! Pardon che fortuna, ne trovo tre di fila. Evvai! Esco dal sentiero CAI (quota 1950 m.), indirizzandomi alla ricerca dei successivi bolli rossi sparsi nel ripidissimo verde. Sono fortunato, trovo tutti i bolli, e con logica risalgo la china, avvicinandomi sempre di più alle rocce sommitali. Raggiunta la dorsale, un ometto mi indica di seguire a meridione e scendere nel sottostante versante per l’erosa cengia. L’iconografia del paesaggio cambia bruscamente, devo attraversare in diagonale il dirupato ed esposto tratto. Decido di lasciare lo zaino, e di portare al seguito la mini sacca con all’interno lo stretto necessario. Con cautela supero il versante dirupato, continuando a salire (sempre per più ripidi ed esposti prati) il versante meridionale della cresta del Monte Ferro. Le guglie dolomitiche sono più vicine, mi ritrovo alla base di un ripido salto. Lascio uno dei due bastoncini telescopici alla base della parete, e salgo con attenzione il verticale tratto, tra rocce e zolle, ben cosciente che lo devo fare anche in discesa. Così raggiungo l’esposta e adrenalinica cresta. Mi fermo, emozionato, è stupenda, di colpo ho toccato il cielo, e che cielo!
Scatto tante foto a raffica; a nord fotografo la cresta di Righele, a sud la cresta del Ferro. Io adoro le creste, personalmente, sono il lato delle montagne che mi attrae di più. Seguendo i bolli a sinistra, e speranzoso di essere vicino la vetta, procedo. Mi trovo in una sequenza di piccole cime, i bolli mi consigliano di scendere giù sul versante orientale (molto esposto), per poi risalire dentro un angusto canalino. Un masso ostruisce il passo, abbracciandolo lo supero, risalendo il canalino per friabili ghiaie. Sul vertice dell’ante-cima mi ritrovo in equilibrio sul vuoto, i bolli sembrano dirigersi sul versante occidentale, ma non vedo passaggi, sicuramente ci sono, ma la friabilità del monte mi ha reso insicuro. Su una lastra leggo un inciso” Madre de Dios”, sicuramente si è materializzata l’espressione di stupore dell’amico Gino! Non essendo “Philippe Petit”, il noto funambolo francese, evito di percorrere la cresta, malgrado abbia in vista la croce di vetta, che dista solo 11 metri di dislivello. Abbandono la cresta, ben cosciente, che: ho lasciato lo zaino sulla cengia, il bastoncino alla base della parete, ma non voglio lasciare la pelle sulla cresta, quindi da buon soldatino, eseguo un “Dietrofront e un avanti march”. Mi fermo sulla prima delle cime della cresta, indosso i mini ramponi da erba, per rendere più sicura la discesa e mi calo giù per il ripido verde. Effettivamente con gli aggeggini appuntiti sotto le suole, tutto è più sicuro. In breve recupero il bastoncino e di seguito lo zaino, tutti felici di esserci ritrovati, sani e salvi, per i festeggiamenti rinviamo a luogo da decidersi. Rientrato sull’esposto pendio, sono indeciso se raggiungere una delle innumerevoli cime della cresta del Righele, o spinto da eroico ardire (come osò Napoleone durante la campagna italica), raggiungere i lontani laghi d’Olbe, dove fermarmi per la meritata sosta. Indeciso, tra le due opzioni tentenno, ma appena decido per la seconda mi pento immediatamente della scelta. Pazienza, sarà per un’altra occasione, quindi, scelta la meta, scendo dal ripido pendio e raggiungo il sottostante sentiero 141. Erroneamente, percorro la vecchia traccia, interrotta da un tratto franato, quindi ridiscendo ancora per poi scorgere la nuova traccia. Stavolta procedo per i laghi, è mezzogiorno, il sole picchia forte, malgrado mi sia coperto il capo (con cappello da escursionista modello safari). Il caldo sole non ha pietà per “il Forestiero Nomade”. Per fortuna lassù qualcuno mi ama. La Dea natura che con il sottoscritto è sempre affabile e generosa, vela il cielo con delle nuvole, tali da rinfrescare l’ambiente fino a quando non raggiungo la meta. La fame si fa sentire, e le riserve d’acqua cominciano a scarseggiare. Nelle vicinanze dei laghi il sentiero guada un torrentello, come un beduino nel deserto, bramo, mi chino accanto lo scorrere delle zampillanti acque per dissetarmi. Scongiurata la più terribile delle pene per un escursionista (la sete), procedo per il più grande dei laghi, fermandomi presso la riva (quota 2177 m). Zaino a terra, mi siedo su un masso, sospiro, ho fame! Apro la tasca superiore della sacca ed estraggo la borsa con le lussuriose cibarie. Beh! Con la fame che mi ritrovo, tutto è più buono, divoro avidamente la banana, il krapfen e la spremuta di arancia, e di seguito la Red Bull e il panino con prosciutto crudo. Tra il serio e il faceto, rifletto! Sono passato dai ripidi dirupi del Monte Ferro, alla dionisiaca località dei laghi d’Orbe. Saziata la fame, riordino le idee. Ammiro il fantastico scenario che mi circonda, sublime, le foto non possono catturare in uno scatto una simile bellezza. Mi abbandono ai pensieri soavi, attimi che vorrei durassero in eterno. Le nuvole si sono dissolte nell’azzurro, è tempo di assumere la posizione eretta e rientrare, quindi zaino in spalle riparto. Nel frattempo giunge nella località una giovane coppia, lascio a loro il silenzio di cui ho goduto. Ritornando sui miei passi, percorro un breve tratto in discesa, mi fanno male le estremità dei piedi, le calze devono aver mollato, quindi decido di fermarmi, per fare il cambio con quelle che tengo nello zaino. Mentre eseguo le operazioni, una bella farfallina gialla a pois si ferma sul piede destro, temporaneamente sprovvisto di scarpone, poi risale per i pantaloni, fermandosi sulla maglia di questi ultimi. Effettivamente il tessuto (pantaloni da rocciatore) ricorda la cotta maglia delle armature dei cavalieri medievali. Ho compreso, essa, la farfallina, è una principessa che ha subito un miserando sortilegio da una vecchia strega, e quando incontrerà il suo cavaliere, lo bacerà, e l’incantesimo svanirà. La storia non mi giunge nuova. <<Cara farfallina, ci sono degli impedimenti: In primis io non sono un principe, ma un Malfattore, e anche quando fossi nobile avrei declinato la proposta perché sono già sposato, quindi essendo un soggetto non praticabile mi devo congedare da te.>> La bella farfallina con un battito d’ali vola via, in cerca del suo principe, ne osservo il volo, e penso! << Se fosse stata azzurra a pois neri, chissà!>>. Ripreso il cammino, raggiungo in breve tempo la località dove ho lasciato l’auto. Un ultimo saluto alla bella cresta del Ferro, rientrando nel quotidiano, ripercorro la Carnia, magico scrigno di tesori.
Il Vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

















































































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