Baba Grande
e Monte Guarda da Malga Coot.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi giulie Occidentali- Gruppo del Canin.
Avvicinamento:
Gemona- Statale Pontebbana-Resiutta-Val Resia-Stovizza-Coritis-Indicazioni per
la Casera Coot-Parcheggio pochi prima del divieto di transito (Quota 1090 m).
Dislivello: 1070
m.
Dislivello
complessivo: 1300 m.
Distanza
percorsa in Km: 13 Chilometri.
Quota minima
partenza: 1090 m.
Quota
massima raggiunta: 2160 m. (Baba Grande); 1720 m (Monte Guarda).
Tempi di
percorrenza. 4, 5 ore senza le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Selvaggia-Escursionistica.
Difficoltà: : Escursionistica
Segnavia:
CAI 642; 731; 731 a; 741; e sentiero non CAI, con radi segni e ometti
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Solo sul monte Guarda.
Libro di
vetta: Su entrambi i monti (sul Guarda due Libri di vetta differenti, italiano
classico con cassetta, Sloveno con il classico cilindro).
Timbro di
vetta: Su entrambi i monti.
Cartografia
consigliata: Tabacco 027.
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti
d’acqua: Solo piccoli rivoli a nord della Casera di Coot.
Data:02 giugno
2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Venerdì, due
giugno è la festa della Repubblica, il cielo si presenta luminoso, terso, come
l’alba di quel giorno di cui ricorre l’anniversario. E non è un caso che
settantuno anni fa, un nuovo sole radioso è sorto sulla nostra patria. Quel
giorno la parola magica “Suffragio Universale” , ovvero il principio secondo il
quale tutti i cittadini e tutte le cittadine di età superiore ad una certa
soglia, in genere maggiorenni, senza restrizioni di alcun tipo a partire da
quelle di carattere economico e culturale e altre quali ceto, censo, etnia,
grado di istruzione, orientamento sessuale e genere, possono esercitare il
diritto di voto e partecipare alle elezioni politiche, amministrative e ad altre consultazioni
pubbliche... Le donne per la prima volta hanno il diritto al voto, e i
cittadini possono scegliere tra chiunque vogliono come rappresentante, fosse la
vecchia zia bisbetica, lo spazzacamino, o il salumiere. Un giorno importante,
anche per me che nacqui diciassette anni dopo, che lo racchiudo in un’unica parola,
che è il mio spirito guida, “la Libertà”. Questa mattina, come se rivivessi quel
dì, appena uscito di casa, ho effettuato un lungo respiro, racchiudendo in esso
tutta la gioia del giorno di festa, e con la mente inebriata da cotanta
bellezza mi reco nella Val Resia. Dalla frazione di Resiutta aziono il pilota
automatico, procedendo verso il fondo valle, con l’occhio sinistro a scrutare
le creste e l’altro a seguire le indicazioni stradali. Giunto nel paesello di
Coritis seguo le indicazioni verso casera Coot. Dentro le viuzze, la mia attenzione
è catturata da una donna di mezza età, l’unica sveglia a quest’ora del mattino,
che vaga per i vicoli. Ha l’aspetto trasandato, volge lo sguardo nel vuoto. Immagino
la signora (mentre con l’auto proseguo lungo la rotabile), ogni giorno,
imperitura, svolgere sempre le stesse operazioni: salutare tutti, dare da
mangiare ai gatti del paese, rivolgersi con tono minaccioso alle imposte
chiuse. Intenta a fare cose inesistenti in un mondo inesistente. I suoi capelli
rossi e gli occhi azzurri sono la memoria di un nobile popolo nomade che con
fierezza osò affrontare le discriminazioni della nostra gente, chiudendosi nell’enclave
per far sopravvivere i sogni delle generazioni remote. Rivedrò lo stesso volto
in discesa, chissà cosa avrà pensato di me nel rivedermi, lo stesso volto di un
forestiero nomade, che indegnamente percorre la sua terra per
salire(vanitosamente) sul cocuzzolo di una roccia.
La stradina,
una stretta rotabile asfaltata, percorre con forte pendenza i stretti tornanti,
dapprima scende fino a guadare il Rio Bila e sempre per stretti tornanti,
risale nel bosco di faggio fino a portarsi poco sotto a casera Coot, (divieto
di transito, parcheggio a destra). La temperatura all’esterno dell’abitacolo è
mite, mi appronto per l’escursione, zaino in spalle e sogni al seguito, parto. Continuo
per la carrareccia (lastricata dal divieto in poi) per sentiero 741, e dopo
pochi minuti avvisto la bella casera Coot. Una serie di cartelli esplicativi sono
piazzati lungo il percorso. È meraviglioso, come ritornare piccino, con il
sussidiario posto nella cartella, e imparare i nomi degli animali e delle
piante. Grato del dono, leggo con piacere le tavole illustrate, seguendo i
segni lungo il prato fino a incontrare il bivio con il sentiero 642. Quest’ultimo,
inoltrandosi nel pendio boschivo, attraversa un canalone, e subito dopo raggiunge
la località “Berdo di Sopra, (casera e ruderi). Ne approfitto per togliere la
giacca tecnica e assumere un assetto da combattimento, ovvero canotta alla “Mauro
Corona” e bandana a brandelli, stile “Malfa”, bene, ora sto da Dio. Mentre il
sentiero 642 prosegue per casera Canin, il mio si inerpica a nord, proprio
sopra la casera Berdo di Sopra, per ripida traccia che mira alla torre Mulaz e
al piccolo puntino rosso (bivacco Costantini), già ben visibili a occhio nudo.
Il sentiero 731 che sto percorrendo assume la denominazione di “Alta Via
Resiana”, taglia in diagonale il canalone detritico e successivamente tra
ontani e mughi si porta alla base del ghiaione che scende dalla forcella tra le
due Babe. La traccia sempre ben battuta si districa dentro il macereto
raggiugendo un masso con la scritta “Bivacco” in rosso e una freccia dello
stesso colore che mi indirizza a sinistra, alla base della torre di Mulaz, il
sentiero di destra conduce al monte Guarda. Seguo la freccia rossa raggiugendo
il caratteristico bivacco incastonato alla base della rocciosa torre Mulaz.
Visito l’interno, apportando la firma sul libro dei visitatori, e continuo l’escursione.
Mi trovo alla base del canalone che porta alla forcella, primi metri a sinistra
del canalone da risalire per balze erbose, fino a passare sotto la forcella tra
la torre Mulaz e il corpo principale della Baba Grande. Nel terriccio individuo
il cadaverino di un serpentello, morto chissà come. Un ometto mi consiglia di deviare
a sinistra attraversando l’inclinata placca rocciosa, che supero con cautela, per
poi risalire il ripido prato. Mi fermo ad ammirare dall’alto la torre Mulaz, adocchio
a pochi metri di distanza una coppia di placidi stambecchi intenti ad ammirare
dall’alto la val Resia, ci salutiamo. Entrambi siamo consapevoli della
reciproca presenza, e continuiamo nelle nostre attività. Questo mi fa pensare, a
quanto mi sono adattato con la selvaggia natura, dove mi muovo con naturalezza.
Lasciati i due stambecchi alla contemplazione procedo per la meta. Il canalone,
non è angusto, anzi! Essendo la roccia di origine carsica, mi arrampico con piacere.
Le cenge naturali sono a chiosa, e le balze erbose aiutano, coadiuvate dai
numerosi bolli rossi. Sono nei pressi alla forcella, sento l’emozione vibrare nell’aria,
passo dopo passo, mi avvicino ad essa, ammirando: il dolce profilo del Canin a
sinistra, e a destra, quello frastagliato della Baba Grande. La forcella detta
anche Infrababa (2030 m. di quota) è meravigliosa, mi affaccio sul versante
orientale del Canin, rimanendo incantato dal paesaggio lunare, dovuto al fenomeno
del carsismo. Per chi ama la selvaggia e la libera esplorazione, questa visione
è una tentazione difficile da non assecondare. Mi concedo alla contemplazione del
versante sloveno, riconoscendo alcune cime e luoghi già esplorati in passato.
Le nubi in lontananza, soprattutto i cumulo-nembo mi consigliano di procedere
lesto per la meta. Seguo i segni CAI dipinti sui grossi massi, procedo quasi in
piano, per poi sormontare i piccoli salti rocciosi, portandomi al ridosso del
tratto finale. Andando nella direzione degli ometti e dei segni percorro il ripido
piano roccioso, portandomi in diagonale sul filo di cresta, e mantenendomi
sulla sinistra di quest’ultima. Tra strette cenge e gradoni raggiungo la
bellissima cima, materializzata da un corposo ometto e un cilindro metallico,
simbolo onnipresente sulle vette slovene. Mi godo lo spettacolo della vetta e
dalla vetta, l’istinto mi porterebbe a procedere per cresta, ma ritorno
indietro sui miei passi, fino a raggiungere la forcella da dove sono sopraggiunto.
Estraggo la mappa dallo zaino, scruto il cielo, e studio i segni
topografici. Penso sul da farsi per il
prosieguo, l’istinto (sempre lui) da lupo mi consiglia di procedere ad anello,
circumnavigando la “Grande Baba”. Ascolto il lupo, come potrei non assecondare
il mio lato selvaggio. Nel primo tratto
percorro tra i grandi massi erranti, spingendomi a sud, e spostandomi sulle
ghiaie alle pendici della Baba, dove vedo una traccia, la seguo, trovo dei segni
tinti in rosso. Raggiunta una selletta, mi mantengo a filo del ripido prato
inerbito seguendo dall’alto il sottostante canale, fino a scorgere un ampio
catino, dove mi calo con passaggi di primo grado, tenendomi ai ciuffi d’erba e
sfruttando le balze. Raggiunta la base del ripido erboso continuo la
circumnavigazione della “Baba Grande”, risalendo, coadiuvato dagli sparuti
ometti la costa inerbita. Raggiunta la cresta, passo vicino i resti di un
trinceramento. Mi affaccio sul pendio settentrionale, dominato dalla bella
guglia della “Baba Piccola”, dall’alto osservo in lontananza il monte Guarda, e
il sentiero di cresta che lo attraversa. Proseguo per la forcella della Baba Piccola,
(altri resti di trincee) scendendo giù dal ripido canalone, tra gli iniziali
grossi massi, e le susseguenti ghiaie, con cui mi diverto nello praticare lo “sci-ghiaismo”.
Raggiunta la base del canalone detritico, passo presso il rudere di un edificio
e per immettermi sulla marcata mulattiera che mi porta al monte Guarda. Un
ultimo sguardo al bivacco Costantini, dove scorgo movimento, odo un gran
vociare, penso: << Sono i soliti ragazzi, che iniziano la montagna come
sempre, con un gran cazzeggio.>> Voltando le spalle alla Grande Baba e
alle sue meraviglie, percorro la comoda mulattiera che quasi in orizzontale procede
per il versante occidentale (ontani e mughi) della piccola Baba, portandosi
sulla linea di cresta che collega il corpo del monte al vicino monte Guarda.
Non avverto stanchezza, anzi, dal tempo impiegato, ammetto che sto volando. Carico
ed entusiasta, decido di raggiungere l’ultima meta di oggi che obiettivamente
non avevo previsto. La traccia è dolce, meno ripida di quanto appare, superando
le piccole elevazioni raggiunge il monte Guarda, che in precedenza quest’anno
per ben due volte mi si è negato. Sull’inerbita vetta mi attendono i simboli di
vetta delle due nazioni: crocefisso con tabernacolo e libro di vetta quello italiano;
cilindro a simulare il bivacco sul Tricorno, quello sul versante sloveno. Si,
c’è un confine, non sono matto, anche se non si vede, c’è! Allora, questa
fogliolina è in Italia e quest’altra in Slovenia! Com’è possibile se fanno
parte dello stesso fiore! Com’è concepibile tutto questo? Appunto! Quanto è
stupido il genere umano, capace di sconfiggere malattie, andare sulla Luna, inventare
macchine volanti, creare capolavori d’arte, sinfonie da sogno e poi perdersi
nell’idiozia totale, ossia: inventare i confini, la più assurda ottusità venuta
fuori dalle menti più contorte. Ugualmente inqualificabili lo sono: le lingue
che ci dividono, i borghi, le città, paesi, nazioni, continenti. La gente si
divide in tutto, non riesce a vivere serena e unita. Si divide come i testicoli,
destro e sinistro; nord e sud, carnico e friulano. Quant’è povera di spirito questa
umanità! Che perde tempo a dividersi su tutto e tutti, piuttosto che dedicarsi
ad amalgamarsi.
Dopo aver
firmato i vari libri di vetta, mi sdraio sull’erba, aprendo lo zaino e tirando
fuori le cibarie. Nel frattempo mi raggiungono i ragazzi visti da lontano al bivacco
Costantini. Ragazzi? Sorrido, altro che ragazzi! Il primo che raggiunge la cima
è un tipo allegro sui 40 anni con cappello da cowboy, subito dopo lo segue un
signore dall’aspetto distino e maturo, che dimostra sessanta anni, e
successivamente altri due, di cui il più giovane dall’apparente età di quarantacinque
anni e l’altro di sessanta. Sono briosi, pimpanti, è un’allegra combriccola; si
sono rincorsi per monti e sentieri. Sono tutti friulani, tranne uno, che è
trapiantato come me. Sorrido, altro che ragazzini, qui compreso il sottoscritto,
andiamo sui trecento se sommiamo gli anni. Ci salutiamo, il loro “mandi” è
ricambiato dal mio salve. Ci scambiamo le impressioni, soprattutto con il
signore distinto, che sembra lo spirito guida del gruppo e con cui istauro una
piacevole conversazione. Dalle prime frasi della comunicazione, reciprocamente
ci rendiamo conto che siamo ferrati sui monti circostanti. Mi chiedono da dove
provengo, naturalmente rispondo che sono nativo di Palermo, e che vivo da più
lustri in Friuli. Il capo con un cenno fa intendere al gruppo che non sono un
pischello in materia di monti. Apprezzo il gesto, tra gentiluomini ci si intende
con uno sguardo. Intuisco che sarebbe il caso di lasciarli da soli sulla cima,
a godersela in modo goliardico, ne approfitto per rientrare. Li saluto,
ricambiano, proseguo a sud per la cresta, e successivamente svolto per la marcata
traccia (sentiero 741 che mi riporta alla casera Coot).
Lungo la
discesa incontro degli escursionisti in salita, proseguo, soddisfatto, allegro,
seguito da due farfalline: una colorata, artistica, e l’altra con il vestitino
della prima comunione, bianco immacolato. Ci facciamo reciproca compagnia,
scendendo per lo stesso sentiero. Mi fermo, rattristandomi, e penso ai
cambiamenti dovuti all’età. Da ragazzino mi costruivo un acchiappa farfalle,
adoperando una retina per mortadella e un fil di ferro legato ad un bastone, e
una volta prese le chiudevo dentro una bottiglia di plastica, la sera
(purtroppo)erano tutte morte, inermi sul fondo del contenitore. Questo sadismo,
da cucciolo d’uomo, mi fa stare male anche adesso che son passati tanti anni, e
se ci ripenso, mi vien da piangere; ma allo stesso tempo, credo di aver pagato
il prezzo per le remote crudeltà. Oggi non commetterei mai un gesto scellerato
nei confronti di un lombrico, cavalletta, zanzara, ecc ecc. E nei confronti di
alcuni soggetti umani? si! E pure con gusto, spedendoli sul lato oscuro della Luna.
Ripreso il sorriso, e giocando con le farfalline, raggiungo il pascolo
antistante la casera di Coot, dove mi dedico alla lettura delle ultime tabelle
illustrate, per poi raggiungere l’auto. Preparandomi al rientro, do un ultimo
sguardo alle Babe e alla stupenda e magica valle Resiana, per poi rientrare nel
quotidiano vivere, naturalmente seguito dalle farfalline.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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