Caserine
Alte (2306 m.) dalla Val Settimana.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti friulane- Gruppo Caserine- Cornaghet.
Avvicinamento:
Maniago-Montereale Valcellina- Barcis- Raggiunta la località di Pinedo (poco
prima di Claut) imboccare a sinistra la
val Settimana, seguendo le indicazioni per il rifugio Pussa.
Dislivello: 1400
m.
Dislivello
complessivo: 1400 m.
Distanza
percorsa in Km: 18 km
Quota minima
partenza: Spiazzo rifugio Pussa 925 m.
Quota
massima raggiunta: 2306 m.
Tempi di
percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Solitaria
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: E.E. A. II- F+
Segnavia: CAI 393. Bolli rossi e ometti.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 021.
Periodo
consigliato: Giugno-Ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato
Fonti
d’acqua: Nel bosco di conifere, piccolo ruscello poco prima della malga Senons
Data: 24
giugno 2017
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Un’estate
assolata si avvicina, mancano pochi giorni al suo ingresso, il meteo sembra
impazzito, ma per chi ama l’escursionismo è una manna. La montagna in molti
casi somiglia ad un deserto di pietra e le avventure si susseguono accompagnate
da finali senza piovaschi. Il tempo è notevolmente cambiato, rendendo le escursioni
simili ad avventure nel vecchio western. Idealmente affrontiamo spesso un
duello al sole con le nostre amate montagne, sia per conquistarle che per
chiudere i conti in sospeso. Conti in sospeso? Si, dicesi ”Conto in Sospeso”,
quell’escursione che per incapacità tecnica dell’escursionista o di sopraggiunti
inconvenienti atmosferici, non conduce all’acquisizione dell’obbiettivo , ma ad
un ritiro con abbandono dell’impresa. Quest’esperienza produce nell’escursionista
una sorta di frustrazione, che con il passare dei giorni o dei mesi, aumenta in
modo considerevole, fino a culminare in un’ossessione, che sovente diviene
“Chiodo Fisso”. Come si guarisce da ciò? Semplice! Ritornando sul luogo del
misfatto per la rivincita. Ultimamente ho letto le imprese di alcuni amici (amanti
della montagna), e dei loro conti sospeso, finalmente saldati. Bene! <<Ho
esclamato.>> Ho sorriso, e ho pensato ai miei conti da saldare, ne ho un
paio, e il primo che mi è venuto in mente è il monte Caserine alte. Il primo
tentativo per le Caserine alte l’ho effettuato due anni fa, il 31 luglio. Ricordo
bene che anche allora era una bellissima giornata. Mi fermai a quota 2150, a
soli 156 metri dalla vetta. Cercando di superare una piccola crestina andai in
crisi, sensazioni difficili da spiegare. Per mesi ho riflettuto, concludendo
che la causa di tutto sta nella testa, che a volte gioca brutti scherzi. Arriva
il sabato mattino, mi alzo presto, sono impaziente di raggiungere la Val Settimana.
Lo zaino è minimalista, carico solo acqua, lasciando nel borsone, la corda e le
altre attrezzature; per questa cima servono braccia, gambe e testa. La Val settimana
è uno scrigno, un tesoro per chi ama i sentieri selvaggi, la percorro fino in
fondo, quattordici chilometri di stradina dissestata e ghiaioni. I tanti
cartelli escursionistici del parco dolomitico mi ricordano le meraviglie che
posso raggiungere seguendo le indicazioni. Arrivo nello spiazzo presso il
rifugio Pussa (quota 925 m.), dove trovo un camper in sosta. Lungo la strada scruto
il cielo (coperto dalle nuvole), ma non dispero, infatti giunto alla fine della
valle l’azzurro domina lo scenario. Zaino in spalle e sogni al seguito, parto. Oggi
sto bene, sono in forma. Dal parcheggio parte una lunghissima strada forestale,
con divieto di transito per i non addetti e numerata sentiero CAI 393. In meno
di un’ora raggiungo l’alpe che ospita la casera di Senons (quota 1323 m), entro
nel locale adibito per il bivacco apportando la firma sul libro degli ospiti. Fuori
dalla struttura ammiro le cime che circondano la malga. Tra di esse spiccano il
monte Caserine, il Corno di Senors e la cima di San Francesco. Dalla casera per
raggiungere la forcella del Pedole si dipartono due sentieri CAI, decido di
prendere quello a destra (guardando a oriente) un po’ più lungo dell’altro (a
sinistra) che parte a nord dell’edificio, ma più comodo come percorrenza. Dalla
casera si abbassa pochi metri superando un secco impluvio, per poi risalire per
ripida traccia all’interno del bosco di conifere. Uscendo dal bosco con
andamento circolare il sentiero percorre tra larici e sparuti mughi
l’anfiteatro boschivo posto sotto le dirupate pareti che circondano la conca.
Attraverso una zona con grossi massi, fino a spingermi sotto la forcella di
Pedole, che raggiungo risalendo tra zolle e ghiaie (due ore dal parcheggio, quota
1921 m.). Il sole filtra dalla piccola forcella che divide il corpo delle
Caserine da quello del Burlaton. Sono carico, euforico, adrenalina a mille, ho
tanto tempo a mia disposizione per raggiungere la vetta che dista solo trecento
metri di dislivello. A meridione della forcella inizia il corpo roccioso della montagna,
segnato con bolli rossi. Nel primo tratto di dolomia, dentro un incavo, decido
di lasciare lo zaino, portandomi appresso lo stretto necessario (disposto nella
mini sacca), casco e bastoncini telescopici. Inizio il primo tratto seguendo la
direzione segnata da bolli e ometti, aggirando il versante occidentale mi
ritrovo sul ripido prato orientale, che risalgo con facilità, coadiuvato dalla
labile traccia e dai pochi segni. Presto raggiungo la prima paretina, un primo
grado inferiore, che supero con facilità, portandomi sullo spallone superiore.
Seguendo i bolli proseguo a oriente attraverso un sentierino, per poi risalire per
facili roccette e zolle fino alla superiore cresta. Raggiunta quest’ultima
(seguendo sempre i bolli rossi) la percorro ad oriente fino a quando si fa più
esile. Decido di liberarmi di uno dei
bastoncini telescopici , adopererò l’altro nelle ghiaie sommitali. Ho raggiunto
finalmente la fatidica cresta che due anni prima mi arrestò. È giunta l’ora di
regolare il conto, mi servirebbe un sottofondo musicale, una colonna sonora di
Ennio Morricone. Sin da subito mi rendo conto che l’ostacolo è meno complesso
di quanto pensassi. In una frazione di secondi il centinaio di cime che ho
percorso negli ultimi anni si materializza nei ricordi, riconoscendo che ne ho
fatta di strada, e ora sono un altro uomo che affronta questo ostacolo. Mi
avvicino ad essa [la cresta], trovando tanti appoggi e appigli, la supero
velocemente, divertendomi. Raggiunto l’altro estremo mi concentro sul prosieguo,
cercando di superare l’euforia provocata dal superamento dell’ostacolo. Nuvole leggere e basse giocano a nascondino,
velandomi la roccia, ma non temo nulla, osservo la loro altezza e consistenza,
le chiamo nuvole d’aria condizionata, perché più che timore mi portano delizia
e refrigerio. Mi concentro sulla roccia, seguendo i radi bolli, passaggi facili
su roccette, fino a raggiungere un camino, incassato e articolato, è una
delizia risalirlo. Nessuna esposizione, anzi, in breve raggiungo la base della cresta
sommitale, dove sono ben visibili le tracce che tra le ghiaie mi portano alla
sospirata cima. La vetta è ben nascosta, raggiungo la cresta, sopra di me solo ed
esclusivamente cielo azzurro, tinto a sprazzi dalle nuvole, bianche e leggere.
Vedo l’ometto, pochi metri ancora, pochi… dall’immensità, dalla felicità. Ci
sono! Trovo anche il tempo di fare un video, per poi lasciarmi andare
all’euforia. La cresta è lunga, vedo altri ometti in successione sui dorsi, mi
viene il dubbio che se questa sia la cima più alta, il GPS mi conferma che sono
sulla quota più alta. Sono indeciso se percorrere fino in fondo il crinale o
fermarmi sulla cima. Decido per la seconda ipotesi, dedicando del tempo a
questo meraviglioso evento. Non trovo il libro di vetta, solo una rudimentale
croce costruita con due bastoncini e un elastico. Mi siedo su una pietra
comoda, mi godo l’infinito paesaggio. Osservo le nuvole, che come tante
farfalle, giocano a velare e svelare. Dall’alto le cime circostanti appaiono
piccole, leggibili, inoffensive. È una montagna magica, dalle sue pietre
trasuda tanta energia, e di essa, io, ora mi nutro. Ho voglia di liberami di
tutto, voglio avere con la montagna un rapporto carnale, passionale, erotico. Decido
di denudarmi, non per mero esibizionismo, questa è una cima che ha pochi
frequentatori, ma per un forte desiderio che brama il mio animo. Visto che il
meteo può cambiare all’improvviso, nello spogliarmi depongo tutto con cura e in
ordine, fino a trovarmi del tutto ignudo. Camminare sulle affilate pietre non è
facile, ma mi tocca, fatta la foto ricordo per i nipotini mi siedo sulla comoda
pietra. Sono libero, sono io! Sono rispettoso della montagna, sentirmi un
tutt’uno con lei mi fa sentire bene e mi dà forza ed energia, che conserverò a
lungo. Dopo una buona mezzoretta passata
ad occhi chiusi per sentire con più enfasi le mani del vento accarezzare il mio
corpo, mi rivesto, con calma. Controllo che non abbia dimenticato nulla e mi
avvio per il rientro, mi fermo, torno indietro! Mi ricordo che nelle tasche
appese alla cintola tengo un contenitore vuoto di pasticche energetiche,
estraggo da un'altra tasca un biglietto bianco, e scrivo una dedica. Piego il
biglietto ponendolo dentro il contenitore, e una volta chiuso lo inserisco
nelle cavità create dai sassi dell’ometto di vetta. Con calma riprendo la
discesa, anche stavolta mi appare più facile della salita, supero la fatidica
crestina in basso, e in breve raggiungo la forcella di Pedole. Dopo aver
recuperato lo zaino, effettuo una breve sosta. Rimetto a posto i materiali, e
successivamente estraggo i viveri. Non ho molta fame, la gioia della conquista
mi ha tolto appetito, riesco a mangiare solo un paio di banane (utili per
recuperare la fatica accumulata alle gambe) e bere una spremuta d’arancia. Il
resto decido di mangiarlo dopo, magari alla casera del Senons. Mi appronto,
vorrei scalare un’altra cima vicina, ma parlando tra me, dico: <<Hai
vinto, cerca di non stravincere!>> Rinvio ad un’altra occasione la meta
che avevo in serbo. Per il rientro cambio sentiero, scegliendo quello che in discesa
percorre il lato destro del catino erboso. Tra segni e radi ometti, mi inoltro
nel bosco, superando un rivolo, e successivamente raggiungo da settentrione il
prato circostante della casera Senons. Avverto e odo la presenza di esseri umani,
infatti, davanti alla casera stanno banchettando un gruppo di pacifici
escursionisti. Mi avvicino, saluto ed entro nell’edificio, aprendo il libro dei
visitatori, e tramite rapida scrittura rassicuro chi fosse stato in pensiero
per il sottoscritto, che sono salito in cima e ridisceso sano e salvo.
Abbandono velocemente la casera, rinviando i propositi di consumare il panino a
luogo da destinarsi. Subito dopo avvisto un gruppo di escursionisti, armati di
reticella, a caccia di farfalle, sono infastidito da tale esercizio, e non
poco; li fotografo, poco dopo avvisto anche un fuoristrada targato Slovenia.
Gli eroici cacciatori di farfalle si sono pure risparmiati la fatica di fare
strada a piedi, riservando tutte le loro energie per rincorrere le incolpevoli
vittime. Sicuramente a pochi interesserà della vita delle farfalle, ma
personalmente mi da fastidio vedere costoro dentro un parco naturalistico. Perché
non vanno a caccia di pantegane? Apprezzerei molto la loro ricerca! La vita di
una farfalla è così breve! Comunque a parte questo episodio, termino
l’escursione nel migliore dei modi, raggiugendo l’auto. Una volta cambiatomi dagli
abiti sudaticci, riprendo il cammino lungo la Val Settimana, ora brulicante di
turisti. Il cellulare non ha campo, quindi ne approfitto per consumare il famoso
panino. Uscito dalla valle e avendo campo, rassicuro la moglie delle mie
condizioni, invitandola a cena. Chiuso il cellulare venivo tempestato da sms,
una triste notizia mi giungeva, un mio amico è prematuramente scomparso,
raggiungendo il cielo per altra via. La vita è breve, come un battito d’ali di
farfalla e va goduta fino in fondo, senza chiedersi se è giusta o no, ma
vivendola. Con questo riflessione raggiungo l’abitazione, accompagnato da mille
pensieri, così come poco prima sulla cima ero avvolto dalle nuvole.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.