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mercoledì 26 ottobre 2016

 
Anello Monte Terzo 2030 m.                                         

 Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche centrali.

Avvicinamento: Tolmezzo-Valle del But-Paluzza-Deviazione per Cleulis-Indicazioni Malga Lavareit e monte Terzo. Lungo la forestale da Quota 1200 metri in su si può lasciare l’auto nelle varie piazzole.

Punto di Partenza Piazzola posta presso un tornante, quota 1240 m.

Dislivello: 845 m.

Dislivello complessivo: 900 m.

Distanza percorsa in Km: 14,3.

Quota minima partenza: 1240 m.

Quota massima raggiunta: 2030 m.

In: Solitaria + Magritte.

 Tipologia Escursione. Escursionistica storica.

Difficoltà: Escursionistica.

Segnavia: CAI 155-175.

Tempo percorrenza totale: 5 ore.

Fonti d’acqua: Piccoli torrenti.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco n. 09.

Periodo consigliato: aprile -ottobre

Condizioni del sentiero: Ben Marcato e segnato.

Data: 22 ottobre 2016.

 
Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

Relazione.

 L’escursione sul monte Terzo era tra quelle programmate per il 2016, pensavo di farla in primavera o in autunno. Due settimane fa ho provato a raggiungere la cima, ma con scarsi risultati a causa di una nevicata in quota e la scarsa visibilità dovuta alle nuvole basse. La giornata di sabato promette bene, il meteo enuncia sole intervallato da qualche sporadica nuvola. Sabato mattino parto da casa più tardi del solito, in compagnia del fido Magritte, che da poco ha finito la convalescenza. Giungo nella valle del But che ancora è buio pesto, sono nei pressi di Paluzza comincio a distinguere i monti, presso la frazione di Cleulis imbocco la stretta forestale, seguendo le indicazioni per il monte Terzo e la malga Lavareit. La piccola stradina risale l’erto pendio boschivo. Aiutandomi con la mappa cerco uno spiazzo dove lasciare l’auto, ne trovo uno comodo presso un tornante a quota 1240 metri. Sosto l’auto, i primi raggi del sole fanno capolino tra le fronde. La temperatura non è eccessivamente fredda, zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito si parte per questa nuova avventura. Risalgo lungo la forestale, convinto di incontrare qualche segno CAI, effettivamente al primo tornate scorgo un segno dipinto su un masso. I primi metri di percorso li impiego ad osservare gli alberi, ho appena finito di rileggere un libro di Mauro Corona su di essi. Gli abeti bianchi e i radi faggi mi fanno compagnia, fino a che intravedo ai margini della strada forestale un cartello con indicazioni per il monte Terzo e la casera Tierz Bassa (sentiero CAI 155). Imbocco il sentiero che risale all’interno del bosco fino a sbucare nella radura, dove gli abeti cedono il posto al prato, nel frattempo incrocio dei giovani cacciatori lieti dell’esito della caccia. Nel verde prato semi innevato mi lascio condurre dalla ben marcata mulattiera, presto raggiungo la vicina malga di Monte Tierz. Do un’occhiata alla struttura, in un riparo ricavato dalla stalla noto pure che come confort hanno il gabinetto. Proseguo in direzione nord seguendo la mulattiera di guerra che percorre parallelamente alla cresta del monte Terzo il fondo della valle. Alla mia destra il sentiero ha come perimetro un’intensa vegetazione di ontani mista a qualche sorbo degli uccellatori. Man mano che salgo all’interno dell’avvallamento la neve si fa più compatta coprendo i rilievi e il sentiero che a fatica intuisco. Scorgo al centro della valle i ruderi della casera di monte Terzo alta. Cerco di mantenermi sul margine destro evitando così di affondare con gli scarponi nella neve, con fatica raggiungo la forcella che collega il monte Terzo al Cimone di Crasulina. Nel frattempo il cielo si è chiuso e nuvoloni neri minacciosi si addensano sopra la mia testa, con il conseguente abbassamento della temperatura. È un tempo da lupi, non bastasse, starnutisco a gogò a causa degli effetti residui dell’influenza, pazienza, indietro non si torna, atteggiamento più stoico che eroico. Magritte è taciturno, sempre più enigmatico, lo osservo proseguire senza guinzaglio, mi sta vicino e mi conforta, ha intuito che la mancanza di sole mi rattrista. Dalla forcella una marcata traccia alla mia destra risale il pendio sotto la cima del monte Terzo, che sembra ormai più vicina. La neve nasconde il tracciato, ma è la prosecuzione naturale della mulattiera di guerra che ho intrapreso in basso. Il primo tratto è una lunga diagonale in direzione sud-est, che poi risale in direzione nord verso la vetta. Nel frattempo vengo raggiunto da un escursionista solitario, ci salutiamo con un cenno degli occhi, fa due carezze a Magritte. Mi passa avanti, ne approfitto per mettere gli scarponi sulle sue tracce, cosi raggiungo con una serie di piccole rampe la conca tra le due cime. A occhio quella di sinistra appare più alta, mi districo tra la neve conquistando il vertice, l’amico appena incontrato sale dal versante opposto, ci troviamo su, ci stringiamo la mano presentandoci. Egli è rapito dal fascino indiscreto di Magritte. Il fido vanitoso, chissà da chi ha preso? Si lascia fotografare mostrando lo sguardo verso l’infinito, un vero attore. Scendo dalla cima A per andare verso la cima B, che è affollata di oggetti, l’amico di vetta mi segue silente. Avverto una strana situazione, osservo, penso dei concetti astratti, ho l’impressione di vivere una sensazione simile a quando si ha la febbre, tutto è irreale. La seconda cima è addobbata dei soliti oggetti per fanatici del Kitsch. Ovvero una croce stile roccocò scolpita in legno, una campanella, e una gavetta porta libro di vetta con libro bagnato e inutilizzabile e con annessa penna a sfera e lapis. nella vetta precedente la spartana croce faceva la sua bella figura con l’austero ambiente. Dalle cime si domina un vasto paesaggio che va dalla Creta di Collina fino alla creta del Timau. I colori accessi dell’autunno contrastano con il bianco, creando un’atmosfera da paesaggio scandinavo. Il silenzio regna sovrano, il signor inverno è entrato prepotente nella stagione creando in noi comuni mortali   una voglia di calore e di caminetto acceso, di accoccolarsi, che mai guasta. L’amico, ha un aspetto giovanile, capelli rossi, mi chiede se scendendo dalla cima compirò l’anello completo, in quel caso si aggrega. Accondiscendo, lui scende prima dalla cima mantenendo da me una distanza di alcune decine di metri, effettivamente siamo due solitari a debita distanza. Raggiunta la Forcella scrutiamo il versante Nord, ancora vergine da impronte umane dopo la nevicata. Scendo ad intuito seguito dall’amico, che in una sua rara espressione verbale mi rende edotto sul luogo di provenienza, Trieste. Fin qui nulla di anormale, un palermitano e un triestino dove potevano incontrarsi? Naturalmente in Carnia e su una cima innevata, colgo del mio pensiero un leggero filo di ironia. Scendo, anzi, scendiamo tagliando al centro il catino innevato, trovando un varco tra gli ontani insecchiti. Scorgo delle tracce di capriolo che hanno percorso precedentemente il sentiero, altro che GPS, seguire le impronte del mammifero è più sicuro.  In basso avvisto la presenza di altri bipedi, esattamente una famigliola classica, madre, padre e figlio, e indovina? Anche loro di Trieste, di carnici e friulani nemmeno l’ombra, oggi ho scelto una giornata da lupi. Verso la parte terminale del catino, il sentiero, ovvero quello che dovrebbe esserlo devia a destra guadando un torrente e dopo alcune centinaia di metri si immette in una carrareccia. Le fatiche volgono al termine, il prosieguo è tranquillo. L’amico ha preso un bel vantaggio, io mi lascio distrarre dalla bellezza dei colori autunnali, esprimendo pensieri ammirevoli verso i larici solitari. Raggiungo poco dopo la casera, l’amico sconosciuto ha già consumato il suo panino al riparo sotto il portico, mi invito all’improvvisata mensa, estraendo dal mio zaino le leccornie, alias pane e frittata per il sottoscritto e Wurstel per ringhio. L’amico solitario su mio consiglio va a fare una visita al pipistrello in letargo a tergo dell’edificio, poco dopo mi ringrazia della compagnia e delle dritte, e si congeda  salutandomi.  Avendo il boccone in bocca rispondo con un cenno eloquente della mano, che lui traduce prontamente in un “alla prossima”. Mordendo l’ultimo pezzo di panino osservo la figura dell’amico sconosciuto che abbandona il paesaggio, un velo di tristezza avvolge il mio stato d’animo. Penso: << Che strani gli uomini, si incontrano anche per pochi istanti riempendo il vuoto anche con il silenzio.>> Saziata la fame e ripreso lo zaino, si va con Magritte a salutare il mammifero volante appeso a testa giù sulla parete posteriore della malga. Un attimo di dolcezza, il piccolo “Bat” mi intenerisce, chissà cosa sta sognando. Ciao topino volante. Ripreso il cammino verso l’auto mi aspetta una lunghissima carrareccia, mi distraggo ammirando i signori del bosco, ovvero gli abeti bianchi, giganti buoni dalle possenti radici. Così termina la prima uscita invernale con il fido Magritte.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.






























































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