Anello Monte
Terzo 2030 m.
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche centrali.
Avvicinamento:
Tolmezzo-Valle del But-Paluzza-Deviazione per Cleulis-Indicazioni Malga Lavareit
e monte Terzo. Lungo la forestale da Quota 1200 metri in su si può lasciare
l’auto nelle varie piazzole.
Punto di
Partenza Piazzola posta presso un tornante, quota 1240 m.
Dislivello:
845 m.
Dislivello
complessivo: 900 m.
Distanza
percorsa in Km: 14,3.
Quota minima
partenza: 1240 m.
Quota
massima raggiunta: 2030 m.
In:
Solitaria + Magritte.
Tipologia Escursione. Escursionistica storica.
Difficoltà: Escursionistica.
Segnavia: CAI
155-175.
Tempo
percorrenza totale: 5 ore.
Fonti
d’acqua: Piccoli torrenti.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco n. 09.
Periodo
consigliato: aprile -ottobre
Condizioni
del sentiero: Ben Marcato e segnato.
Data: 22
ottobre 2016.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
Relazione.
L’escursione sul monte Terzo era tra quelle
programmate per il 2016, pensavo di farla in primavera o in autunno. Due
settimane fa ho provato a raggiungere la cima, ma con scarsi risultati a causa
di una nevicata in quota e la scarsa visibilità dovuta alle nuvole basse. La
giornata di sabato promette bene, il meteo enuncia sole intervallato da qualche
sporadica nuvola. Sabato mattino parto da casa più tardi del solito, in
compagnia del fido Magritte, che da poco ha finito la convalescenza. Giungo
nella valle del But che ancora è buio pesto, sono nei pressi di Paluzza
comincio a distinguere i monti, presso la frazione di Cleulis imbocco la
stretta forestale, seguendo le indicazioni per il monte Terzo e la malga
Lavareit. La piccola stradina risale l’erto pendio boschivo. Aiutandomi con la
mappa cerco uno spiazzo dove lasciare l’auto, ne trovo uno comodo presso un
tornante a quota 1240 metri. Sosto l’auto, i primi raggi del sole fanno
capolino tra le fronde. La temperatura non è eccessivamente fredda, zaino in
spalle, Magritte e sogni al seguito si parte per questa nuova avventura.
Risalgo lungo la forestale, convinto di incontrare qualche segno CAI,
effettivamente al primo tornate scorgo un segno dipinto su un masso. I primi
metri di percorso li impiego ad osservare gli alberi, ho appena finito di
rileggere un libro di Mauro Corona su di essi. Gli abeti bianchi e i radi faggi
mi fanno compagnia, fino a che intravedo ai margini della strada forestale un
cartello con indicazioni per il monte Terzo e la casera Tierz Bassa (sentiero
CAI 155). Imbocco il sentiero che risale all’interno del bosco fino a sbucare
nella radura, dove gli abeti cedono il posto al prato, nel frattempo incrocio
dei giovani cacciatori lieti dell’esito della caccia. Nel verde prato semi
innevato mi lascio condurre dalla ben marcata mulattiera, presto raggiungo la
vicina malga di Monte Tierz. Do un’occhiata alla struttura, in un riparo
ricavato dalla stalla noto pure che come confort hanno il gabinetto. Proseguo in
direzione nord seguendo la mulattiera di guerra che percorre parallelamente
alla cresta del monte Terzo il fondo della valle. Alla mia destra il sentiero
ha come perimetro un’intensa vegetazione di ontani mista a qualche sorbo degli
uccellatori. Man mano che salgo all’interno dell’avvallamento la neve si fa più
compatta coprendo i rilievi e il sentiero che a fatica intuisco. Scorgo al centro
della valle i ruderi della casera di monte Terzo alta. Cerco di mantenermi sul margine
destro evitando così di affondare con gli scarponi nella neve, con fatica
raggiungo la forcella che collega il monte Terzo al Cimone di Crasulina. Nel
frattempo il cielo si è chiuso e nuvoloni neri minacciosi si addensano sopra la
mia testa, con il conseguente abbassamento della temperatura. È un tempo da
lupi, non bastasse, starnutisco a gogò a causa degli effetti residui
dell’influenza, pazienza, indietro non si torna, atteggiamento più stoico che
eroico. Magritte è taciturno, sempre più enigmatico, lo osservo proseguire senza
guinzaglio, mi sta vicino e mi conforta, ha intuito che la mancanza di sole mi
rattrista. Dalla forcella una marcata traccia alla mia destra risale il pendio
sotto la cima del monte Terzo, che sembra ormai più vicina. La neve nasconde il
tracciato, ma è la prosecuzione naturale della mulattiera di guerra che ho
intrapreso in basso. Il primo tratto è una lunga diagonale in direzione sud-est,
che poi risale in direzione nord verso la vetta. Nel frattempo vengo raggiunto
da un escursionista solitario, ci salutiamo con un cenno degli occhi, fa due carezze
a Magritte. Mi passa avanti, ne approfitto per mettere gli scarponi sulle sue
tracce, cosi raggiungo con una serie di piccole rampe la conca tra le due cime.
A occhio quella di sinistra appare più alta, mi districo tra la neve
conquistando il vertice, l’amico appena incontrato sale dal versante opposto,
ci troviamo su, ci stringiamo la mano presentandoci. Egli è rapito dal fascino
indiscreto di Magritte. Il fido vanitoso, chissà da chi ha preso? Si lascia
fotografare mostrando lo sguardo verso l’infinito, un vero attore. Scendo dalla
cima A per andare verso la cima B, che è affollata di oggetti, l’amico di vetta
mi segue silente. Avverto una strana situazione, osservo, penso dei concetti
astratti, ho l’impressione di vivere una sensazione simile a quando si ha la
febbre, tutto è irreale. La seconda cima è addobbata dei soliti oggetti per
fanatici del Kitsch. Ovvero una croce stile roccocò scolpita in legno, una
campanella, e una gavetta porta libro di vetta con libro bagnato e
inutilizzabile e con annessa penna a sfera e lapis. nella vetta precedente la
spartana croce faceva la sua bella figura con l’austero ambiente. Dalle cime si
domina un vasto paesaggio che va dalla Creta di Collina fino alla creta del
Timau. I colori accessi dell’autunno contrastano con il bianco, creando un’atmosfera
da paesaggio scandinavo. Il silenzio regna sovrano, il signor inverno è entrato
prepotente nella stagione creando in noi comuni mortali una voglia di calore e di caminetto acceso, di
accoccolarsi, che mai guasta. L’amico, ha un aspetto giovanile, capelli rossi,
mi chiede se scendendo dalla cima compirò l’anello completo, in quel caso si
aggrega. Accondiscendo, lui scende prima dalla cima mantenendo da me una distanza
di alcune decine di metri, effettivamente siamo due solitari a debita distanza.
Raggiunta la Forcella scrutiamo il versante Nord, ancora vergine da impronte
umane dopo la nevicata. Scendo ad intuito seguito dall’amico, che in una sua
rara espressione verbale mi rende edotto sul luogo di provenienza, Trieste. Fin
qui nulla di anormale, un palermitano e un triestino dove potevano incontrarsi?
Naturalmente in Carnia e su una cima innevata, colgo del mio pensiero un
leggero filo di ironia. Scendo, anzi, scendiamo tagliando al centro il catino
innevato, trovando un varco tra gli ontani insecchiti. Scorgo delle tracce di
capriolo che hanno percorso precedentemente il sentiero, altro che GPS, seguire
le impronte del mammifero è più sicuro.
In basso avvisto la presenza di altri bipedi, esattamente una famigliola
classica, madre, padre e figlio, e indovina? Anche loro di Trieste, di carnici
e friulani nemmeno l’ombra, oggi ho scelto una giornata da lupi. Verso la parte
terminale del catino, il sentiero, ovvero quello che dovrebbe esserlo devia a destra
guadando un torrente e dopo alcune centinaia di metri si immette in una
carrareccia. Le fatiche volgono al termine, il prosieguo è tranquillo. L’amico
ha preso un bel vantaggio, io mi lascio distrarre dalla bellezza dei colori
autunnali, esprimendo pensieri ammirevoli verso i larici solitari. Raggiungo
poco dopo la casera, l’amico sconosciuto ha già consumato il suo panino al
riparo sotto il portico, mi invito all’improvvisata mensa, estraendo dal mio
zaino le leccornie, alias pane e frittata per il sottoscritto e Wurstel per
ringhio. L’amico solitario su mio consiglio va a fare una visita al pipistrello
in letargo a tergo dell’edificio, poco dopo mi ringrazia della compagnia e
delle dritte, e si congeda salutandomi. Avendo il boccone in bocca rispondo con un
cenno eloquente della mano, che lui traduce prontamente in un “alla prossima”.
Mordendo l’ultimo pezzo di panino osservo la figura dell’amico sconosciuto che
abbandona il paesaggio, un velo di tristezza avvolge il mio stato d’animo. Penso:
<< Che strani gli uomini, si incontrano anche per pochi istanti riempendo
il vuoto anche con il silenzio.>> Saziata la fame e ripreso lo zaino, si va
con Magritte a salutare il mammifero volante appeso a testa giù sulla parete
posteriore della malga. Un attimo di dolcezza, il piccolo “Bat” mi intenerisce,
chissà cosa sta sognando. Ciao topino volante. Ripreso il cammino verso l’auto
mi aspetta una lunghissima carrareccia, mi distraggo ammirando i signori del
bosco, ovvero gli abeti bianchi, giganti buoni dalle possenti radici. Così
termina la prima uscita invernale con il fido Magritte.
Il vostro “Forestiero
Nomade”.
Malfa.
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