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mercoledì 7 settembre 2016

Cima delle Vacche 2058 metri.


                                                                       Cima delle Vacche 2058 m.                                                     

 Note tecniche.

Localizzazione: Dolomiti destra Piave- Gruppo Col nudo- Cavallo.

Avvicinamento: Aviano- Caneva- Cansiglio- Tambre -Sant’Anna – Malga Pian Lastre.

Punto di Partenza: Malga Pian Lastre 1280 metri.

Dislivello: 700 metri.

Dislivello complessivo: 700 metri.

Distanza percorsa in Km: 10 km.

Quota minima partenza: 1280 metri.

Quota massima raggiunta: 2058 metri.

In: Solitaria.

Difficoltà: Escursionistico.

Segnavia: CAI 926; Bolli rossi e ometti.

Tempo percorrenza totale: 3 ore.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco 012.

Periodo consigliato: Tutto l’anno, ottima località per scialpinismo e ciaspolate.

Condizioni del sentiero: Ben marcato e ben segnato.

Data: 03 settembre 2016

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 


Relazione.

 Cima delle Vacche quota 2058 metri.

Nelle precedenti escursioni sul monte Laste e sulla cima Manera sono rimasto colpito da alcune vette dietro il rifugio semenza. Dall’alto le ho studiate, riuscendo anche a intravedere le tracce dei sentieri, mi hanno impressionato, ero sicuro che sarei ritornato. Di recente l’amico Andrè ha pubblicato sul suo Blog un articolo su queste cime, riaccendendomi la voglia di esplorare quelle dune bianche. Come sempre decido l’itinerario all’ultimo minuto, rendendomi conto che non sono praticabile come compagno di escursioni, un impegno per me è una catena. La libertà è un bene supremo. Altro legame sono i cavi, le corde, l’imbrago, comincio ad avere l’allergia a tutto quello che mi lega. Preferisco affidarmi a me stesso, all’uso delle mani e degli scarponi. Cima delle vacche fa parte di questo mondo libero, è una cima semplice, non ha un nome elegante, “Vacche” fa pensare a qualcosa che rumina, che defeca, che concima i campi, che popola i paesaggi bucolici, ma non certo a grandi imprese. L’ideale per chi necessita di silenzio. Non avevo mai visitato l’altopiano del Cansiglio, conoscevo solo la cartellonistica che mi invitava da Caneva a risalire la rotabile. Oggi ho seguito per rotabile le indicazioni di quel cartello, una interminabile serie di curve che risale tra boschi, inoltrandosi nella foresta del Cansiglio. Nel frattempo il sorgere del sole mi seduceva, la sua sfera rossa tra le nubi mi ricorda che la vita è un breve istante da vivere intensamente. Raggiunto l’altopiano del Cansiglio mi ritrovo immerso in una fiaba. L’incantevole paesaggio è avvolto dalla nebbia, procedo lentamente, ammirando la bellezza assoluta del risveglio della natura, mi fermo, scendo dall’auto, sogno. Un ciclista sbucando dalla bruma mi saluta, rispondo, ma è già svanito. Riprendendo il cammino raggiungo l’Alpago, cerco la meta di oggi, essa è avvolta dalle nuvole, seguo le indicazioni passando per i piccoli borghi fino a raggiungere la malga di Lastre. Presso di essa c’è un ampio spiazzo dove lascio l’auto. L’odore dell’erba è il tipico delle malghe, le prime mucche sono al pascolo. Indosso l’armatura da spirito solitario e mi avvio per questa nuova avventura. La carrareccia prosegue direzione nord -ovest, supero la cartellonistica con le indicazioni per il rifugio Semenza. Cammino a passo lento, sistemandomi i bastoncini e ammirando il paesaggio dell’Alpago: il lago di santa Croce e i piccoli borghi mi inebriano, e forse esagero, perché ebbro di emozioni non scorgo un’indicazione per la Costa Schienon; me ne renderò conto poco più avanti, quando la carrareccia comincia a perdere quota. Senza perdermi d’animo risalgo un secco impluvio che solca la valle del Cadin fino a portarmi poco sotto la cresta. Zizzagando tra gli abeti conquisto la schiena del monte dove trovo la marcata traccia. Ora il percorso è meravigliosamente soffice, risale il costone, prima tra gli abeti e successivamente tra i faggi. Come per magia le due specie di albero si mettono d’accordo, i faggi a destra (conservatori), gli abeti a sinistra(progressisti), mentre qualche sparuto larice (indipendente) rivendica la sua presenza. Adoro camminare sulle creste, ho la sensazione di spiccare il volo. Le conifere ora si fanno più rare, lasciando il passo a fazzoletti d’erba intervallati da cespugli di pino mugo. Il gioco di luci lascia intravedere la prosecuzione sulla cresta: a meridione scoscesi prati, a settentrione il dirupato versante verso il Cadin. La marcata traccia percorre il filo di cresta, intravedo in lontananza la cima, ma prima di essa due figure. La mia leggera miopia dovuta all’età mi porta a non mettere perfettamente a fuoco gli oggetti distanti, e pur togliendomi qualcosina all’alta definizione, aggiunge poesia alla visione. I due soggetti avvistati a distanza mi appaiono come padre e figlio: il primo incede velocemente, il secondo lentamente e spesso si gira ad osservare il nulla. Procedo con il mio passo, guadagnando poco, rispetto a chi mi precede. Ora riesco a distinguere chiaramente gli zaini, ho la sensazione che conversino tra loro. Fantastico! Padre e figlio sullo stesso sentiero, comincio a pensare alle metafore, bello condividere con i propri figli le proprie passioni, come quando con mio figlio si va in bici. Mi avvicino sempre di più, malgrado mi fermo spesso a scattare foto. La nebbia copre la vetta, nell’ultimo tratto il manto erboso cede il passo a degli affioramenti rocciosi.  I due che mi precedono sono arrivati, un’asta in metallo materializza la massima elevazione. Arrivo anch’io scoprendo con sorpresa, che non sono padre e figlio, ma due compari di eguale età, due giovanotti di 65 anni. Abitanti di una frazione dell’Alpago. Dialogando scopro che deambulavano lentamente a causa dei dolori ad un ginocchio di quello che io immaginavo fosse il padre. Hanno l’aspetto vispo, da furbetti, come ragazzini, di quelli che la sanno lunga. Mi fermo a conversare con loro, sono loquaci e simpatici, come spesso lo sono i veneti. Osservo il mio prosieguo, e non mi ispira, mi aspetta una crestina molto esposta, ma quello che mi inquieta e che non ho visibilità. Che piacere posso avere a vedere il nulla da una cima? Sono indeciso, non so se desistere. Non sono per nulla stanco, ho tanta energia inespressa, ma andare in montagna e non vedere nulla non è il massimo del piacere. Mi fermo un po’ a riflettere, infine decido di rinviare il prosieguo, tagliando in discesa sul verde pendio per raggiungere il sottostante sentiero che porta al rifugio Semenza. In questa birichinata mi seguono i due giovanotti, in pochi minuti tagliando in diagonale il pendio raggiungiamo il sentiero 926. Decido di rientrare alla malga, ma prima mi commiato dai due baldi giovani. Percorrendo la traccia per il rientro incontro numerosi escursionisti. Il rifugio Semenza esercita una grande fascino sui veneti. Mi fermo a conversare con alcuni di loro, la montagna ha il gran merito di fare incontrare i viandanti, regalando a loro un sorriso. Raggiunta la malga dove ho lasciato l’auto, mi volto a guardare la lontana cima delle Vacche, davanti ho una mandria di mucche intenta a brucare, intuisco da quale bizzarra fantasia è nato il toponimo della cima. Molto chiaro, anzi chiarissimo, le muse ispiratrici le ho davanti che brucano l’erba, con il loro serafico aspetto. Immagine bucolica che chiude come una ciliegia sulla torta la serena escursione in terra di Alpago.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 

Sorrido leggendo le relazioni o vedendo le foto di chi decanta percorsi difficili, imprese sovraumane, ben sapendo che come minimo hanno accanto un/a badante. Questa gente mi annoia, mi spinge lontano da loro, da quel mondo di apparenza, su 20 foto pubblicate raramente vedi la montagna con le sue bellezze e magnificenze. Quasi esclusivamente devi subirti le loro facce sorridenti in posa per foto da mostrare in ufficio. Escursionisti della domenica, che da soli si perderebbero in un bicchiere d’acqua, sfuggendo così alla grande legge della selezione naturale.

















































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