Sasso di
Bosco Nero 2468 m.
Note tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti di Zoldo- Gruppo del Bosconero
Avvicinamento:
Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo- Spiazzo
adibito a Parcheggio sopra il lago Pontesèi, quota 825 m.
Punto di
Partenza Parcheggio sopra il lago Pontesèi, quota 825 m.
Dislivello: 1650 metri.
Dislivello
complessivo: 1643 1648 metri.
Distanza
percorsa in Km: 1648 metri.
Quota minima
partenza: 825 metri.
Quota
massima raggiunta: 2468 metri.
In:
Solitaria.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia:
CAI 490. Alta via N° 3
Tempo
percorrenza totale: 4,5 ore per la salita e 3 per la discesa
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco 025.
Periodo
consigliato: luglio -settembre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Data: 10
settembre 2019
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
Relazione.
Sasso di Bosco Nero 2468
metri.
Il fascino delle escursioni sta anche nella loro genesi. Come nasce un’escursione? Da dove si trae ispirazione? L’escursione è l’amore, e il raggiungere la cima può essere paragonato all’orgasmo, mentre l’ideazione, la preparazione, l’attesa e l’avvicinamento ne sono i preliminari. Tra un numero di mappe, Tabacco casualmente ho scelto la tabacco 025. Sfiorando con il dito il foglio mi soffermo sul gruppo del Sasso Nero, ne leggo la quota, noto le curve di livello. Il nome non mi è nuovo e via sul Web a cercare informazioni. Dalle prime immagini rimango stregato, che magia! Subito preparo la mappa, appronto lo zaino, aspettando il fine settimana. Come quando si ha un appuntamento galante, il tempo sembra che non passi mai, e speri sempre che non accada alcun imprevisto. Arriva il sabato notte, eh sì! Sveglia in piena notte, colazione e vestizione da sognatore a guerriero; indosso le vesti da spirito libero e sono pronto. La notte mi aspetta, un centauro mi sfreccia davanti, lo seguo, percorriamo un lungo tratto di strada, nella stessa direzione. Tutto appare fatato, magia, non guido un’auto ma cavalco un cavallo alato. Il cavaliere che mi precede chissà dove va.
Forse ritorna da una notte d’amore con la sua principessa, o affronterà, come me, un drago, l’ennesimo, per poi donare il suo cuore a chi ama. La notte è dolce, niente nebbia a Barcis e a Erto, come se il tempo si fosse fermato.
Il fascino delle escursioni sta anche nella loro genesi. Come nasce un’escursione? Da dove si trae ispirazione? L’escursione è l’amore, e il raggiungere la cima può essere paragonato all’orgasmo, mentre l’ideazione, la preparazione, l’attesa e l’avvicinamento ne sono i preliminari. Tra un numero di mappe, Tabacco casualmente ho scelto la tabacco 025. Sfiorando con il dito il foglio mi soffermo sul gruppo del Sasso Nero, ne leggo la quota, noto le curve di livello. Il nome non mi è nuovo e via sul Web a cercare informazioni. Dalle prime immagini rimango stregato, che magia! Subito preparo la mappa, appronto lo zaino, aspettando il fine settimana. Come quando si ha un appuntamento galante, il tempo sembra che non passi mai, e speri sempre che non accada alcun imprevisto. Arriva il sabato notte, eh sì! Sveglia in piena notte, colazione e vestizione da sognatore a guerriero; indosso le vesti da spirito libero e sono pronto. La notte mi aspetta, un centauro mi sfreccia davanti, lo seguo, percorriamo un lungo tratto di strada, nella stessa direzione. Tutto appare fatato, magia, non guido un’auto ma cavalco un cavallo alato. Il cavaliere che mi precede chissà dove va.
Forse ritorna da una notte d’amore con la sua principessa, o affronterà, come me, un drago, l’ennesimo, per poi donare il suo cuore a chi ama. La notte è dolce, niente nebbia a Barcis e a Erto, come se il tempo si fosse fermato.
Superata la frazione di Longarone,
sempre al galoppo, arrivo nella selvaggia valle di Zoldo, prima ancora che
faccia luce. Lascio il mezzo nell’area adibita, indosso uno zaino più leggero
del solito; povero di materiali e ricco di sogni, per rendere meno faticosa
l’ascesa e più accattivante la conquista.
Parto da quota 825
metri, mi aspettano quasi 1700 metri di dislivello, fisicamente sto bene, sono
in forma, la visione delle dolomiti di Zoldo e della meta mi ha galvanizzato.
Dal basso scorgo le gigantesche pareti rocciose: Sasso di Bosco Nero e
Rocchetta Alta. Aiutato dalla prima luce mattutina comincio a risalire l’erto
pendio occidentale, i cartelli CAI sono chiari, seguo il sentiero 490 che mi
porta al rifugio Bosco Nero, la traccia è ben battuta. I primi amici che
incontro sono gli alberi, fedeli compagni di viaggio, per uno spirito solitario
sono punti di riferimento essenziali. Saluto e sorrido a tutta la vegetazione, dai
noccioli ai pini, che con il loro aroma profumano l’ambiente.
Mi giro spesso ad
ammirare i bianchi bastioni del Civetta. Il sentiero con leggera pendenza mi
accompagna a risalire il bosco, un simpatico omino scolpito in un tronco
d’albero mi saluta. Giungo ad una diramazione, scelgo quella a sinistra, che mi
permette di arrivare approssimativamente dieci minuti prima al rifugio. Dalla
pineta passo alla faggeta superando un impluvio tramite un ponticello in legno,
e subito dopo un canalone di ghiaie che mi porta all’ultimo tratto di bosco. Mi
fermo ancora, ammiro la valle dello Zoldo, sono rapito dalla bellezza del
luogo. Mi inoltro nell’ultimo tratto di bosco, l’odore del fumo mi cattura, esso
proviene da un camino, supero un altro ponticello su un caratteristico impluvio
adornato di muschio. Un ultimo cartello mi avvisa che sono vicino al rifugio,
pochi metri tra la faggeta ed eccomi nello splendido prato che ospita la
struttura (quota 1457 m). Il camino del rifugio fuma ancora, fuori due maschere
in legno mi ricordano quelle tribali africane. Il paesaggio è dominato dalle
maestose pareti del Sasso di Bosco Nero e Rocchetta Alta, sono impressionanti e
affascinati, non riesco a credere che salirò in cima ad una di esse.
Entro un attimo nel
rifugio, mi accoglie la simpatica gestrice (Monica), chiedo informazioni sulla
percorribilità del sentiero. Riparto immediatamente, , viaggio lesto, dietro il
rifugio in direzione nord-est, entrando in un piccolo bosco di abeti rossi.
Presto mi ritrovo ai margini di un immenso catino ghiaioso, tra larici e pino
mugo, la vegetazione lascia il posto alle ghiaie, mi fermo ad ammirare
l’immensa e possente parete della Rocchetta Alta, nota via alpinistica.
Dire che sono in
adorazione è dir poco, sono letteralmente rapito, e ancora non ho visto niente.
La parete è vertiginosa, la sola visione merita la fatica fin qui affrontata,
ma devo proseguire, seguendo le chiare indicazioni per l’alta via numero tre,
segni su un macigno.
Sono attirato dalla gola
che riesco solo ad intravedere, risalendo il macereto mi ritrovo alla base del
canalone, è un’altra immagine da sogno. Il canale è meno profondo di quanto
immaginavo, cupo e maestoso, dominato dalla dolomitica guglia del Sasso della
Toanella, che spettacolo!
Il sole sorge a
meridione, illuminando solo i profili esterni, così creando un’atmosfera
sublime, lassù noto un omino che risale, è quasi giunto alla forcella. Risalgo
con meno fatica di quanto pensassi tra le ghiaie del canalone, solo a metà
percorso un tratto franato mi costringe a deviare, ma poi il cammino riprende
tranquillamente. Sono inebriato dalla bellezza e la consistenza della roccia,
in breve raggiungo l’inerbita forcella di Toanella e il paesaggio cambia
totalmente.
L’ambiente ora è solare,
un enorme ghiaione scende a valle, mi invita quasi a giocarci, le vicine pareti
orientali della Toanella sono invitanti, quasi terrazzate, cuspidi di roccia
creano meravigliose cattedrali gotiche, sogno! A fatica riesco ad andare avanti,
ogni due passi una foto, mi riprometto di farne di meno e di recuperare al rientro.
Dalla forcella alcuni
ometti mi invitano a seguire a sinistra una labile traccia, la seguo, e mi
porta sulle bellissime rocce che dominano il primo tratto iniziale per la
salita in cima. Poco prima ho notato in fondo al canalone un escursionista in
salita, evidentemente questa cima attira gli spiriti solitari. Proseguo,
seguendo gli ometti che mi portano a risalire presso la cresta. Passo sotto una
roccia dove gocciola un filo d’acqua, ne assaggio un goccio, è insapore. Supero
un piccolo salto (passaggio di primo grado inferiore) e mi ritrovo tra roccette
e detriti, non vi nascondo che la bellezza della roccia e le cime vicine hanno
un effetto ipnotico, mi fermo e urlo dalla felicità: <<Bello, bello,
bello!!!>> l’omino che sale dal basso comincia ad avvicinarsi, non l’ho
ben identificato, da lontano mi sembra un uomo, biondo e giovane. Proseguo fino
a raggiungere il passaggio più affascinante dell’escursione, una cengia aerea
ed esposta a meridione, che emozione! Mi appresto a superarla, quando ci
cammino sopra è meno esposta di come appariva, ma la prudenza è d’obbligo.
l’omino dietro si rivela un’omina, bionda, e dall’aspetto atletico. Finita la
cengia mi lascio superare, non voglio nessuno a distanza ravvicinata, per via
dei sassi che si possono smuovere accidentalmente. La donzella mi supera e non
risponde al mio saluto. Dall’aspetto mi ricorda il duro volto delle teutoniche
altoatesine, le do un vantaggio, ne
approfitto per fotografare il panorama. Nel frattempo scende l’omino che
stamattina mi ha preceduto, mi comunica che sono poco sotto la vetta, le
fatiche volgono alla fine. Ultimi metri, superando grossi massi raggiungo la
cima. Prima avvisto la piccola croce in metallo e poi una serie infinita di
ometti, molto surreale. Lascio lo zaino per terra, e in questo momento mentre
scrivo sono ancora rapito dalle emozioni provate in quell’istante, indescrivibile,
anzi inscrivibile. Lo spettacolo dalla cima è semplicemente fantastico, commovente,
così bello da togliere il fiato. Scatto foto come un idiota, nemmeno traguardo
dentro l’obbiettivo, sono semplicemente imbambolato. Non mi abituerò mai alle
emozioni che donano le bellezze estatiche delle vette. La signora che mi ha
preceduto è poco più in là, intuisco che ha voglia di solitudine e rispetto il
suo desiderio, me ne sto nel mio pezzo di cima. Trascorro circa un’ora sulla
vetta, il tempo vola via nell’effettuare tutte le operazioni, tra cui le foto e
il recupero delle energie psicofisiche. Al seguito mi ero portato un
contenitore per pellicole in plastica, da tempo pensavo di lasciarlo su una
cima senza libro di vetta. Qui mi ingegno, costruisco il mio ometto,
rispettando la vecchia leggenda che narra: << chi non costruisce un
ometto sul Sasso di Bosco nero non vive 120 anni e diventa brutto>>.
Naturalmente sto scherzando, ma sembrano ex voto. Finito il manufatto, scrivo
il mio nome e quello della donna che adoro su un pezzo di carta, che piego e
conservo nel piccolo contenitore che incastro tra le pietre sommitali
dell’ometto. Sono romantico? Si!!!! Sono romantico fino al midollo, nessuno è
perfetto.
La donna bionica nel
frattempo abbandona la cima, naturalmente senza salutare! Più che bionica
sospetto che sia un replicante, la cugina diretta di Rachel (modello nexus 6),
naturalmente mi riferisco al noto film “Blade Runner”. La loquace compagna di
cima ne è la versione alpina (il modello precedente), non dotato di parola.
L’atroce dubbio diventa realtà quando scorgo per terra un foglietto, sarà
caduto all’escursionista, lo raccolgo e lo leggo: «Io ne ho viste cose che voi
umani non potreste immaginarvi. Gatti di neve da combattimento in fiamme al
largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino
alle porte del monte Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel
tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di rientrare… al rifugio.» È lei, ne
sono sicuro, Matilde (nexus 5,5), l’ho riconosciuta. Effettuo delle riprese e
riprendo la via del ritorno, osservando quelli che vanno e vengono “c'est la
via”. Triste rientrare, ma mi tocca.
Con prudenza scendo,
affronto la cengia dando la precedenza a chi sale, un paio di escursionisti
solitari, scambio di battute e l’immancabile saluto. Sotto la cengia incontro
la prima coppia della giornata, mi fermo a colloquiare, simpatici, sono veneti.
Ripreso il cammino mi gusto le bellezze, fotografando a destra e a manca.
Particolari, roccia magnifica, da fare invidia a scultori quotati. Procedo
lento perché mi gusto la montagna attimo per attimo, contemplo i licheni, i
sassi, accarezzo il pino mugo, chi incontra la felicità se la deve godere,
consapevole che dopo ne sentirà la mancanza. Arrivato in forcella, noto la
replicante distesa sull’erba nell’atto di assorbire energia solare, con passo
felpato scendo giù, per non disturbarla durante la ricarica. Ora mi attende il
canalone, non è faticoso, scendo dal lato da dove sono salito, a sinistra un
folle scende per le ghiaie, folle inteso in modo simpatico, quasi danza, lo
ammiro nelle peripezie, arriva di sicuro prima di me. La montagna tira fuori il
bimbo che c’è in ognuno di noi. Sento abbaiare, faccio un pensiero strano, non
vorrei che fosse? No! Non può essere. Altri suoni, il suono di un corno, mi
fermo, lo ascolto, sono dentro una fiaba. Uscito dal canalone, raggiungo i
primi larici e poi gli abeti rossi fino a scorgere il rifugio. Qui effettuo una
sosta, ammirando le pareti del Sasso di Bosco Nero. Entro nel rifugio, ordino
un caffè, ammiro un gatto modello vaso da tavola, dormiente, la signora
gestrice è simpaticissima, istauriamo una conversazione amichevole e
costruttiva. Compro dei souvenir, saluto, nel frattempo nel locale entra Matilde,
la replicante, le sorrido. Recupero all’esterno lo zaino, scambiando due parole
con un escursionista, prima di abbandonare il magico prato do l’ultimo sguardo
al Civetta, al Pelmo, al gruppo del Bosco Nero. Rientro per il sentiero
dell’andata, placido, ammirando le creature del bosco, fino a raggiungere il parcheggio.
Stranamente per niente mi sento stanco, anzi rinvigorito. Ho una gran voglia di
ricominciare, eppure ho percorso 17 chilometri e quasi 1700 metri di
dislivello. Vuoi vedere che sono la versione aggiornata dei nexus? Nexus Malfa?
😉
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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