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mercoledì 14 settembre 2016

Sasso di Bosco Nero 2468 metri.

 

Sasso di Bosco Nero 2468 m.                                                                                

 Note tecniche.

Localizzazione: Dolomiti di Zoldo- Gruppo del Bosconero

Avvicinamento: Barcis-Cimolais-Erto-Longarone-Provinciale per la valle di Zoldo- Spiazzo adibito a Parcheggio sopra il lago Pontesèi, quota 825 m.

Punto di Partenza Parcheggio sopra il lago Pontesèi, quota 825 m.

 Dislivello: 1650 metri.

Dislivello complessivo: 1643 1648 metri.

Distanza percorsa in Km: 1648 metri.

Quota minima partenza: 825 metri.

Quota massima raggiunta: 2468 metri.

In: Solitaria.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI 490. Alta via N° 3

Tempo percorrenza totale: 4,5 ore per la salita e 3 per la discesa

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco 025.

Periodo consigliato: luglio -settembre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.

Data: 10 settembre 2019

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 
Relazione.


Sasso di Bosco Nero 2468 metri.
Il fascino delle escursioni sta anche nella loro genesi. Come nasce un’escursione? Da dove si trae ispirazione? L’escursione è l’amore, e il raggiungere la cima può essere paragonato all’orgasmo, mentre l’ideazione, la preparazione, l’attesa e l’avvicinamento ne sono i preliminari. Tra un numero di mappe, Tabacco casualmente ho scelto la tabacco 025. Sfiorando con il dito il foglio mi soffermo sul gruppo del Sasso Nero, ne leggo la quota, noto le curve di livello. Il nome non mi è nuovo e via sul Web a cercare informazioni. Dalle prime immagini rimango stregato, che magia! Subito preparo la mappa, appronto lo zaino, aspettando il fine settimana. Come quando si ha un appuntamento galante, il tempo sembra che non passi mai, e speri sempre che non accada alcun imprevisto. Arriva il sabato notte, eh sì! Sveglia in piena notte, colazione e vestizione da sognatore a guerriero; indosso le vesti da spirito libero e sono pronto. La notte mi aspetta, un centauro mi sfreccia davanti, lo seguo, percorriamo un lungo tratto di strada, nella stessa direzione. Tutto appare fatato, magia, non guido un’auto ma cavalco un cavallo alato. Il cavaliere che mi precede chissà dove va.
Forse ritorna da una notte d’amore con la sua principessa, o affronterà, come me, un drago, l’ennesimo, per poi donare il suo cuore a chi ama. La notte è dolce, niente nebbia a Barcis e a Erto, come se il tempo si fosse fermato.
Superata la frazione di Longarone, sempre al galoppo, arrivo nella selvaggia valle di Zoldo, prima ancora che faccia luce. Lascio il mezzo nell’area adibita, indosso uno zaino più leggero del solito; povero di materiali e ricco di sogni, per rendere meno faticosa l’ascesa e più accattivante la conquista.
Parto da quota 825 metri, mi aspettano quasi 1700 metri di dislivello, fisicamente sto bene, sono in forma, la visione delle dolomiti di Zoldo e della meta mi ha galvanizzato. Dal basso scorgo le gigantesche pareti rocciose: Sasso di Bosco Nero e Rocchetta Alta. Aiutato dalla prima luce mattutina comincio a risalire l’erto pendio occidentale, i cartelli CAI sono chiari, seguo il sentiero 490 che mi porta al rifugio Bosco Nero, la traccia è ben battuta. I primi amici che incontro sono gli alberi, fedeli compagni di viaggio, per uno spirito solitario sono punti di riferimento essenziali. Saluto e sorrido a tutta la vegetazione, dai noccioli ai pini, che con il loro aroma profumano l’ambiente.
Mi giro spesso ad ammirare i bianchi bastioni del Civetta. Il sentiero con leggera pendenza mi accompagna a risalire il bosco, un simpatico omino scolpito in un tronco d’albero mi saluta. Giungo ad una diramazione, scelgo quella a sinistra, che mi permette di arrivare approssimativamente dieci minuti prima al rifugio. Dalla pineta passo alla faggeta superando un impluvio tramite un ponticello in legno, e subito dopo un canalone di ghiaie che mi porta all’ultimo tratto di bosco. Mi fermo ancora, ammiro la valle dello Zoldo, sono rapito dalla bellezza del luogo. Mi inoltro nell’ultimo tratto di bosco, l’odore del fumo mi cattura, esso proviene da un camino, supero un altro ponticello su un caratteristico impluvio adornato di muschio. Un ultimo cartello mi avvisa che sono vicino al rifugio, pochi metri tra la faggeta ed eccomi nello splendido prato che ospita la struttura (quota 1457 m). Il camino del rifugio fuma ancora, fuori due maschere in legno mi ricordano quelle tribali africane. Il paesaggio è dominato dalle maestose pareti del Sasso di Bosco Nero e Rocchetta Alta, sono impressionanti e affascinati, non riesco a credere che salirò in cima ad una di esse.
Entro un attimo nel rifugio, mi accoglie la simpatica gestrice (Monica), chiedo informazioni sulla percorribilità del sentiero. Riparto immediatamente, , viaggio lesto, dietro il rifugio in direzione nord-est, entrando in un piccolo bosco di abeti rossi. Presto mi ritrovo ai margini di un immenso catino ghiaioso, tra larici e pino mugo, la vegetazione lascia il posto alle ghiaie, mi fermo ad ammirare l’immensa e possente parete della Rocchetta Alta, nota via alpinistica.
Dire che sono in adorazione è dir poco, sono letteralmente rapito, e ancora non ho visto niente. La parete è vertiginosa, la sola visione merita la fatica fin qui affrontata, ma devo proseguire, seguendo le chiare indicazioni per l’alta via numero tre, segni su un macigno.
Sono attirato dalla gola che riesco solo ad intravedere, risalendo il macereto mi ritrovo alla base del canalone, è un’altra immagine da sogno. Il canale è meno profondo di quanto immaginavo, cupo e maestoso, dominato dalla dolomitica guglia del Sasso della Toanella, che spettacolo!
Il sole sorge a meridione, illuminando solo i profili esterni, così creando un’atmosfera sublime, lassù noto un omino che risale, è quasi giunto alla forcella. Risalgo con meno fatica di quanto pensassi tra le ghiaie del canalone, solo a metà percorso un tratto franato mi costringe a deviare, ma poi il cammino riprende tranquillamente. Sono inebriato dalla bellezza e la consistenza della roccia, in breve raggiungo l’inerbita forcella di Toanella e il paesaggio cambia totalmente.
L’ambiente ora è solare, un enorme ghiaione scende a valle, mi invita quasi a giocarci, le vicine pareti orientali della Toanella sono invitanti, quasi terrazzate, cuspidi di roccia creano meravigliose cattedrali gotiche, sogno! A fatica riesco ad andare avanti, ogni due passi una foto, mi riprometto di farne di meno e di recuperare al rientro.
Dalla forcella alcuni ometti mi invitano a seguire a sinistra una labile traccia, la seguo, e mi porta sulle bellissime rocce che dominano il primo tratto iniziale per la salita in cima. Poco prima ho notato in fondo al canalone un escursionista in salita, evidentemente questa cima attira gli spiriti solitari. Proseguo, seguendo gli ometti che mi portano a risalire presso la cresta. Passo sotto una roccia dove gocciola un filo d’acqua, ne assaggio un goccio, è insapore. Supero un piccolo salto (passaggio di primo grado inferiore) e mi ritrovo tra roccette e detriti, non vi nascondo che la bellezza della roccia e le cime vicine hanno un effetto ipnotico, mi fermo e urlo dalla felicità: <<Bello, bello, bello!!!>> l’omino che sale dal basso comincia ad avvicinarsi, non l’ho ben identificato, da lontano mi sembra un uomo, biondo e giovane. Proseguo fino a raggiungere il passaggio più affascinante dell’escursione, una cengia aerea ed esposta a meridione, che emozione! Mi appresto a superarla, quando ci cammino sopra è meno esposta di come appariva, ma la prudenza è d’obbligo. l’omino dietro si rivela un’omina, bionda, e dall’aspetto atletico. Finita la cengia mi lascio superare, non voglio nessuno a distanza ravvicinata, per via dei sassi che si possono smuovere accidentalmente. La donzella mi supera e non risponde al mio saluto. Dall’aspetto mi ricorda il duro volto delle teutoniche altoatesine,  le do un vantaggio, ne approfitto per fotografare il panorama. Nel frattempo scende l’omino che stamattina mi ha preceduto, mi comunica che sono poco sotto la vetta, le fatiche volgono alla fine. Ultimi metri, superando grossi massi raggiungo la cima. Prima avvisto la piccola croce in metallo e poi una serie infinita di ometti, molto surreale. Lascio lo zaino per terra, e in questo momento mentre scrivo sono ancora rapito dalle emozioni provate in quell’istante, indescrivibile, anzi inscrivibile. Lo spettacolo dalla cima è semplicemente fantastico, commovente, così bello da togliere il fiato. Scatto foto come un idiota, nemmeno traguardo dentro l’obbiettivo, sono semplicemente imbambolato. Non mi abituerò mai alle emozioni che donano le bellezze estatiche delle vette. La signora che mi ha preceduto è poco più in là, intuisco che ha voglia di solitudine e rispetto il suo desiderio, me ne sto nel mio pezzo di cima. Trascorro circa un’ora sulla vetta, il tempo vola via nell’effettuare tutte le operazioni, tra cui le foto e il recupero delle energie psicofisiche. Al seguito mi ero portato un contenitore per pellicole in plastica, da tempo pensavo di lasciarlo su una cima senza libro di vetta. Qui mi ingegno, costruisco il mio ometto, rispettando la vecchia leggenda che narra: << chi non costruisce un ometto sul Sasso di Bosco nero non vive 120 anni e diventa brutto>>. Naturalmente sto scherzando, ma sembrano ex voto. Finito il manufatto, scrivo il mio nome e quello della donna che adoro su un pezzo di carta, che piego e conservo nel piccolo contenitore che incastro tra le pietre sommitali dell’ometto. Sono romantico? Si!!!! Sono romantico fino al midollo, nessuno è perfetto.
La donna bionica nel frattempo abbandona la cima, naturalmente senza salutare! Più che bionica sospetto che sia un replicante, la cugina diretta di Rachel (modello nexus 6), naturalmente mi riferisco al noto film “Blade Runner”. La loquace compagna di cima ne è la versione alpina (il modello precedente), non dotato di parola. L’atroce dubbio diventa realtà quando scorgo per terra un foglietto, sarà caduto all’escursionista, lo raccolgo e lo leggo: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Gatti di neve da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte del monte Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di rientrare… al rifugio.» È lei, ne sono sicuro, Matilde (nexus 5,5), l’ho riconosciuta. Effettuo delle riprese e riprendo la via del ritorno, osservando quelli che vanno e vengono “c'est la via”. Triste rientrare, ma mi tocca.

Con prudenza scendo, affronto la cengia dando la precedenza a chi sale, un paio di escursionisti solitari, scambio di battute e l’immancabile saluto. Sotto la cengia incontro la prima coppia della giornata, mi fermo a colloquiare, simpatici, sono veneti. Ripreso il cammino mi gusto le bellezze, fotografando a destra e a manca. Particolari, roccia magnifica, da fare invidia a scultori quotati. Procedo lento perché mi gusto la montagna attimo per attimo, contemplo i licheni, i sassi, accarezzo il pino mugo, chi incontra la felicità se la deve godere, consapevole che dopo ne sentirà la mancanza. Arrivato in forcella, noto la replicante distesa sull’erba nell’atto di assorbire energia solare, con passo felpato scendo giù, per non disturbarla durante la ricarica. Ora mi attende il canalone, non è faticoso, scendo dal lato da dove sono salito, a sinistra un folle scende per le ghiaie, folle inteso in modo simpatico, quasi danza, lo ammiro nelle peripezie, arriva di sicuro prima di me. La montagna tira fuori il bimbo che c’è in ognuno di noi. Sento abbaiare, faccio un pensiero strano, non vorrei che fosse? No! Non può essere. Altri suoni, il suono di un corno, mi fermo, lo ascolto, sono dentro una fiaba. Uscito dal canalone, raggiungo i primi larici e poi gli abeti rossi fino a scorgere il rifugio. Qui effettuo una sosta, ammirando le pareti del Sasso di Bosco Nero. Entro nel rifugio, ordino un caffè, ammiro un gatto modello vaso da tavola, dormiente, la signora gestrice è simpaticissima, istauriamo una conversazione amichevole e costruttiva. Compro dei souvenir, saluto, nel frattempo nel locale entra Matilde, la replicante, le sorrido. Recupero all’esterno lo zaino, scambiando due parole con un escursionista, prima di abbandonare il magico prato do l’ultimo sguardo al Civetta, al Pelmo, al gruppo del Bosco Nero. Rientro per il sentiero dell’andata, placido, ammirando le creature del bosco, fino a raggiungere il parcheggio. Stranamente per niente mi sento stanco, anzi rinvigorito. Ho una gran voglia di ricominciare, eppure ho percorso 17 chilometri e quasi 1700 metri di dislivello. Vuoi vedere che sono la versione aggiornata dei nexus? Nexus Malfa? 😉
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.


















































































































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