Monte Castellaccio: la vetta più alta dei Monti di
Billiemi
Avvicinamento: Dal centro storico in autobus sino al quartiere San Lorenzo.
Traverse, sottopassaggi sino a una strada che porta ai residence posti alle
pendici del monte stesso.
Regione: Sicilia
Provincia di: Palermo
.
Dislivello: 885 m.
Dislivello complessivo: 885 m.
Distanza percorsa in Km: 28
Quota minima partenza: m. 50
Quota massima raggiunta: 890 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 7
In: coppia
Tipologia Escursione: escursionisti naturalistica
Difficoltà: Escursionisti esperti per via adi alcuni passaggi arditi, la
strada di discesa turistica
Tipologia sentiero o cammino:
Ferrata-
Segnavia:
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di
vetta: no
Ometto di
vetta: no
Libro di
vetta: no
Timbro di
vetta:
Riferimenti:
1) Cartografici: IGM Sicilia – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Periodo consigliato:
3)
4) Da evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: settembre
Il “Forestiero
Nomade”
Malfa
La prima
escursione in terra di Sicilia di queste ultime vacanze è il monte di Billiemi,
un agglomerato roccioso che fa parte dell’immensa catena montuosa dei Monti di
Palermo. Come rilievo non è tra le vette più alte che circondano la città, ma è
interessante la sua vastità.
Siamo giunti
da pochi giorni nel capoluogo dell’isola, quindi, recuperati gli zaini e le
attrezzature da trekking, andiamo all’attacco della meta. Con me ho solo una
mappa fotografata con il cellulare dal pc , per il resto solo incognite.
All’alba nella
città del sogno ci svegliano i caldi raggi solari, colazione veloce, e via per
le strade urbane, già affollate di turisti provenienti da ogni dove. Ci muniamo
di biglietti per usufruire dei mezzi pubblici e ci imbarchiamo su uno di
questi, cambiando di seguito nei pressi dello stadio con un altro mezzo della
stessa azienda. Viaggiare a bordo dei mezzi pubblici a Palermo è meraviglioso,
sembra di presiedere i corridoi dell’O.N. U; nei volti e nei costumi dei
passeggerei vi trovo la meravigliosa varietà della razza umana. Se al centro
storico trovo turisti che spendono godendo delle bellezze della città, sugli
autobus trovo chi è venuto in Sicilia per lavoro e una speranza, con tanta
dignità e altissimo sacrifico. Ho tanto rispetto per costoro, ha una storia da
raccontare, e i loro silenzi spesso sono assordanti. L’unica cosa che ci unisce
durante il viaggio sono gli smartphone, ognuno con il suo occupa il tempo, fino
a quando non chiama la fermata per la raggiunta destinazione. Anche noi, Giovanna
e io, con i nostri costumi da escursionisti siamo estranei al contesto, in
fondo tutto il mondo è una magnifica apparenza. Scendiamo nella parte
occidentale della città, quella dei palazzoni e dei quartieri dormitori. Ci
dirigiamo verso il monte, tagliando strade, vicoli e sottopassaggi. Chiedo
informazione a un autoctono, mi risponde in dialetto, e di seguito continuo io
in dialetto, sorprendendo l’omino e la gente che gli sta intorno. Rimangono
meravigliati che siamo palermitani, già, i palermitani non vanno in giro per la
città con bandana, zaino, scarponi e bastoncini da trekking. Alcune stradine
ascendono al monte, ne risaliamo una, sperando di avere la fortuna di aver
imboccato quella giusta. Dopo aver guadagnato quota, e aver percosso una strada
di servizio alle lussuose ville, scopriamo che la stradina si interrompe presso
la cancellata di un residence. Non ci rimane che tornare indietro, ma per
fortuna sopraggiunge un’automobile. Chiedo all’autista se c’è una via di
accesso al monte, mi rende edotto che ho sbagliato via di accesso, ma che mi
può essere utile. Apre il cancello elettrico del residence, e ci indirizza a un
cancello sulla parte alta dello stesso comprensorio, e una volta trovato
quest’ultimo dobbiamo solo scavalcarlo e proseguire per una altra strada di
ascesa. Semplicemente avventuroso! Accetto il consiglio, e una volta trovato il
cancello lo oltrepassiamo come due malfattori. Se ci ripenso mi viene da
ridere, due quasi sessantenni che si comportano come dei birbantelli, ma la
libertà è anche questo, non avere limiti e pregiudizi, e soprattutto, osare!
Superato il
cancello siamo su una antica via di accesso, dall’aspetto deturpato, che dopo
alcune centinaia di metri si immette su una strada asfaltata che porta in alto,
esattamente alla località Cozzo Santa Croce, dove troviamo l’omonima chiesetta
e dei prati curati da un fattore improvvisato. Siamo in periferia alla
città, ai margini del cemento armato, dove la natura pare che abbia perso la
guerra con il genere umano. Brutte costruzioni e relitti di auto rubate
sfigurano il paesaggio. Non amo questo genere umano, che mi sa di vinto e di
orribile, simile alle anguste caricature di Bosch. Figure losche escono da
ville abusive e mai finite, finché, la natura, quella vera, appare dietro un
reticolato, e noi ci dirigiamo verso essa. Una parete rocciosa colorata di
ossido ferroso e con una spelonca, attira la nostra attenzione; miriamo a essa,
ma dobbiamo superare una serie di recinzioni. Seguiamo le tracce di animali e
cacciatori, e siamo in cresta, nel meraviglioso parco adombrato da una stupenda
pineta. Il nostro lato avventuroso è stato acquetato, scorgo una pista
nel bosco e la seguiamo a oriente, lasciandoci sedurre. Passeggiamo tra i pini
e le rocce, intuisco la sinuosità del monte e scorgo alcuni pizzi. L’inciviltà
ora è lontana, per fortuna, e godiamo di un paesaggio che per millenni
affascinò i navigatori venuti da lontano. Quelli giunti da Tiro, quando videro
per la prima volta la Conca d’Oro, furono colpiti al cuore e fondarono la mia
splendida città. Vaghiamo per la nostra pesta, ora attraversiamo una fattoria,
un cane poco convinto ci abbaia, deve fare il suo lavoro, mentre corsieri e
vacche oziano nell’ora il cui il meriggio regna sovrano. Incontriamo un guarda
caccia, ci dà le giuste informazioni, e dopo avvistiamo un branco di cinghiali
maialati, davvero stupefacente l’incontro; il capo branco con un paio di
grugniti da ordini perentori, e il branco ubbidisce senza lamentarsi.
La pista ora
giunge tra due colli, Pizzo di Mezzo (852 m.) e Monte Castellaccio (890m.).
Sono attratto più dal Pizzo di Mezzo, perché completamente genuino, come la
natura l’ha modellato, ma la vetta è l’altro colle; quindi, viriamo a sinistra
e continuiamo l’ascesa.
Una lunga
serie di tornanti ci porta in cima al monte, materializzato da una cabina in
cemento e una serie di antenne e ripetitori. Alla finestrella dell’abitacolo
sta di vedetta un omino, ci scruta con il binocolo, trattasi di una guardia
forestale, abbiamo notato in precedenza il suo automezzo. Giunti a pochi metri
lo stesso omino ci accoglie con un sorriso, ricambiamo il saluto e ci spostiamo
sul margine del pizzo, dove la veduta si apre sul golfo di Palermo e quello di
Isola delle Femmine. Meraviglioso l’ambiente che sovrastiamo, peccato che
l’uomo ci abbia messo le mani. Ci concediamo una pausa per desinare, godendo di
questo meraviglioso paesaggio. La Sicilia è davvero fantastica, peccato che sia
popolata da alcuni... Finita la pausa ci avviamo al rientro, stavolta in
discesa (grazie ai consigli della guardia forestale) seguiamo la via naturale
di accesso al parco chiamato “Demanio Billiemi- Crocetta-Trippatore- Raffo
Rosso- Zarcati. Percorriamo una lunghissima pista, che abbiamo imboccato
poco dopo il bivio tra i due colli citati in precedenza. La via di discesa è
lunghissima, per via dei lunghi tornanti che un tempo permettevano l’ascesa al
monte. Incrociamo delle pacifiche mucche, e un solitario ciclista in mountain
bike, per il resto solo pini silvestri e un paesaggio stupendo. Dopo il
lunghissimo chilometraggio siamo di nuovo sull’asfalto percorso dai cittadini,
poco più a oriente da dove siamo saliti. Abbiamo percorso una trentina di
chilometri e forse 900 di metri in ascesa, siamo stanchi, ma dobbiamo
proseguire lungo l’arteria urbana a occidente. Durante il cammino incrociamo
dei rom intenti a rovistare nei cassonetti dell’immondizia, in cerca di
materiale da recuperare. Palermo è anche questo, una città multietnica e
cosmopolita, che concede anche a chi non la ama di operare. Con l’amaro in
bocca dovuta alla scena precedente raggiungiamo una fermata dei mezzi pubblici.
Prendiamo il primo autobus che passa e scendiamo al centro della città, e prima
di percorrere le ultime centinaia di metri che ci separano dall’abitazione ci
concediamo un gustoso e rigenerante gelato. Palermo è anche questo, gioia e
dolore, odori e sapori, vita e morte, una magica ed eterna dicotomia
millenaria.
Il Forestiero
Nomade.
Malfa.
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