Anello
del Monte Flagjel e Cima dei Laris da Cuel di Forchia.
Localizzazione:
Prealpi Carniche
Avvicinamento:
Lestans- Pinzano- Forgaria-Monte Prat- Cuel di Forchia- posteggi incustoditi
soggetti ad atti di vandalismo da parte di sconosciuti.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
Provincia
di: UD
.
Dislivello:
620 m.
Dislivello
complessivo:
Distanza percorsa in Km: 14,57
Quota minima partenza: 900 m.
Quota
massima raggiunta: 1667 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: paesaggistica escursionistica
Difficoltà:
escursionistiche
Tipologia sentiero o
cammino: sentiero CAI, carrareccia-sentiero non CAI ma segnato benissimo.
Ferrata- no
Segnavia:
CAI 815- segni giallo-rossi sul sentiero che da Monte Flagjel conduce passando
per la Cima dei Laris alla carrareccia di servizio.,
Fonti
d’acqua: no
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
si, breve tratto sulla mulattiera che conduce al monte Flagjel
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Consigliati:
Periodo
consigliato: primavera e autunno
Da evitare da farsi
in: condizione di sentiero ghiacciato
Dedicata a: coloro che
amano assaporare i colori autunnali
Condizioni del
sentiero: ben marcato e segnato
Cartografici: IGM Friuli
– Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
Data dell’escursione:
20 ottobre 2022
Data di pubblicazione
della relazione:
La Cima dei Laris in
passato l’ho spesso osservata dal basso, precisamente dalla strada che da
Anduins conduce a San Francesco. Il versante selvaggio e fittamente boschivo me
l’hanno fatta immaginare come difficile da scalare, con un crinale farraginoso
molto più idoneo ai greppisti. Una casuale lettura della mappa relativa al
monte Cuar ha mutato le mie valutazioni, quindi, ho ideato un itinerario con
partenza da Cuel di Forchia (da anni non ascendevo da questo pulpito). In
passato per salire il monte Cuar ho sempre preferito l’assolato versante con punto di partenza dalla Val Tochel, invece,
quest’ultimo itinerario che ho in mente, si sviluppa sul versante
settentrionale del monte, quindi, la partenza sarà dal Cuel di Forchia.
Nelle prime ore del
mattino transito in auto per le strade comunali che attraversano le frazioni di Flagogna e Ragogna, e seguendo la chiara
segnaletica, inizio l’ascesa tramite i numerosi tornanti che conducono al monte
Prat. Sono così tante le mie visite sull’altopiano, che pare che la mia auto
abbia inserito il pilota automatico. Il monte Prat è un affascinante località,
meravigliosa in tutte le stagioni, e serba più di mille segreti per i viandanti.
Il tratto che mi porta alla forchia, si addentra nel cuore del monte finché
svolta a oriente in direzione della forcella che collega il versante orientale
del Cuar a quello occidentale del monte Covria. Erano tanti anni che non salivo
quassù con l’auto. Benché l’aurora abbia dato il buongiorno, sono il primo che approda al parcheggio. Bastano pochi
minuti per passare dalla versione automobilista a quella da escursionista, ed
eccomi, bello e pimpante, iniziare i primi passi del viaggio. Avendo ancora
nelle gambe l’escursione precedente, procedo per la via più lunga e meno faticosa.
Pochi metri dopo dove ho lasciato l’auto, sulla sinistra diparte un sentiero
segnato e numerato 815. È una antica via di servizio dei malgari, e ne sono
testimoni i muri a secco che a volte compaiono lungo il sentiero. Presso i vetusti ruderi degli stavoli Pala ammiro un
meraviglioso architrave in pietra ancora in piedi, mentre l’ombra proiettata dalle
fronde di un regale noce è custode delle memorie del sito. Il sacro silenzio
dell’ambiente è rotto dal crepitare delle foglie secche al calpestio dei miei scarponi. Il cammino lungo sentiero non è lungo e ben presto mi immetto su una
comoda carrareccia. È impossibile
perdersi grazie alla numerosa ed efficiente segnaletica. La comoda carrareccia
taglia il versante settentrionale del monte Cuar. Lungo il cammino e presso un
faggio trovo una spartana tabella (inchiodata) con indicazione per la malga
Gabor. La diramazione non era in programma, ma sono curioso, quindi, lascio lo
sterrato per seguire, guidato dai troppi ed evidenti bolli blu una traccia che
risale un secco impluvio. Dopo una cinquantina di metri di dislivello all’interno
della boscaglia mi ritrovo a ridosso dei ruderi della malga. Del remoto riparo
rimane ben poco, anche se i resti evidenziano la possanza della costruzione. Peccato,
se la struttura fosse restaurata sarebbe stato un ottimo riparo per i viandanti.
Scendendo tra la vegetazione incolta ritrovo la precedente carrareccia e proseguo
il cammino per la meta. I colori rossicci del fogliame dei faggi infiammano la
scena e anche il mio spirito, donando all’ambiente circostante il tipico
fascino autunnale.
Devio per il sentiero,
sempre numerato 815, che mi conduce alla Malga Cuar. Il tratto è molto
scorrevole e ben battuto, e i colori bruni del bosco amplificano il mio sentimento
poetico, dandomi vibrazioni e sensazioni
di beatitudine. Dal bosco improvvisamente filtra una luce, sono a ridosso
dell’ampia e ripida radura che mi porterà alla malga. Dopo pochi metri in alto spunta
l’edificio e di seguito l’ampiezza dell’ambiente dedicato all’alpeggio. Dalla
felice posizione posso ammirare il versante boschivo che conduce alla vetta del
monte Cuar, che mi appare velata da una leggera caligine. Sfioro la struttura
dell’edificio, nessuna presenza umana è enunciata e anche le giovenche sono
assenti, pare che si siano allontanate da poco, e gli odori dello sterco rimandano
all’olfatto una viva memoria.
Non avverto ancora la fatica,
quindi, non effettuo nessuna sosta e procedo dritto per la meta che è il monte
Flagjel.
Dalla malga, in senso
antiorario aggiro tramite il medesimo sentiero CAI che sto percorrendo il Cuel dai Poz, sbucando in uno stretto
avvallamento nominato Val dai Poz. Pochi metri di cammino e sono a ridosso di una palizzata che
protegge dall’affascinante e aggettante cresta, che delimita il versante
boschivo e settentrionale del monte Cuar da quello ripidissimo e orientale.
La cresta l’ho percorsa
più volte, essa mantiene intatto il suo fascino. Il primo tratto di sentiero è
un po' caotico, ma poi si dispiega in tutta la sua naturalezza, trattasi di una
remota mulattiera, interrotta in un tratto da un franamento, e messa in
sicurezza tramite una catena provvidenziale.
Dopo pochi metri la
pista si mescia con il declivio, e in essa si perde. È saggio risalire di
alcuni metri il versante e trovare la traccia che conduce agli ultimi tornanti
della mulattiera. L’abnorme croce del monte Flagjel è visibilissima anche da Trieste
da quanto è voluminosa, è stata edificata con enormi tubi in metallo, e non poggia
sulla quota più alta, ma bensì, su quella panoramica.
Effettuo una breve
sosta, e mi copro per bene , visto che l’umidità esterna mi sta raffreddando.
Alla base della croce, oltre una serie di targhe è posta una cassettina in
metallo con all’interno il libro di vetta. Estrapolo da essa il contenuto,
scoprendo un simpatico quaderno con dei pennarelli di vari colori. Lascio il
mio segno di passaggio, e una volta ripristinato l’assetto da marcia, riprendo
il cammino, per l’ultima meta odierna. Dalla croce quotata metri 1455 metri, risalgo
alla più alta di appena 12 metri. Tra i nervosi faggi esposti alle intemperie non
vi trovo tracce di ometti, ma sorprendentemente su una corteccia scorgo un
segno biancorosso. Mi aspettavo di trovare solo passaggi di camosci e un ambiente
molto più selvatico, invece, con mia gradita sorpresa, devo percorrere cento
metri di crinale e in discesa, su un comodo tappeto di foglie del bosco di
faggi.
Non posso errare, sono
svariati i segni sulle cortecce, alcuni biancorossi e altri giallorossi. Il tratto è comodo, e procedo a
intuito visto i chiari segni. Da quota 1467 metri scendo fino al dosso della
quota 1403 metri, dove è posto di sentinella un altro bel faggio, la mia meta è
ancora 50 metri di quota più in basso. Raggiunta la probabile quota della Cima
dei Laris, non vi trovo ometti, assolutamente nulla, solo il dosso spoglio di
arbusti ma con alcune carcasse di alberi
esposte a sud.
Lascio momentaneamente
lo zaino a terra, e ispeziono ancora in basso. Nulla, non trovo nulla, e la
quota si è abbassata sotto i 1340 metri; quindi, risalgo sino allo zaino e
decido di erigere ad Artemide un ometto votivo.
Di sassi intorno non
ne trovo, mi tocca allontanarmi un po’ di metri e scavare tra le zolle di terra
e di fogliame per estrapolarne qualcuno. Con calma e dedizione, riesco nell’opera,
un bel ometto di sassi freschi di giornata, al cui centro ficco un ramo secco e
naturalmente ne ricavo anche l’alloggiamento per il contenitore degli spiriti
liberi.
A volte mi par di ritornare
fanciullo, quando tra amici sulla spiaggia, si edificavano castelli di sabbia,
in fondo la montagna riesce a tirare fuori l’eterno fanciullo che alberga nel
profondo del nostro spirito.
Ora il dosso ha un bel
aspetto, e l’ometto ha quel certo non so che, che in molti viandanti appiana le
fatiche alla prima visione. Riprendo lo
zaino e continuo il cammino, seguendo i
segni sui faggi, e dopo pochi metri mi
ritrovo a ridosso della carrareccia che conduce alla Malga Cuar.
Le difficoltà
dovrebbero essere finite, quindi, con passo lento e costante, procedo alla
volta della malga per consumare il mio classico panino. Raggiunta l’alpe, mi
colloco verso una panca, e imbandisco la stessa a festa. Stavolta non ho farcito il panino con la mortadella
bolognese ai pistacchi, bensì, con il salame milanese. Una variante sul tema,
ma ho confermato come nettare degli Dei il
mio rosso preferito, ovvero il Nero d’Avola, naturalmente come frutta una
banana, recuperare il potassio è salutare. Lo spuntino è un momento soave, la
fame dovuta alla fatica amplifica questi
sentimenti di beatitudine. Tra un morso
e l’altro al pannino, osservo una graziosa famigliola giocare poco più in là
sui prati, hanno raggiunto il sito in auto. Trascorso il tempo dedicato a
Dionisio, riprendo il cammino, per lo stesso sentiero fatto in salita, ossia
l’815. L’escursione è stata splendida, meno impegnativa di quanto avessi
previsto, ma il diavolo sul finire ci ha messo la coda. Raggiunto lo spiazzo
dove ho lasciato l’auto, trovo un primo automezzo di colore bianco, passandogli
accanto noto che ha il vetro laterale frantumato e degli oggetti disposti in modo disordinato sul sedile del
passeggero. Mi preoccupo pure per la mia auto, e constato che anch’essa ha
subito lo stesso atto vandalico. Il mio umore varia di poco, mi rendo conto che
questi poveri di spirito cercavano quello che solitamente si custodisce nello
zaino, quindi, hanno solo fatto danno. Rimango sereno. Codesti signori sono solo gente orfana di cervello, che
conduce una vita inesistente per fare nulla di buono. Ho pietà per costoro, la
natura a volte con gli esseri umani è matrigna. Nel frattempo, sopraggiungono
in auto delle signore per un’escursione, le avviso dell’accaduto. Riprendo il
cammino in auto, stavolta cambio il
percorso del rientro, lo avevo previsto, procedendo dalla Val di Tochel per la valle solcata
dal torrente Arzino. Viaggio con un finestrino forzatamente aperto, e tiro le
mie conclusioni, che sono molto semplici. La montagna è un meraviglio luogo,
che se ti cadesse anche il cielo in testa ti lascia sempre magnifiche
sensazioni, e io questo giorno lo ricorderò per la magnifica gita che ho
vissuto.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.