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domenica 6 dicembre 2020

Colli morenici tra Usago e Sequals, parte I. Col Vaita 367 m.; Col di Mezzo 357 m.; Col Cravest 406 m.; Col Paurion 346 m.

Colli morenici tra Usago e Sequals, parte I.

Col Vaita 367 m.; Col di Mezzo 357 m.; Col Cravest 406 m.; Col Paurion 346 m.

 

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Colline moreniche che Si estendono nella zona nord-orientale della provincia di Pordenone, ai piedi delle Prealpi Carniche, tra il fiume Meduna e il torrente Cosa.

 

Avvicinamento: Lestans-parcheggio chiesa di Usago poco dopo la stazione ferroviaria.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

.

Dislivello: 200 m.

 


Dislivello complessivo: 600 m.


Distanza percorsa in Km: 7


Quota minima partenza: 200 m.

 

Quota massima raggiunta: 406 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 3 ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: Selvaggia panoramica

 

Difficoltà: escursionisti esperti abili a operare in ambiente selvaggio e dotati di altissimo senso di orientamento.

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: Bolli rossi o blu di cacciatori

 

Fonti d’acqua: nessuna

 

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: alta

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: no

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli –
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: tutto l’anno

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:

 

Fonti d’acqua: no

Consigliati: abiti idonei a proteggere il corpo dalla fitta vegetazione  

Data: ottobre 2020

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 

Relazione:

Non tutti i mali vengono per nuocere, e questa limitazione di movimento tra comuni, ti confina dentro il proprio territorio municipale. Nel mio caso non sono fortunatissimo, visto che all’interno del territorio del comune di Sequals non ho il Cervino, ma nemmeno sfortunato. Il comune di Sequals al suo interno ospita tre vaste frazioni, tra cui la stessa Sequals, Lestans e Solimbergo. È un territorio caratterizzato da due serie di colli, una breve che è adiacente alla frazione di Lestans, nota come San Zenone, e una più ampia e complessa che collega la frazione di Usago a oriente con quelle di Sequals e Solimbergo, poste a occidente.

Anni fa, per via della mia professione, ho frequentato un breve tratto di questa misteriosa cresta, ma ero troppo giovane per avere il rapimento mistico per la montagna, anzi, mi appariva come una prigione che mi teneva lontano: dalle città illuminate a festa, dai locali pieni di sorrisi e belle donne, profumi, calze di seta e lussuria, e tutto ciò che comporta l’edonismo. Dopo sette lustri ritorno in questi luoghi, con uno zaino colmo di rimorsi e rimpianti, ma con il fisico rinato e temprato, che vuole conoscere tutto quello che un giorno snobbavo.

Si parte all’alba dalla chiesetta posta fuori Travesio, poco dopo la stazione ferroviaria. La temperatura è gelida ma il cielo è terso e di un azzurro che più cobalto non si può. Zaino in spalle e sogni al seguito, si parte. Non ho sentieri conosciuti da seguire, devo solo iniziare a camminare, mirando al bosco dirimpetto, dove scorgo una vecchia carrareccia, la percorro, intuisco dalle fronde che mi porterà nel cuore dei colli.

La mia figura si trasforma da uomo in lupo-cinghiale, lupo perché selvaggio e libero, e cinghiale perché oso sfidare la selva più astrusa. Non bado alle piante spinose che lacerano le mie carni. Lascio la carrareccia per seguire una traccia di cacciatori, e poi una seconda e una terza ancora, che mi fanno guadagnare quota, passo tra le liane che soffocano i giovani aceri, e mi districo tra i cespugli di pungitopo che ammaliano con il loro occhio fiammante di rosso.

Dalla cresta non vedo nulla all’orizzonte, solo tracce di animali da seguire con religioso rispetto, e solo di loro oso fidarmi.

Come un vetusto cacciatore vado a caccia di prede, ma la mia si chiama paesaggio, cielo e libertà. Il Col Vaita (367 m.) è vicino, eccolo, raggiunta la prima elevazione di questa lunga cresta, da essa scorgo il paesaggio a oriente: dai colli di Castelnuovo alle Prealpi Giulie. Infiniti colli che sorgono dalla pianura e che vogliono divenire monti e di seguito i principi di roccia. Le alture sono intensamente tinte di un verde oscuro, e nascondo nelle loro ombre millenni di storia, sia di cavalieri che di contadini, e io ora sono quassù a sognare, a sfiorarli con lo sguardo, a dominare tutto sotto la vigile protezione del falco errante.

Continuo per la cresta, mi abbasso e poi risalgo, mi abbasso e risalgo ancora fin sopra uno spuntone di roccia, che ha sicuramente un natale glaciale. Chissà da qual monte si è perso il monolite, esso si innalza tra le fronde e sembra cercare la sua matrigna origine all’orizzonte. Oso salirgli sopra, è davvero strana l’emozione che ti dà il domare il vento. Dal Col di Mezzo (357 m.) ridiscendo, questi colli che sanno di montagne russe sono davvero stupendi, non alti ma assai impegnativi e per prestazioni performanti, una vera palestra per l’orientamento topografico e il corpo.

Raggiunto in basso l’insellamento, lo percorro ammirando a sinistra. La pianura che sfugge sino ai colli di Lestans è un vero luogo di culto, in un passato remoto vi abitarono le prime popolazione preistoriche in terra di Friuli, e successivamente furono bonificate e coltivate dagli schiavi al servizio delle domus che i centurioni romani avevano eretto in loco, come luogo di fine vita dopo un lungo combattere ai confini dell’impero.

Natura, storia e cultura, questa è la montagna che io amo, e io, come il più diligente degli scolari, prendo appunti, mai e poi mai pago di imparare e di sapere. Stavolta miro alla quota più alta dell’intera cresta morenica. Raggiunta l’ennesima altura, dove dei bolli celesti si perdono tra il verde, ne seguo altri di color rosso, non so cosa rappresentino, immagino dei segni di cacciatori. Dalla quota 390 m. lascio la cresta che continua a occidente, per seguire quella a nord. Una lieve traccia mi conduce prima su cresta spoglia di vegetazione alta (eccellente visione sulle Prealpi carniche) e inerbita, prima di perdersi nel folto bosco. Percorro il crinale che mi porterà al Colle Cravest, stranamente ho trovato delle indicazioni su una tabella. È un seguire di su e giù, di passare tra le fronde, ruscelli e brevi passaggi facili sulla roccia coperta dalla fitta edera.

La massima quota (406 m.) è un cocuzzolo dove gli alberi (aceri, faggi e noccioli) si contendono il podio. Mi arrampico sulla quota più alta, e tenendomi in bilico eleggo un faggio vincitore e ad esso appongo come trofeo il simbolo del gruppo. Dalla vetta non vedo nulla, solo fronde che non hanno nessuna voglia di denudarsi al mio cospetto, anche questa è la montagna, non è detto che la quota più alta sia la più panoramica.

Ritorno sui miei passi sino alla quota 390 metri, per poi continuare a ovest, stavolta incontro un ostacolo che viene dal mio passato. Una recinzione militare aperta in più punti e un ‘altana che sta lì alta a testimoniare il passato recente di questo territorio, sino ad alcuni decenni sottoposto alla servitù militare (Col Paurion 346 m.). Dall’altana certo il paesaggio è infinito e luminoso, immagino il soldato posto di sentinella e nativo di una grande città, sognare durante le notti delle feste natalizie la sua bella, e chissà se ella, in quell’istante, ricambiava i pensieri. Immagino il milite infreddolito come un ghiacciolo, chissà, ne ho sentiti tanti di questi episodi raccontati direttamente dai diretti interessati, storie che la montagna conserva ancora tra le remote ombre. Lascio questo luogo che tanto mi rattrista, si davvero assai, odo ancora le voci allegre dei soldati: <<Sergeee u vulite o cafè, senza zuccaru veru? >>. Panettoni, agende in dono, termosifoni a gasolio, e l’odore del caffè che effonde dalla moka. Devo smettere di ricordare e proseguire, prima che una forte malinconia mi rapisca e incateni come le sirene dell’Odissea, lacerandomi le carni come una fiera. Dei bolli arancioni attirano la mia attenzione, li seguo, essi mi portano a sud, alle pendici della lunga cresta, dopo aver percorso una carrareccia di servizio mi ritrovo sulla statale, proseguo a oriente, in direzione di Usago, per oggi il viaggio è finito. Raggiungo l’auto, fa tanto caldo malgrado siamo in pieno autunno, mi volto a occidente ad ammirare il percorso fatto, la prima parte di un vecchio sogno è stata realizzata. Con il cuore colmo di emozioni raggiungo l’abitazione, domani è un altro giorno, ma io ritornerò su questi monti, dopodomani.

Il forestiero Nomade.

Malfa. 






































 

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