Colli
morenici tra Usago e Sequals, parte I.
Col
Vaita 367 m.; Col di Mezzo 357 m.; Col Cravest 406 m.; Col Paurion 346 m.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Colline moreniche che Si estendono nella zona nord-orientale della provincia di
Pordenone, ai piedi delle Prealpi Carniche, tra il fiume Meduna e il torrente
Cosa.
Avvicinamento: Lestans-parcheggio chiesa di
Usago poco dopo la stazione ferroviaria.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
.
Dislivello:
200 m.
Dislivello complessivo: 600 m.
Distanza percorsa in Km: 7
Quota minima partenza: 200 m.
Quota
massima raggiunta: 406 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: Selvaggia panoramica
Difficoltà:
escursionisti esperti abili a operare in ambiente selvaggio e dotati di
altissimo senso di orientamento.
Ferrata- valutazione
difficoltà:
Segnavia:
Bolli rossi o blu di cacciatori
Fonti
d’acqua: nessuna
Impegno
fisico: alto
Preparazione
tecnica: alta
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli –
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Fonti d’acqua: no
Consigliati: abiti
idonei a proteggere il corpo dalla fitta vegetazione
Data: ottobre 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Non tutti i mali
vengono per nuocere, e questa limitazione di movimento tra comuni, ti confina
dentro il proprio territorio municipale. Nel mio caso non sono fortunatissimo,
visto che all’interno del territorio del comune di Sequals non ho il Cervino,
ma nemmeno sfortunato. Il comune di Sequals al suo interno ospita tre vaste
frazioni, tra cui la stessa Sequals, Lestans e Solimbergo. È un territorio
caratterizzato da due serie di colli, una breve che è adiacente alla frazione
di Lestans, nota come San Zenone, e una più ampia e complessa che collega la
frazione di Usago a oriente con quelle di Sequals e Solimbergo, poste a
occidente.
Anni fa, per via della
mia professione, ho frequentato un breve tratto di questa misteriosa cresta, ma
ero troppo giovane per avere il rapimento mistico per la montagna, anzi, mi appariva
come una prigione che mi teneva lontano: dalle città illuminate a festa, dai
locali pieni di sorrisi e belle donne, profumi, calze di seta e lussuria, e
tutto ciò che comporta l’edonismo. Dopo sette lustri ritorno in questi luoghi,
con uno zaino colmo di rimorsi e rimpianti, ma con il fisico rinato e temprato,
che vuole conoscere tutto quello che un giorno snobbavo.
Si parte all’alba
dalla chiesetta posta fuori Travesio, poco dopo la stazione ferroviaria. La
temperatura è gelida ma il cielo è terso e di un azzurro che più cobalto non si
può. Zaino in spalle e sogni al seguito, si parte. Non ho sentieri conosciuti
da seguire, devo solo iniziare a camminare, mirando al bosco dirimpetto, dove scorgo
una vecchia carrareccia, la percorro, intuisco dalle fronde che mi porterà nel
cuore dei colli.
La mia figura si
trasforma da uomo in lupo-cinghiale, lupo perché selvaggio e libero, e
cinghiale perché oso sfidare la selva più astrusa. Non bado alle piante spinose
che lacerano le mie carni. Lascio la carrareccia per seguire una traccia di
cacciatori, e poi una seconda e una terza ancora, che mi fanno guadagnare
quota, passo tra le liane che soffocano i giovani aceri, e mi districo tra i cespugli
di pungitopo che ammaliano con il loro occhio fiammante di rosso.
Dalla cresta non vedo
nulla all’orizzonte, solo tracce di animali da seguire con religioso rispetto,
e solo di loro oso fidarmi.
Come un vetusto
cacciatore vado a caccia di prede, ma la mia si chiama paesaggio, cielo e
libertà. Il Col Vaita (367 m.) è vicino, eccolo, raggiunta la prima elevazione
di questa lunga cresta, da essa scorgo il paesaggio a oriente: dai colli di
Castelnuovo alle Prealpi Giulie. Infiniti colli che sorgono dalla pianura e che
vogliono divenire monti e di seguito i principi di roccia. Le alture sono
intensamente tinte di un verde oscuro, e nascondo nelle loro ombre millenni di
storia, sia di cavalieri che di contadini, e io ora sono quassù a sognare, a sfiorarli
con lo sguardo, a dominare tutto sotto la vigile protezione del falco errante.
Continuo per la
cresta, mi abbasso e poi risalgo, mi abbasso e risalgo ancora fin sopra uno
spuntone di roccia, che ha sicuramente un natale glaciale. Chissà da qual monte
si è perso il monolite, esso si innalza tra le fronde e sembra cercare la sua
matrigna origine all’orizzonte. Oso salirgli sopra, è davvero strana l’emozione
che ti dà il domare il vento. Dal Col di Mezzo (357 m.) ridiscendo, questi
colli che sanno di montagne russe sono davvero stupendi, non alti ma assai impegnativi
e per prestazioni performanti, una vera palestra per l’orientamento topografico
e il corpo.
Raggiunto in basso
l’insellamento, lo percorro ammirando a sinistra. La pianura che sfugge sino ai
colli di Lestans è un vero luogo di culto, in un passato remoto vi abitarono le
prime popolazione preistoriche in terra di Friuli, e successivamente furono
bonificate e coltivate dagli schiavi al servizio delle domus che i centurioni
romani avevano eretto in loco, come luogo di fine vita dopo un lungo combattere
ai confini dell’impero.
Natura, storia e
cultura, questa è la montagna che io amo, e io, come il più diligente degli
scolari, prendo appunti, mai e poi mai pago di imparare e di sapere. Stavolta
miro alla quota più alta dell’intera cresta morenica. Raggiunta l’ennesima
altura, dove dei bolli celesti si perdono tra il verde, ne seguo altri di color
rosso, non so cosa rappresentino, immagino dei segni di cacciatori. Dalla quota
390 m. lascio la cresta che continua a occidente, per seguire quella a nord.
Una lieve traccia mi conduce prima su cresta spoglia di vegetazione alta
(eccellente visione sulle Prealpi carniche) e inerbita, prima di perdersi nel
folto bosco. Percorro il crinale che mi porterà al Colle Cravest, stranamente
ho trovato delle indicazioni su una tabella. È un seguire di su e giù, di
passare tra le fronde, ruscelli e brevi passaggi facili sulla roccia coperta dalla
fitta edera.
La massima quota (406
m.) è un cocuzzolo dove gli alberi (aceri, faggi e noccioli) si contendono il
podio. Mi arrampico sulla quota più alta, e tenendomi in bilico eleggo un
faggio vincitore e ad esso appongo come trofeo il simbolo del gruppo. Dalla
vetta non vedo nulla, solo fronde che non hanno nessuna voglia di denudarsi al
mio cospetto, anche questa è la montagna, non è detto che la quota più alta sia
la più panoramica.
Ritorno sui miei passi
sino alla quota 390 metri, per poi continuare a ovest, stavolta incontro un
ostacolo che viene dal mio passato. Una recinzione militare aperta in più punti
e un ‘altana che sta lì alta a testimoniare il passato recente di questo
territorio, sino ad alcuni decenni sottoposto alla servitù militare (Col Paurion 346 m.).
Dall’altana certo il paesaggio è infinito e luminoso, immagino il soldato posto
di sentinella e nativo di una grande città, sognare durante le notti delle
feste natalizie la sua bella, e chissà se ella, in quell’istante, ricambiava i
pensieri. Immagino il milite infreddolito come un ghiacciolo, chissà, ne ho
sentiti tanti di questi episodi raccontati direttamente dai diretti
interessati, storie che la montagna conserva ancora tra le remote ombre. Lascio
questo luogo che tanto mi rattrista, si davvero assai, odo ancora le voci allegre
dei soldati: <<Sergeee u vulite o cafè, senza zuccaru veru? >>.
Panettoni, agende in dono, termosifoni a gasolio, e l’odore del caffè che effonde
dalla moka. Devo smettere di ricordare e proseguire, prima che una forte
malinconia mi rapisca e incateni come le sirene dell’Odissea, lacerandomi le
carni come una fiera. Dei bolli arancioni attirano la mia attenzione, li seguo,
essi mi portano a sud, alle pendici della lunga cresta, dopo aver percorso una
carrareccia di servizio mi ritrovo sulla statale, proseguo a oriente, in
direzione di Usago, per oggi il viaggio è finito. Raggiungo l’auto, fa tanto
caldo malgrado siamo in pieno autunno, mi volto a occidente ad ammirare il
percorso fatto, la prima parte di un vecchio sogno è stata realizzata. Con il
cuore colmo di emozioni raggiungo l’abitazione, domani è un altro giorno, ma io
ritornerò su questi monti, dopodomani.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento