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mercoledì 20 maggio 2020

Anello del Monte Valcalda con percosso di cresta da Passo di monte Rest.

 Anello del Monte Valcalda con percosso di cresta da Passo di monte Rest.

Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Carniche – Catena Valcalda Verzegnis-Gruppo Valcalda Taiet- Sottogruppo Valcalda.

Avvicinamento: Lestans-Meduno- Tramonti di Sopra- Seguire indicazioni per il passo Rest (1044 m.) - Raggiunto il passo troviamo un ampio parcheggio di fronte l’inizio del segnavia CAI n.826-

Dislivello: 1300 m.

Dislivello complessivo: 1500 m.

Distanza percorsa in Km: 19 chilometri.

Quota minima partenza: 1044 m.

Quota massima raggiunta: 1908 m.

Tempi di percorrenza escluse le soste: 7 ore (il tempo impiegato è sempre soggettivo)

In: Solitaria

Tipologia Escursione: selvaggio-panoramica

Difficoltà: Escursionisti esperti selvaggi.

Segnavia: Cai 826-
Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

Croce di vetta: si

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: lasciato un barattolino in vetro con fogli.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028.
2) Bibliografici:
3) Internet:

2)               Periodo consigliato: maggio-ottobre

3)               Da evitare da farsi in: Con terreno umido o in presenza di ghiaccio
Condizioni del sentiero: Meriterebbe una cura

Fonti d’acqua: nessuna

Consigliati: Ramponi da erba per il tratto in discesa dalla vetta sul pendio erboso.

Data: lunedì 18 maggio 2020

Il “Forestiero Nomade”
Malfa
 Monte Valcalda : “ Ieri e Oggi”
La piacevolissima giornata all’insegna del sole mi spinge a osare, mettendo alla prova le mie capacità fisiche e di saziare l’inesauribile brama di Libertà. La meta è il monte Valcalda con partenza dal Passo del monte Rest. I propositi sono quelli di compiere un anello con inizio da Forchia di Sopareit, percorrendo l’intera cresta del Valcalda sino alla cima, con successiva discesa alla casera Sopareit e rientro tramite sentiero naturalistico Ursula Nagel.
È una signora escursione quella che mi appresto a rifare dopo quindici anni. Nel 2005 facevo parte della squadra manutenzioni sentieri, ubicata presso la sottosezione CAI di Tramonti di Sopra. Ricordo benissimo che era in programma una gita Cai sul monte Valcalda, e quindi necessitava la manutenzione della sentieristica. Ripensando al tempo trascorso<<Che bei tempi!!>> Oggi come allora non è facile reclutare volontari, il lavoro non è rimunerato e implica il sacrificio del tempo libero.
Quel dì, il giorno della manutenzione, ci ritrovammo a Tramonti di Sopra, presso l’abitazione del grande capo, il compianto Vittorio Pradolin.
Non ricordo ora tutti i nomi del gruppo di volontari, ne rammento solo alcuni tra cui: Costantino, direttore di Banca; Tino, mio compaesano di Lestans; Italo, impresario-costruttore e mio fraterno amico; Giorgio, responsabile del gruppo escursionistico di Fiume Veneto e neo-associato alla sezione manutenzione sentieri, naturalmente dulcis in fundo, ma primo per prestigio, Vittorio, mio indiscusso maestro di vita e di montagna.
Una volta divisi i ruoli ed esserci equipaggiati con il materiale (colori, motoseghe, tucani, picconi, ecc. ecc.) partimmo. Si giunse al Passo di monte Rest con le auto (1044 m.) ritrovandoci avvolti dentro una fitta bruma, e la giornata sembrava promettere il peggio. Dopo un breve istante di consultazione decidemmo di avviarci lo stesso, avremmo valutato il da farsi in alto, presso la casera Rest.
La nebbia mantenne stabile la sua intensità, noi non mollammo, osando sfidare l’ignoto. Così come fantasmi marciammo, sfidando la nebbia, sparendo e riapparendo in essa.
Per non smarrirsi procedemmo in fila indiana, soprattutto nella diagonale lungo i prati sommitali che dalla casera Rest (1501 m.) taglia sino allo spigolo panoramico che precede il bosco.
 Ancora oggi, come allora, perdura su una roccia la stessa rudimentale croce in legno (1613 m.).
Dopo il pulpito panoramico, proseguimmo per lo stesso sentiero 826, inoltrandoci nella fitta faggeta, e scendendo rapidamente di quota, sino a raggiungere, dopo aver l’ambito le ripide pendici orientali del monte Rest, l’affascinante rudere della Casera della Forchia.
Effettuammo una breve sosta per decidere il da farsi attuando un'altra rapida consultazione, a maggioranza concludemmo che si andava avanti. Naturalmente con la nebbia non si vedeva nulla oltre i cinque metri, ma non era il coraggio che in quel frangente latitava.
Poco prima di raggiungere la Forchia di Sopareit ricevetti una proposta da Giorgio che ancora oggi, ripensandoci, trovo sorprendente. Mi propose di provare a segnare per la prima volta la cresta del Valcalda, dove avremmo trovato esclusivamente tracce di cacciatori. La mia risposta non si fece attendere, accondiscesi con entusiasmo, rispondendogli, che sicuro della sua provata esperienza montana lo avrei seguito anche all’ Inferno.
Comunichiamo al grande capo la nostra idea e decisione, dandoci appuntamento con il gruppo alla Casera Sopareit.
Quindi, Giorgio e io, con materiali al seguito, partimmo per la piccola impresa, che vista la fitta nebbia e il pericolo di pioggia appariva abbastanza ardua. Confesso che ancora oggi come ieri, a ripensare a quei momenti, rivivo le stesse intense emozioni.
Dalla forca Sopareit (1411 m.) il sentiero CAI ufficiale si spinge pochi metri sul versante orientale che si affaccia sulla pianura Carnica, per poi proseguire all’interno e passare sul versante occidentale del monte Valcalda, assumendo la denominazione di “Sentiero Naturalistico Ursula Nagel”.
Giorgio e io, salutati i compagni di viaggio, abbandoniamo il sentiero ufficiale, cercando tra la vegetazione le tracce di passaggio, e una volta trovate, piantiamo il primo paletto con i caratteristici segni bianco rossi del CAI.
Ficcato il paletto introduttivo, si prosegue dentro il bosco di faggio, tramite il ripido sentiero sino a raggiungere l’erbosa e ripidissima cresta. L’orientamento è palesemente arduo, cerchiamo dei sassi sulla dorsale e trovati lasciamo i segni del nostro passaggio. Oggi nel rivedere i segni sbiaditi sui sassi mi sono emozionato, sono ancora i medesimi segni d’allora, nessuno è più ripassato per ravvivarli
Dal pendio proseguimmo per la prima crestina erbosa e affilata, con la perdurante nebbia sembrava di camminare su una corda tesa sospesa nel vuoto. Inciampando sui massi lasciavamo i segni, era l’unico modo di scovarli. Giorgio sempre avanti e io dietro, la nostra pattuglia procedeva indomita.
La prima crestina ci portò alla prima elevazione, ma era solo un dorso che si apre in un ampio piano ricoperto da un fitto prato di rododendro. Decidemmo di percorrerne il lato destro quasi al limite del ripido ed esposto versante, e di seguito proseguimmo sull’altra affilata e tortuosa crestina, molto esposta su entrambi i versanti, che porta alla cima Nord (1884 m.).
Malgrado la tensione fosse notevole non demmo segni di nervosismo e né di cedimento, di tanto in tanto Giorgio mi chiedeva come andasse, gli rispondevo che tutto filava liscio, naturalmente cosa gli potevo replicare? Che avevo paura? Ma la curiosità e lo spirito di avventura ebbero la meglio.  Poco dopo raggiungemmo la parte più tecnica e delicata dell’intera cresta, ovvero un salto insidioso. Ci calammo per un ripido tratto di roccette finché la cresta si ridusse a un intaglio con un breve passaggio molto esposto chiamato “La Puarte” (passaggi di primo grado). Confesso che allora me la sono fatta addosso, oggi, con le dovute precauzioni ho affrontato lo stesso intaglio con tranquillità, rivivendo l’attimo adrenalinico di quindi anni fa. Allora Giorgio, vedendo le mie insicurezze nei passaggi esposti, mi consigliò di frequentare al più presto un corso di roccia, cosa che effettuai nei mesi a seguire. Superato l’ostacolo, ci calammo per pochi metri nell’esposto versante, aggirando una crestina impraticabile, e risalendo l’ultimo pendio sino alla vetta del Valcalda. Raggiunta la caratteristica croce (realizzata con tubi in metallo di colore rosso), ci lasciammo andare, scaricando l’adrenalina con uno stretto abbraccio. Fummo coscienti di aver compiuto una piccola impresa, la soddisfazione, palese, traspariva nei nostri volti ancora provati per la tensione.
Naturalmente il paesaggio continuava ad essere avvolto dalla nebbia, ad un tratto sentimmo delle voci, provenivano dalla pattuglia composta da altri compagni coinvolti nella stessa impresa. Il folto gruppo capitanato da Gianni, dopo aver manutenzionato il sentiero del versante orientale del Valcalda, ha pernottato presso il riparo di casera Teglara, e ora si congiungeva a noi in vetta.  Non ci rimaneva che procedere assieme e raggiungere il resto della combriccola in basso a casera Sopareit. 
Durante la ripida discesa su prati insidiosi Giorgio si è perso una mazza, accortosi mi consiglia di proseguire con gli altri mentre lui sarebbe andato in cerca dell’oggetto smarrito, dopo di che ci avrebbe raggiunto. Gli ho risposto istintivamente che se si parte in due si ritorna in due, e che un compagno di viaggio non lo si abbandona mai, nemmeno per una frazione di secondo. Oggi come allora la discesa dalla croce di vetta alla casera è stata ripida e insidiosa, con gli stessi problemi di allora per ritrovare le tracce e i segni. Ho l’impressione che il sentiero sia stato dismesso. Ritornando al racconto, Giorgio e io ritrovammo la smarrita mazza, e ci ricongiungemmo in basso con il gruppo, che si scaldava all’interno della casera Sopareit con la rudimentale stufa a legna. Oggi nel rivedere il rudere della casera in stato di abbandono mi ha dato tanta tristezza, ancora all’interno del locale riecheggiano le voci dei compagni di allora. Non potrò mai dimenticare un episodio: mentre noi ultima generazione ci nutrivamo con barrette energetiche e frutta secca, il boss estraeva dal suo zaino un gustosissimo panino infarcito con prosciutto e formaggio, e naturalmente un tocco di vino come compagno nel breve viaggio verso lo stomaco. Confesso, che oggi, stando seduto sulla stessa panca di allora e nel rivivere gli episodi, una lacrima furtiva ha solcato il mio volto. Mi manca tanto Vittorio, assai assai. È stato per il sottoscritto un vero amico, sempre leale, disponibile, con un sorriso che rendeva facile qualsiasi impresa. E’ stato il mio maestro, un padre spirituale. Sovente quando sono in montagna e mi caccio nei guai non nascondo che chiedo aiuto al suo spirito, e puntualmente mi tira fuori dai guai. Mi mancano anche gli amici di allora, sicuramente di notevole spessore interiore, e forse è questo il vero scopo di questa mia missione solitaria, ritrovare me stesso e i valori genuini di allora. L’autentico spirito libero della montagna che rinnega lo stupido e sterile antagonismo. Io non capisco chi compete con altri, in montagna come nella vita non c’è nulla da inventare, è stato tutto scritto e da uomini superiori, con la U maiuscola. Confesso che con questa avventura ho ritrovato ed esaltato il vecchio folletto, forse solo sopito, ma sempre indomito. Durante questa escursione, nata così per caso, non avevo al seguito abbastanza acqua e né cibarie, quindi mi è toccato razionalizzare e razionare le provviste al seguito. Presso la croce di vetta mi sono nutrito con una banana e una barretta energetica, ora consumo un’arancia e un kiwi e raziono il mezzo litro d’acqua rimasto. Lo divido idealmente in tre sorsate da consumarsi nelle future tre soste, la prima all’arrivo alla Casera della Forchia, la seconda alla Casera Rest, e l’ultima a fine escursione. Con questi propositi riparto, seguendo stavolta il sentiero ufficiale. Al rientro come allora, ho ritrovato residui di neve nei canaloni, nulla di trascendentale, ho superato gli ostacoli con facilità. Spesso il sentiero è appena percettibile e con una serie di saliscendi aumenta la fatica e il dislivello. Raggiunta la Casera della Forchia, concludo l’anello del Valcalda, procedendo stavolta su un sentiero sicuro verso il Passo di Monte Rest. La fatica si fa sentire, alla Casera Rest, dove effettuo l’ultima sosta, controllo il dislivello accumulato, ben 1500 m. mica male come ripresa fisica dopo la lunga sosta forzata. Oggi ero pure svogliato, sono partito tardi da casa, iniziando l’escursione all’incirca alle dieci del mattino, quindi sono fortunato se raggiungo il parcheggio prima che il sole tramonti. Tre lustri fa l’escursione ebbe termine a casa di Vittorio, a sorseggiare una delle sue prelibate sgnapes (grappe). Oggi al rientro mi sono per un attimo fermato con l’auto e a motore acceso, davanti al bar dove ci si ritrovava una volta con gli amici montanari. Ho dato una fugace occhiata al locale, dopo la nota quarantena il parcheggio è pieno di auto. Un omino dalla faccia simpatica mi si avvicina, mi chiede gentilmente se ho bisogno di qualcosa. Gli spiego che ho appena terminato l’escursione sul Valcalda e che mi sono fermato davanti al locale, pensando ai tempi andati, citando Vittorio... <<Vittorio Pradolin? >> Esclama. <<Si, proprio lui!>> Gli rispondo, e l’omino commenta con emozione la figura del grande vecchio, e del profondo vuoto che ha lasciato con la sua scomparsa nella comunità montana della valle.
Gran bella persona Vittorio, un vero galantuomo.  Rientro a casa, guidando, con calma e inebriato di serenità. Oggi, durante l’escursione, non ero solo, assieme a me camminava il mio angelo custode, l’ho sempre sentito accanto. Nelle due vette ho raccolto dei sassolini che presto porterò nella sua ultima ed eterna dimora.
Il Forestiero Nomade.
Malfa





































































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