Anello del Monte Valcalda con percosso di cresta da Passo di
monte Rest.
Dislivello complessivo: 1500 m.
Distanza percorsa in Km: 19 chilometri.
Quota minima partenza: 1044 m.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche – Catena Valcalda
Verzegnis-Gruppo Valcalda Taiet- Sottogruppo Valcalda.
Avvicinamento: Lestans-Meduno- Tramonti di Sopra- Seguire
indicazioni per il passo Rest (1044 m.) - Raggiunto il passo troviamo un ampio parcheggio
di fronte l’inizio del segnavia CAI n.826-
Dislivello: 1300 m.
Dislivello complessivo: 1500 m.
Distanza percorsa in Km: 19 chilometri.
Quota minima partenza: 1044 m.
Quota massima raggiunta: 1908 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 7 ore (il tempo impiegato
è sempre soggettivo)
In: Solitaria
Tipologia Escursione: selvaggio-panoramica
Difficoltà: Escursionisti esperti selvaggi.
Segnavia: Cai 826-
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: lasciato un barattolino in vetro con
fogli.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028.
2) Bibliografici:
3) Internet:
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo consigliato: maggio-ottobre
3)
Da evitare da farsi in: Con terreno
umido o in presenza di ghiaccio
Condizioni del sentiero: Meriterebbe una cura
Fonti d’acqua: nessuna
Consigliati: Ramponi da erba per il tratto in discesa
dalla vetta sul pendio erboso.
Data: lunedì 18 maggio 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Monte Valcalda : “ Ieri e Oggi”Malfa
La piacevolissima giornata all’insegna del sole mi
spinge a osare, mettendo alla prova le mie capacità fisiche e di saziare l’inesauribile
brama di Libertà. La meta è il monte Valcalda con partenza dal Passo del monte
Rest. I propositi sono quelli di compiere un anello con inizio da Forchia di
Sopareit, percorrendo l’intera cresta del Valcalda sino alla cima, con successiva
discesa alla casera Sopareit e rientro tramite sentiero naturalistico Ursula
Nagel.
È una signora escursione quella che mi appresto a rifare
dopo quindici anni. Nel 2005 facevo parte della squadra manutenzioni sentieri, ubicata
presso la sottosezione CAI di Tramonti di Sopra. Ricordo benissimo che era in
programma una gita Cai sul monte Valcalda, e quindi necessitava la manutenzione
della sentieristica. Ripensando al tempo trascorso<<Che bei tempi!!>>
Oggi come allora non è facile reclutare volontari, il lavoro non è rimunerato e
implica il sacrificio del tempo libero.
Quel dì, il giorno della manutenzione, ci ritrovammo a
Tramonti di Sopra, presso l’abitazione del grande capo, il compianto Vittorio
Pradolin.
Non ricordo ora tutti i nomi del gruppo di volontari, ne
rammento solo alcuni tra cui: Costantino, direttore di Banca; Tino, mio
compaesano di Lestans; Italo, impresario-costruttore e mio fraterno amico; Giorgio,
responsabile del gruppo escursionistico di Fiume Veneto e neo-associato alla
sezione manutenzione sentieri, naturalmente dulcis in fundo, ma primo per
prestigio, Vittorio, mio indiscusso maestro di vita e di montagna.
Una volta divisi i ruoli ed esserci equipaggiati con
il materiale (colori, motoseghe, tucani, picconi, ecc. ecc.) partimmo. Si giunse
al Passo di monte Rest con le auto (1044 m.) ritrovandoci avvolti dentro una
fitta bruma, e la giornata sembrava promettere il peggio. Dopo un breve istante
di consultazione decidemmo di avviarci lo stesso, avremmo valutato il da farsi in
alto, presso la casera Rest.
La nebbia mantenne stabile la sua intensità, noi non
mollammo, osando sfidare l’ignoto. Così come fantasmi marciammo, sfidando la nebbia,
sparendo e riapparendo in essa.
Per non smarrirsi procedemmo in fila indiana,
soprattutto nella diagonale lungo i prati sommitali che dalla casera Rest (1501
m.) taglia sino allo spigolo panoramico che precede il bosco.
Ancora oggi,
come allora, perdura su una roccia la stessa rudimentale croce in legno (1613
m.).
Dopo il pulpito panoramico, proseguimmo per lo stesso
sentiero 826, inoltrandoci nella fitta faggeta, e scendendo rapidamente di quota,
sino a raggiungere, dopo aver l’ambito le ripide pendici orientali del monte
Rest, l’affascinante rudere della Casera della Forchia.
Effettuammo una breve sosta per decidere il da farsi attuando
un'altra rapida consultazione, a maggioranza concludemmo che si andava avanti.
Naturalmente con la nebbia non si vedeva nulla oltre i cinque metri, ma non era
il coraggio che in quel frangente latitava.
Poco prima di raggiungere la Forchia di Sopareit ricevetti
una proposta da Giorgio che ancora oggi, ripensandoci, trovo sorprendente. Mi
propose di provare a segnare per la prima volta la cresta del Valcalda, dove avremmo
trovato esclusivamente tracce di cacciatori. La mia risposta non si fece
attendere, accondiscesi con entusiasmo, rispondendogli, che sicuro della sua provata
esperienza montana lo avrei seguito anche all’ Inferno.
Comunichiamo al grande capo la nostra idea e decisione,
dandoci appuntamento con il gruppo alla Casera Sopareit.
Quindi, Giorgio e io, con materiali al seguito,
partimmo per la piccola impresa, che vista la fitta nebbia e il pericolo di
pioggia appariva abbastanza ardua. Confesso che ancora oggi come ieri, a
ripensare a quei momenti, rivivo le stesse intense emozioni.
Dalla forca Sopareit (1411 m.) il sentiero CAI
ufficiale si spinge pochi metri sul versante orientale che si affaccia sulla pianura
Carnica, per poi proseguire all’interno e passare sul versante occidentale del monte
Valcalda, assumendo la denominazione di “Sentiero Naturalistico Ursula Nagel”.
Giorgio e io, salutati i compagni di viaggio, abbandoniamo
il sentiero ufficiale, cercando tra la vegetazione le tracce di passaggio, e
una volta trovate, piantiamo il primo paletto con i caratteristici segni bianco
rossi del CAI.
Ficcato il paletto introduttivo, si prosegue dentro il
bosco di faggio, tramite il ripido sentiero sino a raggiungere l’erbosa e
ripidissima cresta. L’orientamento è palesemente arduo, cerchiamo dei sassi
sulla dorsale e trovati lasciamo i segni del nostro passaggio. Oggi nel
rivedere i segni sbiaditi sui sassi mi sono emozionato, sono ancora i medesimi segni
d’allora, nessuno è più ripassato per ravvivarli
Dal pendio proseguimmo per la prima crestina erbosa e
affilata, con la perdurante nebbia sembrava di camminare su una corda tesa
sospesa nel vuoto. Inciampando sui massi lasciavamo i segni, era l’unico modo
di scovarli. Giorgio sempre avanti e io dietro, la nostra pattuglia procedeva
indomita.
La prima crestina ci portò alla prima elevazione, ma era
solo un dorso che si apre in un ampio piano ricoperto da un fitto prato di rododendro.
Decidemmo di percorrerne il lato destro quasi al limite del ripido ed esposto versante,
e di seguito proseguimmo sull’altra affilata e tortuosa crestina, molto esposta
su entrambi i versanti, che porta alla cima Nord (1884 m.).
Malgrado la tensione fosse notevole non demmo segni di
nervosismo e né di cedimento, di tanto in tanto Giorgio mi chiedeva come andasse,
gli rispondevo che tutto filava liscio, naturalmente cosa gli potevo replicare?
Che avevo paura? Ma la curiosità e lo spirito di avventura ebbero la meglio. Poco dopo raggiungemmo la parte più tecnica e
delicata dell’intera cresta, ovvero un salto insidioso. Ci calammo per un
ripido tratto di roccette finché la cresta si ridusse a un intaglio con un
breve passaggio molto esposto chiamato “La Puarte” (passaggi di primo grado). Confesso
che allora me la sono fatta addosso, oggi, con le dovute precauzioni ho
affrontato lo stesso intaglio con tranquillità, rivivendo l’attimo adrenalinico
di quindi anni fa. Allora Giorgio, vedendo le mie insicurezze nei passaggi
esposti, mi consigliò di frequentare al più presto un corso di roccia, cosa che
effettuai nei mesi a seguire. Superato l’ostacolo, ci calammo per pochi metri
nell’esposto versante, aggirando una crestina impraticabile, e risalendo l’ultimo
pendio sino alla vetta del Valcalda. Raggiunta la caratteristica croce (realizzata
con tubi in metallo di colore rosso), ci lasciammo andare, scaricando
l’adrenalina con uno stretto abbraccio. Fummo coscienti di aver compiuto una
piccola impresa, la soddisfazione, palese, traspariva nei nostri volti ancora
provati per la tensione.
Naturalmente il paesaggio continuava ad essere avvolto
dalla nebbia, ad un tratto sentimmo delle voci, provenivano dalla pattuglia composta
da altri compagni coinvolti nella stessa impresa. Il folto gruppo capitanato da
Gianni, dopo aver manutenzionato il sentiero del versante orientale del Valcalda,
ha pernottato presso il riparo di casera Teglara, e ora si congiungeva a noi in
vetta. Non ci rimaneva che procedere
assieme e raggiungere il resto della combriccola in basso a casera
Sopareit.
Durante la ripida discesa su prati
insidiosi Giorgio si è perso una mazza, accortosi mi consiglia di proseguire con
gli altri mentre lui sarebbe andato in cerca dell’oggetto smarrito, dopo di che
ci avrebbe raggiunto. Gli ho risposto istintivamente che se si parte in due si ritorna
in due, e che un compagno di viaggio non lo si abbandona mai, nemmeno per una
frazione di secondo. Oggi come allora la discesa dalla croce di vetta alla
casera è stata ripida e insidiosa, con gli stessi problemi di allora per ritrovare
le tracce e i segni. Ho l’impressione che il sentiero sia stato dismesso.
Ritornando al racconto, Giorgio e io ritrovammo la smarrita mazza, e ci
ricongiungemmo in basso con il gruppo, che si scaldava all’interno della casera
Sopareit con la rudimentale stufa a legna. Oggi nel rivedere il rudere della
casera in stato di abbandono mi ha dato tanta tristezza, ancora all’interno del
locale riecheggiano le voci dei compagni di allora. Non potrò mai dimenticare un
episodio: mentre noi ultima generazione ci nutrivamo con barrette energetiche e
frutta secca, il boss estraeva dal suo zaino un gustosissimo panino infarcito
con prosciutto e formaggio, e naturalmente un tocco di vino come compagno nel
breve viaggio verso lo stomaco. Confesso, che oggi, stando seduto sulla stessa
panca di allora e nel rivivere gli episodi, una lacrima furtiva ha solcato il
mio volto. Mi manca tanto Vittorio, assai assai. È stato per il sottoscritto un
vero amico, sempre leale, disponibile, con un sorriso che rendeva facile
qualsiasi impresa. E’ stato il mio maestro, un padre spirituale. Sovente quando
sono in montagna e mi caccio nei guai non nascondo che chiedo aiuto al suo
spirito, e puntualmente mi tira fuori dai guai. Mi mancano anche gli amici di
allora, sicuramente di notevole spessore interiore, e forse è questo il vero scopo
di questa mia missione solitaria, ritrovare me stesso e i valori genuini di
allora. L’autentico spirito libero della montagna che rinnega lo stupido e
sterile antagonismo. Io non capisco chi compete con altri, in montagna come
nella vita non c’è nulla da inventare, è stato tutto scritto e da uomini superiori,
con la U maiuscola. Confesso che con questa avventura ho ritrovato ed esaltato
il vecchio folletto, forse solo sopito, ma sempre indomito. Durante questa
escursione, nata così per caso, non avevo al seguito abbastanza acqua e né cibarie,
quindi mi è toccato razionalizzare e razionare le provviste al seguito. Presso la
croce di vetta mi sono nutrito con una banana e una barretta energetica, ora
consumo un’arancia e un kiwi e raziono il mezzo litro d’acqua rimasto. Lo
divido idealmente in tre sorsate da consumarsi nelle future tre soste, la prima
all’arrivo alla Casera della Forchia, la seconda alla Casera Rest, e l’ultima a
fine escursione. Con questi propositi riparto, seguendo stavolta il sentiero
ufficiale. Al rientro come allora, ho ritrovato residui di neve nei canaloni, nulla
di trascendentale, ho superato gli ostacoli con facilità. Spesso il sentiero è
appena percettibile e con una serie di saliscendi aumenta la fatica e il
dislivello. Raggiunta la Casera della Forchia, concludo l’anello del Valcalda,
procedendo stavolta su un sentiero sicuro verso il Passo di Monte Rest. La
fatica si fa sentire, alla Casera Rest, dove effettuo l’ultima sosta, controllo
il dislivello accumulato, ben 1500 m. mica male come ripresa fisica dopo la
lunga sosta forzata. Oggi ero pure svogliato, sono partito tardi da casa, iniziando
l’escursione all’incirca alle dieci del mattino, quindi sono fortunato se
raggiungo il parcheggio prima che il sole tramonti. Tre lustri fa l’escursione ebbe
termine a casa di Vittorio, a sorseggiare una delle sue prelibate sgnapes
(grappe). Oggi al rientro mi sono per un attimo fermato con l’auto e a motore
acceso, davanti al bar dove ci si ritrovava una volta con gli amici montanari.
Ho dato una fugace occhiata al locale, dopo la nota quarantena il parcheggio è pieno
di auto. Un omino dalla faccia simpatica mi si avvicina, mi chiede gentilmente
se ho bisogno di qualcosa. Gli spiego che ho appena terminato l’escursione sul
Valcalda e che mi sono fermato davanti al locale, pensando ai tempi andati, citando
Vittorio... <<Vittorio Pradolin? >> Esclama. <<Si, proprio
lui!>> Gli rispondo, e l’omino commenta con emozione la figura del grande
vecchio, e del profondo vuoto che ha lasciato con la sua scomparsa nella
comunità montana della valle.
Gran bella persona Vittorio, un vero galantuomo. Rientro a casa, guidando, con calma e
inebriato di serenità. Oggi, durante l’escursione, non ero solo, assieme a me camminava
il mio angelo custode, l’ho sempre sentito accanto. Nelle due vette ho raccolto
dei sassolini che presto porterò nella sua ultima ed eterna dimora.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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