Powered By Blogger

sabato 5 maggio 2018

Monte Vettore (2476 m.) da Arquata del Tronto (AP).



Monte Vettore (2476 m.) da Arquata del Tronto (AP).



Racconto.

Il nome del monte Vettore mi era letteralmente sconosciuto fino a pochi giorni prima della partenza per la regione Marche. Ben sapendo che avrei portato al seguito il materiale per la montagna, ho studiato i rilievi locali nei giorni che hanno preceduto la partenza, e tra essi i monti Sibillini. Tra le cime che mi hanno colpito, una di queste è proprio il monte Vettore, sono rimasto incantato dalla lunga cresta, fantasticando di poterne percorrere i sentieri. Dopo alcuni giorni dal mio arrivo in regione, ho visitato le zone limitrofe del monte, molti borghi versano in condizioni disagevoli a causa del terremoto che due anni fa ha flagellato l’area. Nel visitare i luoghi mi sono spinto sino alla frazione di Pretare, da dove ho potuto ammirare il versante orientale del monte; l’aspetto lucente della roccia illuminata dal sole ha ulteriormente aumentato il desiderio di conquista. Dai nativi ho saputo che si può salire alla cima dalla Forca di Presta, posta a 1560 m. s.l., ben visibile dalle frazioni di Arquata del Tronto. Messo in cantiere il progetto di conquista, attendo che la stagione primaverile sciolga l’ultima neve prima di procedere alla scalata.

La settimana scorsa, leggendo le pagina FB di un amico (Paolo) scopro che è salito di recente sul monte Vettore; lo contatto per chiedere informazioni sulla fattibilità, mi tranquillizza, notificandomi che per le poche lingue di neve non servono nemmeno i ramponi. Da quell’istante il Vettore è diventato un chiodo fisso, studio mappe e percorsi alternativi, valutando anche l’ipotesi di partire da molto più in basso, precisamente dal comune di Arquata del Tronto, all’incirca da quota 662 metri.

Sulla mappa, calcolato il dislivello (più di 1800 m.) sembra un’impresa, ma essendo allenato, non sarà la fatica a incutermi ansie, ma il meteo. Purtroppo, dopo una idilliaca settimana all’insegna del sole il meteo volge al peggio, dovrei rinunciare ai propositi di avventura per almeno due settimane. Dopo avere elaborato molteplici soluzioni, decido di partire il primo maggio, che tra i giorni a venire si preannuncia il meno catastrofico. Preparo lo zaino, mettendo materiali idonei per l’alta quota. Il giorno della partenza alle prime ore dell’alba sono ad Arquata del Tronto, il sentiero inizia proprio accanto a una postazione militare che presidia il borgo terremotato (insegna di un ristorante con bassorilievi in legno). Noto che i militi sono artiglieri dell’Ariete, di stazza a Maniago, corregionali; li saluto, ricambiano cortesemente.

Con passo lento inizio il sentiero, seguendo una stretta stradina segnata con segni CAI.

A causa del cielo coperto la temperatura è freddina, oltrepasso un borgo abbandonato (Camartina quota 700 m.) procedendo nella fitta vegetazione. Un tratto di percorso è inondato da un torrentello straripante, risalgo sul ciglio della traccia, cercando di non inzuppare le scarpe (nel tratto iniziale sto adoperando quelle di avvicinamento). Supero numerosi rivoli, l’abbondanza d’acqua in questi luoghi è una costante. È evidente dall’invadente vegetazione che l’area che sto percorrendo da tempo non è accudita, supero un altro rivolo, perdendo a causa di alcuni schianti la traccia. Miro alla soprastante altura, la raggiungo aiutandomi con le ramaglie e le tracce di capriolo. Grazie all’intuito scorgo un canaletto e dentro di esso i segni CAI (numerazione 103), fortunatamente ho ritrovato il sentiero perduto, da questo istante non avrò più problemi di orientamento.

Cammino dentro il canale (percorribile come una mulattiera), ammirando tutto intorno le caratteristiche forme dei castagni antropomorfi. All’incrocio con una carrareccia dei cartelli CAI mi confermano che sono sulla giusta direzione (quota 1040 m.), mi dirigo a occidente, miro alla mole del Vettore che appare temerario per via del cupeza delle nubi. Il tratturo è comodo, la vegetazione(faggi) con l’avvicinarmi alle pendici del monte si fa più rada. Effettuo una sosta presso una simpatica e originale fonte a quattro vasche (quota 1096 m.), i segni mi invitano a separarmi dalla strada di campagna per seguire gli sparuti ometti di pietra.

Mi ritrovo allo scoperto, nella vasta prateria poco sotto la Forca di Presta, dal rombo dei motori riesco a intuire che sopra scorre una strada asfaltata.

 Zizzagando, tra ghiaie e zolle d’erba, arrivo alla rotabile per remoto tracciato. Raggiunto il passo (confine geografico e naturale tra Marche e Umbria), mi trovo al centro del meraviglioso valico, inerbito e circondato da dolci colli (1560 m.).

Mi fermo presso la cartellonistica (abbattuta sicuramente dalle recenti nevicate), davanti a essa è sito lo spiazzo adibito per le auto degli escursionisti; per il rifugio alpino bisogna ancora percorrere un centinaio di metri di sterrato.

Alle mie spalle, a settentrione, parte il sentiero per il monte Vettore, estraggo dallo zaino gli scarponi che userò per la prima volta in questa meravigliosa terra. Ne approfitto per mangiare un frutto, conti alla mano ho già percorso 900 metri di dislivello, ne devo fare altrettanti.

Dopo la breve pausa do un’occhiata al cielo, sembra che regga anche se il grigio uniforme incute timore, con trepidazione mi avvio, sciogliendo così i dubbi se dovessi proseguire o rientrare. Non trovo sono segni CAI, percorro un’ampia traccia ben marcata, simile alle mulattiere di guerra costruite nel Friuli dagli alpini. La pendenza è dolce, senza fatica mi alzo di quota, sfioro una fioritura di incantevoli viole, ringrazio la montagna per il gentil presente. Alcuni cartelli mi avvertono di non abbandonare il sentiero, da buon soldatino sarò diligente. Dopo aver superato un breve nevaio m’imbatto nel primo contatto umano della giornata, un simpatico escursionista di Teramo. Immediatamente instauriamo una cordiale conversazione, egli sopraggiunge dalla vetta, mi tranquillizza sulle condizioni dei tratti innevati (mi fa notare che calza scarpette da skyrunning), un attimo dopo esserci congedati arriva la prima goccia di pioggia. Sono preoccupato ma non ho nessuna intenzione di mollare, proseguo, oltrepassando la prima elevazione, monte Vettoretto (ometto posto a quota 2062 m.).

Dal basso intravedo la sagoma del rifugio Zilioli, transito lungo una diagonale tra i prati, intervallati da un paio di lingue di neve, nulla di preoccupante, chi mi ha preceduto ha scavato un profondo solco nella neve, lo ripercorro, stando attento a non scivolare.

Poco sotto il rifugio osservo quello che rimane di una scalinata costruita con tronchi di legno, essa mi porta in cresta, al cospetto del rifugio CAI Zilioli (q. 2247 m.). Le nuvole si fanno cupe e minacciose, la temperatura scende vistosamente e le costanti raffiche di vento completano il non idilliaco quadretto. Senza remore, tralascio di visitare il rifugio, spingendomi a settentrione nell’ampia sella delle Ciaule, essa collega la Cima del Lago con il monte Vettore. Guardo i dati sull’altimetro del GPS, mancano ancora 400 metri di dislivello per raggiungere la meta, anche se apparentemente dista a uno sputo di lama. Alla mia destra ammiro le vertiginose pareti imbiancate del Monte Redentore e Cima del Lago, che insieme al monte Vettore danno forma a un anfiteatro, di chiara origine glaciale; al centro di esse e in basso, sotto un’abbondante coltre di neve, giace il lago di Pilato. Il bacino naturale è noto ai locali per una leggenda: il rosso delle acque del lago al tramonto in alcune giornate richiamerebbe il corpo di Ponzio Pilato, finito nel lago dopo essere stato gettato su carro di buoi in fuga.

Anche il monte Vettore sin dall’antichità ha ispirato storie e fantasie: esso presenta una fascia trasversale di ghiaia che è detta la strada delle fate. La leggenda narra che le fate, si siano fermate più a lungo a danzare con i giovani di Pretare e che per non essere sorprese all'alba, fuggirono con tanta precipitazione da lasciare le loro impronte sulla montagna, creando così la loro strada.

Messe da parte le leggende, ritorno alla realtà, continuando il cammino per la vetta. Mi aspetta un lungo pendio tra ghiaie e roccette, non presenta difficoltà tecniche, riesco a evitate gli accumuli di neve fino a quasi sotto la cima.

Tra le nebbie avvisto la croce divelta dell’ante cima, mi dirigo imperterrito sul cupolone finale. Nel frattempo la bufera imperversa, la visibilità è scesa vistosamente, riesco a intravedere nella neve solo una lingua di roccia, la risalgo, essa mi porta alla vetta, dove scorgo un prisma trigonometrico con annessa cassetta porta libro di vetta (2476 m.).

La neve sarà profonda una quarantina di centimetri, la pioggia a causa del freddo si è solidificata e le gocce mi pizzicano il volto, mentre il vento continua a soffiare intensamente.

Fatta la foto di rito, abbandono frettolosamente la vetta, prendendo erroneamente una direzione; ravvedutomi dell’errore, proseguo per il sentiero del ritorno, tagliando per i prati sommitali.

l’incedere del vento è costante, ho i guanti totalmente ghiacciati, mi porto velocemente verso il rifugio, sperando che la tormenta cali di intensità e mentre cammino sfrego le mani per scaldarle. Superati in discesa, i nevai e il monte Vettoretto, la tormenta cessa di colpo e tutto intorno si crea una situazione irreale e parafrasando il sommo poeta di Recanati, descriverei come “La quiete dopo la tempesta”.

Il viso scongelandosi ha ripreso calore, e con esso le mani, mi guardo indietro, notando la cima totalmente avvolta dalle corvine nubi. Effettuo una pausa, mangio qualcosa, ho consumato molte energie, è il momento ideale per scaricare l’adrenalina accumulata. Una volta rifocillatomi, riprendo il cammino con passo felpato, le gocce di pioggia unitamente alla leggera nebbiolina creano un’atmosfera magica, degna delle fate che vivono su questi monti.

Durante la discesa incontro separatamente due coppie di escursionisti, mi chiedono come è sopra: non li invito a salire e nemmeno li dissuado, loro, da soli, devono saper valutare le proprie capacità. La montagna è soggettiva, e nessuno può fare da maestro, e lungi da me di esserlo. La montagna è di tutti, e nessuno può giudicare, soprattutto chi di nome non fa Walter Bonatti.  

Raggiunta la forca, sano, salvo e spensierato, mi inchino alla Signora Montagna, che anche oggi mi è stata amica e complice. Appagato, mi avvio per il sentiero d’andata sino al punto di partenza, dove mi sicuramente mi aspettano gli amici per riportarmi ad Ascoli.  Felicemente termina questa avventura, con un’altra montagna conquistata e una nuova storia da raccontare.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.



Note tecniche.

Localizzazione: Arquata del Tronto-Parco Nazionale dei monti Sibillini-

Avvicinamento: Ascoli Piceno- Strada Salaria in direzione di Roma- Acquasanta Terme- Arquata del Tronto.

Località di Partenza: Arquata del Tronto.

Dislivello: 1814 m.



 Dislivello complessivo: 1960 m.



Distanza percorsa in Km: 20 Km.





Quota minima partenza: 662 m.



Quota massima raggiunta: 2476 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 7,5 ore.

In: Solitaria.



 Tipologia Escursione: Escursionistica Paesaggistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti fino alla Forca di Presta, poi escursionistica.

Segnavia: CAI 103.

Impegno fisico: Elevato.

Preparazione tecnica: Media.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: Si.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                  Cartografici: Mappa del Parco Naturale dei Monti Sibillini.

2)                  Bibliografici:

3)                  Internet:

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.

Fonti d’acqua: Molteplici fin sotto la forca, dopo nessuna.

Consigliati:

Data: 01 maggio 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa




































































1 commento:

  1. Ottimo giro, una gran sfacchinata come prima volta, il tempo non è stato di certo dei migliori per farti apprezzare in pieno il gruppo dei monti Sibillini. Se hai bisogno di altre informazioni le puoi trovare sul mio blog http://escursionismo360.blogspot.it/.
    Buona montagna

    RispondiElimina