Monte Vettore (2476 m.) da Arquata del Tronto (AP).
Racconto.
Il
nome del monte Vettore mi era letteralmente sconosciuto fino a pochi giorni
prima della partenza per la regione Marche. Ben sapendo che avrei portato al
seguito il materiale per la montagna, ho studiato i rilievi locali nei giorni che
hanno preceduto la partenza, e tra essi i monti Sibillini. Tra le cime che mi
hanno colpito, una di queste è proprio il monte Vettore, sono rimasto incantato
dalla lunga cresta, fantasticando di poterne percorrere i sentieri. Dopo alcuni
giorni dal mio arrivo in regione, ho visitato le zone limitrofe del monte,
molti borghi versano in condizioni disagevoli a causa del terremoto che due
anni fa ha flagellato l’area. Nel visitare i luoghi mi sono spinto sino alla
frazione di Pretare, da dove ho potuto ammirare il versante orientale del monte;
l’aspetto lucente della roccia illuminata dal sole ha ulteriormente aumentato
il desiderio di conquista. Dai nativi ho saputo che si può salire alla cima dalla
Forca di Presta, posta a 1560 m. s.l., ben visibile dalle frazioni di Arquata
del Tronto. Messo in cantiere il progetto di conquista, attendo che la stagione
primaverile sciolga l’ultima neve prima di procedere alla scalata.
La
settimana scorsa, leggendo le pagina FB di un amico (Paolo) scopro che è salito
di recente sul monte Vettore; lo contatto per chiedere informazioni sulla fattibilità,
mi tranquillizza, notificandomi che per le poche lingue di neve non servono
nemmeno i ramponi. Da quell’istante il Vettore è diventato un chiodo fisso,
studio mappe e percorsi alternativi, valutando anche l’ipotesi di partire da
molto più in basso, precisamente dal comune di Arquata del Tronto, all’incirca
da quota 662 metri.
Sulla
mappa, calcolato il dislivello (più di 1800 m.) sembra un’impresa, ma essendo allenato,
non sarà la fatica a incutermi ansie, ma il meteo. Purtroppo, dopo una idilliaca
settimana all’insegna del sole il meteo volge al peggio, dovrei rinunciare ai
propositi di avventura per almeno due settimane. Dopo avere elaborato
molteplici soluzioni, decido di partire il primo maggio, che tra i giorni a
venire si preannuncia il meno catastrofico. Preparo lo zaino, mettendo
materiali idonei per l’alta quota. Il giorno della partenza alle prime ore
dell’alba sono ad Arquata del Tronto, il sentiero inizia proprio accanto a una
postazione militare che presidia il borgo terremotato (insegna di un ristorante
con bassorilievi in legno). Noto che i militi sono artiglieri dell’Ariete, di
stazza a Maniago, corregionali; li saluto, ricambiano cortesemente.
Con
passo lento inizio il sentiero, seguendo una stretta stradina segnata con segni
CAI.
A
causa del cielo coperto la temperatura è freddina, oltrepasso un borgo abbandonato
(Camartina quota 700 m.) procedendo nella fitta vegetazione. Un tratto di
percorso è inondato da un torrentello straripante, risalgo sul ciglio della
traccia, cercando di non inzuppare le scarpe (nel tratto iniziale sto
adoperando quelle di avvicinamento). Supero numerosi rivoli, l’abbondanza
d’acqua in questi luoghi è una costante. È evidente dall’invadente vegetazione che
l’area che sto percorrendo da tempo non è accudita, supero un altro rivolo, perdendo
a causa di alcuni schianti la traccia. Miro alla soprastante altura, la
raggiungo aiutandomi con le ramaglie e le tracce di capriolo. Grazie
all’intuito scorgo un canaletto e dentro di esso i segni CAI (numerazione 103),
fortunatamente ho ritrovato il sentiero perduto, da questo istante non avrò più
problemi di orientamento.
Cammino
dentro il canale (percorribile come una mulattiera), ammirando tutto intorno le
caratteristiche forme dei castagni antropomorfi. All’incrocio con una
carrareccia dei cartelli CAI mi confermano che sono sulla giusta direzione
(quota 1040 m.), mi dirigo a occidente, miro alla mole del Vettore che appare temerario
per via del cupeza delle nubi. Il tratturo è comodo, la vegetazione(faggi) con l’avvicinarmi
alle pendici del monte si fa più rada. Effettuo una sosta presso una simpatica
e originale fonte a quattro vasche (quota 1096 m.), i segni mi invitano a separarmi
dalla strada di campagna per seguire gli sparuti ometti di pietra.
Mi
ritrovo allo scoperto, nella vasta prateria poco sotto la Forca di Presta, dal
rombo dei motori riesco a intuire che sopra scorre una strada asfaltata.
Zizzagando, tra ghiaie e zolle d’erba, arrivo alla
rotabile per remoto tracciato. Raggiunto il passo (confine geografico e
naturale tra Marche e Umbria), mi trovo al centro del meraviglioso valico,
inerbito e circondato da dolci colli (1560 m.).
Mi
fermo presso la cartellonistica (abbattuta sicuramente dalle recenti nevicate),
davanti a essa è sito lo spiazzo adibito per le auto degli escursionisti; per
il rifugio alpino bisogna ancora percorrere un centinaio di metri di sterrato.
Alle
mie spalle, a settentrione, parte il sentiero per il monte Vettore, estraggo
dallo zaino gli scarponi che userò per la prima volta in questa meravigliosa
terra. Ne approfitto per mangiare un frutto, conti alla mano ho già percorso
900 metri di dislivello, ne devo fare altrettanti.
Dopo
la breve pausa do un’occhiata al cielo, sembra che regga anche se il grigio
uniforme incute timore, con trepidazione mi avvio, sciogliendo così i dubbi se
dovessi proseguire o rientrare. Non trovo sono segni CAI, percorro un’ampia
traccia ben marcata, simile alle mulattiere di guerra costruite nel Friuli
dagli alpini. La pendenza è dolce, senza fatica mi alzo di quota, sfioro una
fioritura di incantevoli viole, ringrazio la montagna per il gentil presente.
Alcuni cartelli mi avvertono di non abbandonare il sentiero, da buon soldatino sarò
diligente. Dopo aver superato un breve nevaio m’imbatto nel primo contatto umano
della giornata, un simpatico escursionista di Teramo. Immediatamente instauriamo
una cordiale conversazione, egli sopraggiunge dalla vetta, mi tranquillizza
sulle condizioni dei tratti innevati (mi fa notare che calza scarpette da
skyrunning), un attimo dopo esserci congedati arriva la prima goccia di
pioggia. Sono preoccupato ma non ho nessuna intenzione di mollare, proseguo,
oltrepassando la prima elevazione, monte Vettoretto (ometto posto a quota 2062
m.).
Dal
basso intravedo la sagoma del rifugio Zilioli, transito lungo una diagonale tra
i prati, intervallati da un paio di lingue di neve, nulla di preoccupante, chi mi
ha preceduto ha scavato un profondo solco nella neve, lo ripercorro, stando
attento a non scivolare.
Poco
sotto il rifugio osservo quello che rimane di una scalinata costruita con
tronchi di legno, essa mi porta in cresta, al cospetto del rifugio CAI Zilioli (q.
2247 m.). Le nuvole si fanno cupe e minacciose, la temperatura scende
vistosamente e le costanti raffiche di vento completano il non idilliaco
quadretto. Senza remore, tralascio di visitare il rifugio, spingendomi a
settentrione nell’ampia sella delle Ciaule, essa collega la Cima del Lago con
il monte Vettore. Guardo i dati sull’altimetro del GPS, mancano ancora 400
metri di dislivello per raggiungere la meta, anche se apparentemente dista a uno
sputo di lama. Alla mia destra ammiro le vertiginose pareti imbiancate del
Monte Redentore e Cima del Lago, che insieme al monte Vettore danno forma a un
anfiteatro, di chiara origine glaciale; al centro di esse e in basso, sotto un’abbondante
coltre di neve, giace il lago di Pilato. Il bacino naturale è noto ai locali
per una leggenda: il rosso delle acque
del lago al tramonto in alcune giornate
richiamerebbe il corpo di Ponzio Pilato, finito nel lago dopo
essere stato gettato su carro di buoi in fuga.
Anche
il monte Vettore sin dall’antichità ha ispirato storie e fantasie: esso
presenta una fascia trasversale di ghiaia che è detta la strada
delle fate. La leggenda narra che le fate, si siano fermate più a lungo a danzare con i giovani di Pretare e che per non essere
sorprese all'alba, fuggirono con tanta precipitazione da lasciare le loro
impronte sulla montagna, creando così la loro strada.
Messe
da parte le leggende, ritorno alla realtà, continuando il cammino per la vetta.
Mi aspetta un lungo pendio tra ghiaie e roccette, non presenta difficoltà
tecniche, riesco a evitate gli accumuli di neve fino a quasi sotto la cima.
Tra
le nebbie avvisto la croce divelta dell’ante cima, mi dirigo imperterrito sul
cupolone finale. Nel frattempo la bufera imperversa, la visibilità è scesa vistosamente,
riesco a intravedere nella neve solo una lingua di roccia, la risalgo, essa mi
porta alla vetta, dove scorgo un prisma trigonometrico con annessa cassetta
porta libro di vetta (2476 m.).
La
neve sarà profonda una quarantina di centimetri, la pioggia a causa del freddo si
è solidificata e le gocce mi pizzicano il volto, mentre il vento continua a soffiare
intensamente.
Fatta
la foto di rito, abbandono frettolosamente la vetta, prendendo erroneamente una
direzione; ravvedutomi dell’errore, proseguo per il sentiero del ritorno,
tagliando per i prati sommitali.
l’incedere
del vento è costante, ho i guanti totalmente ghiacciati, mi porto velocemente
verso il rifugio, sperando che la tormenta cali di intensità e mentre cammino sfrego
le mani per scaldarle. Superati in discesa, i nevai e il monte Vettoretto, la
tormenta cessa di colpo e tutto intorno si crea una situazione irreale e
parafrasando il sommo poeta di Recanati, descriverei come “La quiete dopo la
tempesta”.
Il
viso scongelandosi ha ripreso calore, e con esso le mani, mi guardo indietro,
notando la cima totalmente avvolta dalle corvine nubi. Effettuo una pausa,
mangio qualcosa, ho consumato molte energie, è il momento ideale per scaricare l’adrenalina
accumulata. Una volta rifocillatomi, riprendo il cammino con passo felpato, le
gocce di pioggia unitamente alla leggera nebbiolina creano un’atmosfera magica,
degna delle fate che vivono su questi monti.
Durante
la discesa incontro separatamente due coppie di escursionisti, mi chiedono come
è sopra: non li invito a salire e nemmeno li dissuado, loro, da soli, devono saper
valutare le proprie capacità. La montagna è soggettiva, e nessuno può fare da maestro,
e lungi da me di esserlo. La montagna è di tutti, e nessuno può giudicare,
soprattutto chi di nome non fa Walter Bonatti.
Raggiunta
la forca, sano, salvo e spensierato, mi inchino alla Signora Montagna, che
anche oggi mi è stata amica e complice. Appagato, mi avvio per il sentiero
d’andata sino al punto di partenza, dove mi sicuramente mi aspettano gli amici
per riportarmi ad Ascoli. Felicemente
termina questa avventura, con un’altra montagna conquistata e una nuova storia
da raccontare.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Arquata del Tronto-Parco Nazionale dei monti
Sibillini-
Avvicinamento: Ascoli Piceno- Strada Salaria in direzione di
Roma- Acquasanta Terme- Arquata del Tronto.
Località di Partenza: Arquata del Tronto.
Dislivello: 1814 m.
Dislivello
complessivo: 1960 m.
Distanza percorsa in Km: 20 Km.
Quota minima partenza: 662 m.
Quota massima raggiunta: 2476 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 7,5 ore.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Escursionistica Paesaggistica.
Difficoltà: Escursionisti Esperti fino alla Forca di
Presta, poi escursionistica.
Segnavia: CAI 103.
Impegno fisico: Elevato.
Preparazione tecnica: Media.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: Si.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: Si.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Mappa del Parco Naturale dei Monti
Sibillini.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.
Fonti d’acqua: Molteplici fin sotto la forca, dopo nessuna.
Consigliati:
Data: 01 maggio 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Ottimo giro, una gran sfacchinata come prima volta, il tempo non è stato di certo dei migliori per farti apprezzare in pieno il gruppo dei monti Sibillini. Se hai bisogno di altre informazioni le puoi trovare sul mio blog http://escursionismo360.blogspot.it/.
RispondiEliminaBuona montagna