Crep Nudo ( 2207 m.) dall’Alpago.
Note tecniche.
Avvicinamento: Autostrada per Belluno- Uscita Fadalto-Lago
di S. Croce- Farra d’Alpago- Puos d’Alpago- Lamosano- Funes-Saline- seguire
indicazioni per casera Crosetta (ampio parcheggio quota) 1156 m.
Punto di Partenza:
Casera Crosetta (ampio parcheggio quota) 1156 m.
Dislivello:
1082 m.
Dislivello
complessivo: 1170 m.
Distanza
percorsa in Km: 9 km.
Quota minima
partenza: 1156 m.
Quota
massima raggiunta: 2207 m.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia:
CAII 933.
Tempo
percorrenza totale: 5 ORE escludendo le soste. (3 ore in salita, 2 in discesa)
Fonti
d’acqua: Solo alla partenza, una bellissima fonte.
Attrezzature
: Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco 012
Periodo
consigliato: Tutto l’anno, visto che è un luogo amato anche dai chi professa lo
sci-alpinismo.
Condizioni
del sentiero: Ottimo e ben segnato.
Data: 25
giugno 2016.
Data: 25
giugno 2016.
Relazione.
Crep Nudo,
storia di un sogno che si è avverato.
L’idea dell’escursione
nasce così per caso. L’ho scelta tra le sessanta cime che ho programmato. Da
tempo ammiro la sua bellissima mole, bianca, luminosa e poderosa, che domina a
meridione la Val Cellina, impossibile superare il lago di Barcis senza rimanerne
incantati. Le sue pareti appaiono accessibili solo ad alpinisti esperti. Come
posso andare lassù? Semplice! Dall‘Alpago, in Veneto, meraviglioso territorio,
dove le grandi cime sono più gentili e accessibili. Studiato il percorso decido
di partire presto, molto prima rispetto al solito. Alle prime ore di luce sono
in vista del Lago di Santa Croce, le barche immobili sull’acqua mi danno quel
senso di pace, un invito a lasciarmi andare. Entro nel territorio dell’Alpago, popolato
da piccoli paesini e borghi caratteristici. In lontananza scorgo il versante
settentrionale della catena montuosa che da Cima Manera si spinge fino al Col
Nudo. Attraverso le piccole frazioni, fino a imboccare la forestale che mi
porta alla casera di Crosetta (cartelli indicatori lungo la strada).
Giunto davanti al caratteristico edificio (chiuso)
posteggio l’auto nell’ampio parcheggio, preparandomi per la nuova avventura.
Sono emozionato, ed è la prima uscita annuale senza il fido Magritte, la
temperatura altissima di queste giornate mi ha consigliato di proteggerlo. Zaino
in spalle e sogni al seguito si parte.
Superata la piccola fonte adiacente la parete del casolare mi ritrovo
davanti una carrareccia chiusa al transito da una sbarra. L’aggiro,
soffermandomi davanti ad un cartello con indicazioni, tra cui il Crep Nudo. La
vecchia carrareccia inerbita risale i primi metri di dislivello e dopo una
serie di tornanti raggiunge l’ampio prato dominato dalle costruzioni in disuso
della malga del Venal. L’ambiente è sontuoso, l’anfiteatro dolomitico mi
incanta con le sue cime. Da sinistra a destra: il monte Teverone, le Rocce
Bianche, il Crepon, dietro di esso nascosto il Crep Nudo e infine il monte
Venal. Un’ampia conca selvaggia aspetta il mio passo, riprendo il cammino seguendo
le indicazioni per il Crep Nudo. Superate le strutture della casera Venal, un
piccolo sentiero ben battuto con pendenza moderata si inoltra nel bosco di
larici. Dopo un centinaio di metri di dislivello, mi fermo davanti ad una felce,
penso a quanto sia antica questa specie di pianta. Improvvisamente il mio
pensiero vola dal passato remoto al passato recente. Dove ho lasciato il
portafoglio? Mi è caduto durante il pagamento del pedaggio autostradale, oppure
l’ho smarrito in auto? Al dubbio si risponde con la costatazione. Dopo aver
controllato lo zaino, accertandomi che l’oggetto smarrito non era al seguito,
procedo di corsa verso il punto di partenza. Per essere velocissimo lascio lo
zaino dentro una fontana secca nei pressi della casera di Venal, quindi giù più
veloce della luce. Lungo la discesa incontro escursionisti in salita. Saluto in
corsa e penso. <<Vuoi vedere che dicono che sono uno skialper!?>>.
In pochi
minuti raggiungo l’auto, costato che avevo dimenticato l’oggetto sul sedile
anteriore, lo prendo e ritorno di nuovo
sul sentiero! Per fortuna sono giovane, pensa se avevo superato i cinquanta
anni! Il passo in risalita anche se lesto è affaticato, ci vorrebbe una flebo,
cadenzo i passi e recupero il fiato. Presto raggiungo lo zaino abbandonato, mi
rimetto in marcia. L’operazione del recupero mi è costata una mezz’oretta di
ritardo sulla tabella di marcia, pensavo peggio. Non aumento il passo, procedendo
con calma. Tra i larici il sentiero si biforca. A sinistra prosegue per il Crep
Nudo (sentiero CAI numerato 933), a destra (sentiero CAI numerato 934) conduce
alla forcella del Venal. Proseguo per il 933, risalendo un erboso pendio e il
successivo ghiaione che rasenta le dirupate pareti del Capel Piccolo. In breve
ritrovo al disopra di un salto, l’ambiente appare sempre più selvaggio, popolato
da grossi massi. Tra i mughi e zolle erbose raggiungo la base di un ghiaione
che risalgo per labili tracce fino alla sommità. Nel frattempo le nuvole si
sono abbassate, una fitta nebbia nasconde la sommità del Crep Nudo. I segni Cai
mi portano alla destra del catino sommitale, severo ambiente carsico. Mi fermo,
distratto da qualcosa che si muove tra le nebbie, ombre? no! Sono uomini, i due
escursionisti incontrati in precedenza. Non so se scendono o salgono, sì,
salgono, per poi sparire avvolti dalle nuvole. Seguo diligentemente i segni: percorso
tortuoso tra doline e inghiottitoi, dove ancora persistono piccoli nevai. La
traccia con andamento circolare supera alcune asperità raggiugendo il tratto
terminale sotto le bancate rocciose del Crep. Adagiato alla parete è posto il cartello
CAI con indicazioni e i segni blu dell’alta via numero 7. A destra si prosegue
per la forcella del Venal, a sinistra per il monte Crepon, la mia meta è
meridione. Senza fatica con delicati passaggi tra le rocce risalgo gli ultimi
strati che mi dividono dalla cima. Pochi metri prima di raggiungere la vetta il
cielo si apre, e come spesso mi accade, la montagna mi dà il suo benvenuto. Sembra
una fantasia quella che ho appena descritto, ma le foto lo possono
testimoniare. Tutto questo mi commuove. Come se lei (la montagna) mi dicesse
<< Vedi Beppe, non mollare mai, non aver paura, e tutto ti sarà
ricompensato.>>
Pochi metri
ancora di attesa, il sole illumina le bianche rocce, finalmente intravedo una
croce, e sì, ora sono in vetta, una macchia rossa, anzi due, sono i due
escursionisti incontrati in precedenza. Li saluto, mi presento. Ascolto il loro
chiaro accento veneto, chiedo la provenienza, sono veneziani. Sorrido: un
palermitano e due veneziani, gente nata vicino al mare dove si potevano
incontrare? Su in cima! Sulle dolomiti. E questo è il paradossale senso della
libertà, la magia della montagna che non ha confini alcuni. In breve istauriamo
un lungo dialogo, come se fossimo amici da tanto tempo, spaziando di
argomentazioni: politica, fotografia, montagna. Aspettando che il cielo si
riapra, durante la conversazione consumo il pasto, recuperando energie. Come
avevo immaginato i nuovi amici al primo incontro presso la casera Venal, mi avevano
scambiato per uno skialper. Visto come correvo hanno temuto per i miei
menischi. Spiegando l’accaduto, ci siamo fatti una risata. Dopo una decina di
minuti il cielo si apriva, svelando i tesori della valle del Cellino e dell’Alpago.
Lo sguardo incantato volava lontano fino al Duranno, oltre le nuvole non
concedevano. Mi preparavo al rientro, stavolta in compagnia. Scendendo di tanto
in tanto ci si fermava, perché la montagna si divertiva a far la dispettosa.
Stavolta il cielo era sgombro di nuvole, e lei vanitosa (la grande signora) si
divertiva a posare per noi. La temperatura aumentava velocemente, rendendo
l’ambiente afoso. Si scendeva per il sentiero dell’andata, distratti dalla
chiacchera che toccava vari argomenti, tra i quali cito “gli usi e i costumi dei
popoli incontrati nella nostra vita”. Raggiunta la casera di Venal ci si
complimentava per la riuscita dell’escursione. Togliendo la sosta avevamo
impiegato meno di cinque ore, mezz‘ora meno del previsto; forse siamo stati favoriti
dalla temperatura mite dalla mattinata. Si proseguiva per l’ultimo tratto dell’escursione
con la soddisfazione di chi ha raggiunto la meta. La fonte d’acqua davanti il
casolare appariva ora lussureggiante come un ‘oasi. Ad essa ci abbandonavamo,
dissetandoci e rinfrescandoci. Raggiunta l’auto si procedeva allo scambio di
mail e ad un arrivederci affidato al caso. Per il rientro cambiavo itinerario,
decidendo di prendere la statale che passando da Longarone mi porta alla valle
del Vajont, e successivamente alla valle del Cellino e infine a casa. Un giro
lunghetto, ma paradisiaco, che stracolma il cuore di emozioni. Chilometro dopo
chilometro, cima dopo cima, borgo dopo borgo, rivivendo vecchie e recenti
esperienze. Ma soprattutto amando fino all’ultimo respiro la montagna, il mio
Dio.
Il vostro
“Forestiero Nomade.
Malfa.