Monte
La Palazza 2210 m. dalla Val Zemola
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti Friulane -Gruppo del Duranno-
Avvicinamento:
Montereale-Barcis-Cimolais-Passo San Osvaldo-Erto- Rotabile per la val Zemola.
Punto
di Partenza: Parcheggio quota 1179, pochi metri sotto il rifugio Casera Mela.
Tempi
di marcia escludendo le soste: 6 ore.
Dislivello
complessivo in salita: 1100.
Distanza
percorsa in Km: 12,770 m.
Quota
minima partenza: 1179
Quota
massima raggiunta: 2210
Condizioni
Meteo: Eccellenti.
Segnavia:
Cartelli con indicazioni, piccoli bolli rossi. Paletti e ometti.
Fonti
d’acqua: Si- Fontana presso la cava di marmo
Difficoltà:
Escursionisti esperti.
Attrezzature:
Nessuna
Cartografia
consigliata. Tabacco 021.
Data:
31 ottobre 2020
Periodo
consigliato: da maggio a novembre
Il
vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
In
questo periodo storico di grigiore collettivo, dove i grandi sentimenti svaniscono
per la paura degli avversi biologici, una giornata di sole in piena libertà è
come una mano santa. L’escursione che si prospetta è davvero spettacolare,
quindi vago nella memoria alla ricerca di una montagna che mi doni luce e poesia,
e il primo nome che mi viene fuori è La Palazza della Val Zemola.
Con
il dislivello ci siamo, mille metri o poco più, ma soprattutto c’è il tanto
camminare che mi attrae, questo mi aiuterà molto nella riflessione.
La
stagione autunnale offrirà un intenso colore al passo, liberando emozioni ormai
sopite. Con la mia compagna e l’inossidabile fido, raggiungiamo nella prima
mattinata la Val Cimoliana, il fantastico quartetto di roccia che ci si
prospetta all’orizzonte è fantastico, tra le cime individuo il monte Lodina, il
Duranno, la Cima dei Frati e la Cima dei Preti, davvero un gradito biglietto da
visita per chi ama la montagna.
Dopo
aver valicato il passo di Sant’Osvaldo ci immergiamo nella bruma del Vajont, da
dove sbuca solitaria Cima Mora (monte Toc) con il suo tragico segno. Svoltiamo per
il borgo di Erto, percorrendo l’aerea e ardita carrareccia (scavata dai
minatori) che incide il versante meridionale del monte Borgà e Buscada. Devo
ammettere, che adesso, questo tratto di strada, mi fa meno impressione di
quando, anni fa, lo percorsi con i tornanti ghiacciati e senza l’ausilio delle
barriere di protezione. Giunti nell’ampio spiazzo che precede la Casera di Mela,
ci approntiamo e una volta allestiti, partiamo per la nostra meta.
Il
primo tratto da percorrere è la lunghissima strada forestale, tempo fa serviva
la Cava di Buscada. Camminiamo per chilometri in questa lunga arteria, immersa
nella vegetazione autunnale, dove i colori s’infiammano appena vengono sfiorati
dai raggi del sole. Spesso ci fermiamo incantati a fotografare la strabiliante cornice
pittorica ideata dagli elementi naturali. Al centro del dipinto spicca sua
maestà il Duranno, rivestito da un morbido mantello bianco con striature rosate.
Ai margini è contornato dall’oro luminoso dei larici e da quello antico dei
faggi. La cornice dell’opera è data dalla comunione tra il cobalto del cielo
autunnale e lo smeraldo degli aghiformi.
Siamo
rapiti e incantati da tale visione, sognavo di ammirare questo capolavoro e ora
ce lo godiamo, passo dopo passo e da molteplici punti di vista.
Poco
dopo aver superato le strutture della teleferica che portano al Rifugio
Buscada, veniamo raggiunti da una coppia di simpatici veneti, ci faranno
compagnia sino a dopo la galleria che precede il rifugio Buscada, dopodiché le
nostre strade si divideranno.
Superata
la galleria (un’autentica cella frigorifera), proseguiamo per la cava, dove
enormi blocchi di pietra sono a testimonianza delle antiche fatiche dei
minatori.
Davanti a noi, in alto e in direzione nord,
ammiriamo i dorati e ripidi prati della creta del monte Buscada. La carrareccia,
segnata da sparuti bolli rossi, scema poco sopra alcuni tornanti, oltre il
sentiero si spegne. Delle sgradevoli e inutili scritte rosse deturpano la
roccia, indicando un percorso che di suo è ben marcato. A ridosso della cresta
inizia la parte più affascinante del viaggio. Seguendo la traccia ci inoltriamo
tra i mughi, superando facili ostacoli che somigliano a giochi per bimbi, come:
sgusciare dentro un foro creato da un vecchio larice, o camminare in bilico tra
gli scivolosi e aguzzi sassi, finché, guidati da totem naturali (due rinsecchiti
tronchi di larice) raggiungiamo il morbido crinale del Buscada.
La
Palazza non è ancora in vista, percorriamo l’aureo tappeto sommitale, e ci
fermiamo di tanto in tanto, ad ammirare l’enorme mole in controluce del Monte
Borgà. Presso una forcellina la visione
si apre sulle dolomiti bellunesi, alcune vette sono imbiancate dalla prima neve
autunnale. Indaghiamo con lo sguardo sospeso e meravigliato. Molti dei nostri
recenti trascorsi escursionistici sono stati tra quei rilievi, il Pelmo,
dominando la scena, attira la nostra attenzione.
Proseguiamo,
valicando a meridione il ripido tratto di prato, finché, raggiunto un
insellamento, siamo a ridosso della vetta del Buscada e al cospetto del La
Palazza.
Non
è stato tanto agevole, per noi, raggiungere in data odierna, questo pulpito
panoramico, personalmente ho avvertito stanchezza, sicuramente dovuta a un calo
di sali a causa dell’eccessiva sudorazione. Giovanna, malgrado il persistere di
dolori acuti alle cervicali, stoicamente non si è arresa, e con grande forza di
volontà si è portata su. Adesso la visione della meta ci galvanizza e rifiorisce
dai mali, siamo a pochi metri dalla meta, e come in un rito sacro, ci
prepariamo. Giovanna lascia lo zaino presso un masso, dopodiché, scendiamo di
pochi metri sino all’intaglio, dove il corpo del Buscada si congiunge con quello
del La Palazza. Tramite un’esile traccia, che poco prima pareva inesistente, risaliamo
la china tra zolle e roccette, finché avvistiamo la croce di vetta. Un nutrito
gruppo di escursionisti in discesa ci lascia la cima.
Al
seguito ho portato un contenitore in plastica con relativo libro di vetta e
penna. Mentre mi organizzo nel trovagli
una degna collocazione tra i sassi dell’ometto, Giovanna si distende sul prato
sommitale, godendosi il caldo sole autunnale assieme al prode Magritte.
Nel
frattempo che opero mi guardo intorno, e sono rapito dalla quiete, il cielo terso
e la temperatura mite creano un’atmosfera sognante, abbiamo tutto il tempo che
vogliamo per goderci il meritato riposo. Dalla cima la vista spazia all’infinito,
i colori tenui dell’azzurra roccia mi illudono che sto contemplando un oceano
dolomitico, e le creste tra loro si amalgamano, le dolomiti friulane e le bellunesi
sono un tutt’uno, uno spettacolo con pochi eguali al mondo. Un’escursione in
montagna davvero riuscita, patema e premura oggi non sono nostre compagne.
Il
tempo fluisce lentamente, e con pari ritmo ci apprestiamo a lasciare la vetta. Con prudenza scendiamo il primo tratto, e
recuperato lo zaino, effettuiamo una breve visita alla vetta del Buscada (dieci
metri a destra dal sentiero), per poi proseguire per il lungo rientro.
Si procede
senza fretta, fermandoci spesso a commentare episodi della vita, o contemplare
particolari circostanti. Nell’ammirare le fronde degli alberi tinte
dall’autunno ci identifichiamo in quei bambini che dentro una cartoleria
possono scegliere solo ed esclusivamente una scatola di pastelli tra mille. Non
credevo che la felicità si mostrasse in queste sembianze dandoci queste
emozioni. I colori ci sono tutti, i
verdi smeraldi dei mughi e degli abeti, il giallo oro dei larici, i bruni delle
foglie rinsecchite dei faggi, il rosso carminio dei sorbi degli uccellatori,
l’azzurro del cielo, il viola delle cime lontane, il bianco delle rocce, il
grigio di alcune cortecce. Che grande artista è la Signora Natura, adopera i
primari e i complementari come nessun altro. Nessuna tinta è fuori posto,
stiamo vivendo un sogno. Un artista scrisse che l’autunno è la primavera
dell’inverno. Io penso che l’autunno sia la stagione degli esseri umani intorno
alla mezza età. Possediamo tutti i
colori, ma non sono più vivaci come quando eravamo giovani. Ora sono più caldi,
saturi, l’esperienza ha trasformato la felicità in sapienza. E ben sapendo che
presto verrà l’inverno, indossiamo ogni giorno gli abiti più belli, illudendoci
di vivere una seconda giovinezza, finché l’ultima foglia non cadrà. Raggiungiamo
l’auto, poco prima che il Duranno si tinga di un rosso fuoco. Felici e
soddisfatti, lasciamo la valle che ci ha inebriato con i colori autunnali e scaldato
con la mite temperatura che precede l’Estate di san Martino. Tra i desolati tornanti
di Erto ha termine la nostra visita di cortesia al La Palazza, autentico
gioiello della Val di Zemola.
Il
forestiero Nomade.
Malfa
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