Monte
Cornetto 1792 m. da San. Martino (Erto)
Note
tecniche. Dolomiti D’Oltre Piave
Localizzazione:
Alpi Orientali-Prealpi Venete. Gruppo del Col Nudo –Cavallo.
Avvicinamento:
Montereale di Val Cellino-Barcis-Cimolais- Passo di Sant'Osvaldo. In direzione
Erto per circa 2 km, sulla sinistra l’imbocco di una stradicciola secondaria
con indicazioni per la località Pineda. (m 762, piccolo spiazzo per il
parcheggio).
Dislivello:
1030 m.
Dislivello complessivo: 1063 m.
Distanza
percorsa in Km: 8 chilometri.
Quota minima
partenza: 762 m.
Quota
massima raggiunta: 1792 m.
Tempi di
percorrenza. Cinque ore escluse le soste.
In: Coppia
Tipologia Escursione: Escursionistica.
Difficoltà: Escursionistiche.
Segnavia:
CAI 903.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 021
Periodo
consigliato: maggio -novembre
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato
Fonti d’acqua:
Si, in alta quota (fontana).
Data: 07
novembre 2020
Il mese di
novembre di questo strano anno ci regala deliziose giornate dal sapore
primaverile. È surreale la visione delle montagne spoglie di neve. Di questi
tempi la libertà di movimento è un dono, e per questo non lo sprechiamo,
scegliendo di percorrere remoti e affascinanti sentieri.
Questa volta la
scelta cade sul Monte Cornetto, bella montagna posta proprio all’imbocco della
valle del Vajont. Non è la prima volta che ascendo il monte, e tra i vividi ricordi
mi viene in mente la salita per il ripidissimo versante meridionale, la magia
dei prati sommitali e la vetta spoglia di qualsiasi simbologia. Si arriva nelle prime ore del mattino nella
valle del Vajont, dopo aver varcato il passo di Sant’Osvaldo tramite la strada
statale 251. Lasciamo l’auto presso un ampio spazio ai margini di un tornante,
proprio pochi metri prima della località San Martino. Siamo avvolti da una
gelida bruma, ci prepariamo velocemente e scendiamo per la stradina asfaltata
che attraversa tramite un ponte il torrente Tuara. Pochi metri dopo, sulla
sinistra, una scalinata segna l’inizio della nostra avventura (cartelli
esplicativi del sentiero CAI 903).
La breve scaletta
ci porta sino a un traverso, reso insidioso dall’erba bagnata di brina, con
cautela giungiamo alla cappella di S. Antonio, dove confluisce il sentiero CAI
901. Una tabella con segno di divieto ci avvisa che è stato dismesso. Il nostro
percorso continua per il sentiero 903, sin da subito è ripidissimo, e tale
rimarrà la sua peculiarità per circa 900 metri di dislivello.
Tra stretti tornanti
e brevi passi su roccette, percorriamo questo faticoso tratto, che a volte ci elargisce
brevi tregue con ampi e incantevoli scorci panoramici sulla valle del Vajont.
La temperatura è mite, ci mettiamo in canotta, illusi che la lunga calda stagione
continui. Raggiunti alcuni ruderi ci fermiamo e dilettiamo a esplorare, non
abbiamo fretta, vogliamo godere tutto della montagna, dal gelido masso alla
piccola foglia di carpino illuminata dal sole.
Il sentiero
prosegue ripido lungo la dorsale, dove, sovente, il paesaggio si apre anche
sulle cime circostanti, tra cui domina il bellissimo monte Borgà. La valle del Vajont è stupenda, in passato ho frequentato
quasi tutte le sue elevazioni, e ripercorrerle mi dà enorme soddisfazione.
La mia compagna oggi
è in forma, nessuno dei due avverte la fatica del tratto ripido e usufruiamo del
sole, quando esso filtra tra le fronde della vegetazione.
Magritte è un veterano, fiero e indomito,
procede come un’ombra silenziosa. A
volte odo delle voci provenire dall’alto, sicuramente ne è artefice la comitiva
che ci precede. All’inizio del cammino
ho trovato per terra un paio di occhiali da vista, li ho raccolti e riposti nel
taschino superiore dello zaino, tra poco sono sicuro che troverò il loro legittimo
proprietario. Infatti, in un tratto dove la ripidezza del sentiero concede una
tregua, scorgiamo una numerosa compagine veneta in sosta per riprendere fiato.
Ci salutiamo, e istaurata la conversazione, domando se qualcuno ha smarrito gli
occhiali. Come immaginavo, ho trovato il proprietario, così l’avventura degli occhiali
da vista finisce felicemente.
Con la comitiva d’oltre
Piave si instaura un divertente dialogo, vengo riconosciuto per i miei scritti
sul web dal più attempato del gruppo, altri mi chiedono delucidazioni sul
percorso avvenire. Date delle risposte, e tranquillizzati alcuni, si prosegue,
stavolta assieme per un breve tratto, sino alla casera Cornetto.
Durante il
cammino, lungo il sentiero (sempre ripido e adombrato da una faggeta) abbiamo
modo di trovare della legna di faggio già tagliata e pronta per essere trasportata
dai viandanti alla casera (una scritta su un cartello è un chiaro ed esplicito
invito a essere misericordiosi).
Raggiunti gli
ampi prati sommitali che ospitano i ruderi di una stalla, la visuale si apre
sulle dolomiti friulane, davvero magnifiche e immense. Si rimane rapiti da
cotanta bellezza. Per prima avvisto le bianche pareti del monte Vacalizza, e da
sola questa visione vale la fatica finora affrontata. Percorriamo in piano i
morbidi prati, sino a raggiungere la casera Cornetto, adagiamo in un cantuccio
la legna raccolta ed entriamo nel riparo. Una visita all’interno della casera è
doverosa, i colori, gli oggetti e l’ambiente nel suo complesso, richiamano la
classica baita. Sembra abitata, come se il malgaro fosse appena uscito, anche
se il caminetto è palesemente spento, fantasticando, odo lo scoppiettio della
legna arsa da un timido fuoco. La magia del luogo cattura lo spirito. Poste le
firme sul libro dei visitatori, Giovanna e io, si prosegue per il sentiero che
porta alla cima.
Presso una antica
fontana, viriamo a sinistra, pestando la traccia che aggira il versante orientale
della vetta del Cornetto. Dopo alcune centinaia di metri siamo in vista del
Pian Grant, un ampio insellamento posto tra la cima del Cornetto e la cima di
Tolo. Uno stato di felicità ci cattura, dopo il ripido sentiero ai margini
della faggeta, questa traccia dolce si perde nelle morbide praterie color oro, la
visione onirica ci ammalia. Procediamo lentamente verso un luccicare bianco, è una
fontana posta così in alto che pare che tramuti il cielo azzurro in sgorgo d’acqua. Sul capitello centrale che sormonta la fonte è
posta una targa con un inciso in friulano, traduco: “Fontana d’acqua del
mio paese.
Non c’è acqua più
fresca che al mio paese.
Fontana di rustico
amore.”
Sono i versi di Pier Paolo Pasolini, scritti in un friulano,
anzi in quell’idioma friulano dolcemente intriso di veneto che si parla sulla
riva destra del Tagliamento. Osservo lo
zampillare dell’acqua e le parole dolci del poeta svolazzano nella mia mente
come farfalle in un oceano di fiori. Proseguiamo per la cima, in piena libertà,
senza alcuna traccia. Riconosco
nell’elevazione a destra la nostra meta. Strane buche simili a doline appaiono
sul prato, forse in un tempo remoto venivano adoperate per raccogliere la neve.
Puntiamo agli eroici larici e faggi che cingono come una fortezza la sommità
del monte. Il pendio erboso è assai erto, zizzaghiamo per faticare meno, finché,
a ridosso della vetta, seguiamo i passaggi più logici. Ecco, ci siamo, pochi
metri ancora, ed ecco la piccola cima, purtroppo affollata da numerosi bipedi,
come se essa fosse un’area balneare. Tutta la poesia colta pochi istanti prima svanisce
in un solo istante, anche perché i visitatori, circa una ventina, si sono
letteralmente spalmati sulla breve superfice.
Anche la pietra che rappresenta il punto più alto è ricoperta
da magliette poste lì ad asciugare. Mi rendo conto che in montagna non esistono
regole e nemmeno un codice di buon comportamento. Ma questo atteggiamento (purtroppo
di molti) decalca il detto” Chi tardi arriva, male alloggia”. Anche se non sta
scritto in nessun luogo, la regola del rispetto reciproco dovrebbe essere assimilata
da tutti. Ma non mi dilungo, di solito, preferisco ambienti selvaggi, e quindi
ho risolto da me il quesito.
Dopo aver effettuato alcune foto, ecco sopraggiungere la
comitiva veneta. In vetta si è formata un ‘autentica movida. Non posto le foto,
se no rischiamo la galera in questo periodo di Covid 19, per fortuna
l’assemblamento dura poco, le due comitive lasciano la cima, e noi, Giovanna,
io e Magritte rimaniamo soli, a consumare il meritato pasto e a goderci il panorama.
Finalmente possiamo ammirare il bellissimo paesaggio. Sulla cima
del Cornetto non sono presenti simbologie artificiali, nessuna croce e ne
ometti, proprio nulla, solo erba e massi, in cui non puoi edificare nulla,
insomma, la montagna allo stato puro.
Presso un masso ho scovato un pertugio dove lasciare un
barattolino con il simbolo del gruppo. Passata una buona mezzoretta, decidiamo
di rientrare a valle. Scendiamo dal monte con la nostra proverbiale calma, dedicando
lunghe pause e molto tempo alla conversazione. Finché, al calare del sole,
raggiungiamo l’auto. Mentre ci cambiamo, prima di partire, osserviamo
all’orizzonte la sagoma in controluce del monte Toc, esso, appare, come un
vulcano, la magia della sera cattura il nostro pensiero. Una piacevole
sensazione di beatitudine accompagnata dal torpore provocato dalla stanchezza. Un
altro giorno sta per finire, serberemo nel profondo dell’animo il ricordo di
una cima conquistata e una nuova storia da raccontare.
Il Forestiero
Nomade.
Malfa.
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