Monte Dosaip (2062 m)
Note
tecniche
Localizzazione:
Dolomiti Friulane (Prealpi carniche)
Avvicinamento:
Montereale Valcellina - Barcis - Claut. Seguire le indicazioni per Lesis, seguendo una serie di tornanti fino al Pian
de Cea (914 m).
Parcheggio per l’auto.
Parcheggio per l’auto.
Dislivello:
1200 m.
Dislivello complessivo: 1200 m.
Distanza
percorsa in Km: 20 km.
Quota minima
partenza:
Quota
massima raggiunta: 2062 m.
Tempi di
percorrenza. Sei ore senza le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: E.E.
Segnavia: CAI 376-398.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 021; 028.
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato fino alla casera Caserata.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Data: 17
agosto 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione
tecnica.
Da Claut per
rotabile a Pian di Cea e quindi attraversando l’immenso ghiaione delle “Grave
di Gere” si passa vicino la Casera Podestine (1015 mt.). Si continua in
direzione nord risalendo il Ciol di Soraus per circa cento metri, lo si
attraversa ad est dove si trova una tabella con le indicazioni. Si risale il
pendio boschivo per sentiero CAI 398, e successivamente per sentiero quasi
pianeggiante si passa a mezza costa sotto le pareti rocciose delle Caserine
Basse. Si esce brevemente in un ampio canalone detritico, lo si attraversa
orizzontalmente raggiugendo nuovamente il boschetto che sbuca in un prato che
sovrasta la Casera Caserata. Pochi metri sopra sempre per prati si raggiunge la
forcella Caserata (1516 mt.), si segue una debole traccia verso sud,
inoltrandosi nel bosco di conifere fino ad uscire sui prati sommitali presso i
ruderi di casera Dosaip. Per deboli tracce e radi segni si raggiunge il Cadin
del Dosaip, e sempre seguendo le deboli tracce (bolli rossi) si raggiunge per
traverso il fondo del vallone. Di seguito si risale il ripido pendio fino alla
cresta, pochi metri a sinistra la vetta (2062 mt.). Per il ritorno stesso
itinerario dell’andata.
Racconto
dell’escursione.
Avevo un
conto in sospeso con la solitaria e selvaggia cima del Dosaip. Quattro anni fa,
nel mese di giugno fece la capricciosa, bloccandomi sul cadin, con lo scroscio
di un temporale. Decisi allora di rinviare la conquista della cima a data da
destinarsi. Recentemente sto dedicando le mie escursioni alle dolomiti
friulane, soprattutto alle cime minori, che sono le più selvagge. Il Dosaip, è
una delle montagne che vedo dalla frazione dove abito. Essa dalla pianura mi
appare come un’alta bastionata, rettangolare, più rassicurante delle vicine
Caserine, e non lascia immaginare i dolci prati sommitali che si percorrono da
occidente a oriente per arrivare al suo vertice. Non attira gli amanti dei nomi
altosonanti, né gli opposti amanti dell’eccessivo ravanamento, è una cima
ideale per un giorno di profonda riflessione, da affrontarsi in solitudine,
senza compagni di viaggio, né coniugi o amanti; ma in solitudine, al massimo
con il fedele compagno a quattro zampe. È la montagna ideale per non incontrare
nessuno, tranne la propria anima, e io di questo ho bisogno, quindi stavolta,
caro Dosaip, saldiamo i conti, cima deve essere e cima sarà.
Giovedì
scorso, all’albeggiare, sono nei pressi di Claut, avevo dimenticato di quanto
fosse grande il paesello. Per strada incrocio i volti rudi e forti dei
montanari, gente tosta, che vive di pane e fatica. Risalgo in auto la rotabile
fino ai piani di Cea, curvoni super stretti, che mi portano al margine dell’infinito
piano di ghiaie. In mia compagnia c’è il mio fedele e silenzioso compagno di
viaggio, riconosce il luogo. Una volta pronti, zaino in spalle e sogni al
seguito si parte. Stavolta conosco il tragitto, devo percorrere il chilometrico
letto del torrente, chiamato le “Greve da Giere”; esso è infinito, sia in
lunghezza che in ampiezza. Alcuni automezzi lo percorrono sulla sinistra
orografica, io punto alla destra, cavalcando le ghiaie, e mirando ai radi
ometti. Un deserto di sassi, adombrato dalle boschive pendici del monte Pinzat
alla mia destra e monte Ciampon alla mia sinistra. A nord il sole illumina le
bianche pareti della Fratta del Barbin e della Cresta della Meda. Vai
viandante, cammina, la strada è lunga e tortuosa. Dopo un po’, anzi più di un
po’, raggiungo la destra orografica dove sbocca il Ciol della Prendera, per
alcuni tratti cammino su uno sterrato. Gli ometti sono surreali, di forme e
materiali diversi, compresa una base di tronco di larice, non vi è limite alla
fantasia. I segni artificiali mi guidano alla radura presso la casera
Podestine, il suono dello scorrere del torrente si miscela a quello delle
motoseghe, è come ascoltare nel medesimo istante musica Rock e classica. I
laboriosi boscaioli liberano il passo, e il viandante procede verso l’imbocco
del Cadin di San Francesco. Una serie di ometti diligentemente in fila come
soldatini mi guidano all’attacco del sentiero CAI 398, qui termina il mio
viaggio orizzontale. Un ‘ultimo sguardo al torrente e si sale, conquisto
rapidamente quota dentro il bosco misto di conifere e faggi, dapprima fitto,
poi meno. Presso un pulpito panoramico la visuale si apre sulla forcella delle
Pregoiane, i giganti di pietra: Meda, Bortolusc e Gasparin dominano la scena. Seguo
il sentiero marcato, viaggiando dentro il bosco, accarezzando una rara selce
illuminata dai raggi solari filtrati attraverso le fronde. Il sentiero mi dà un
attimo di sosta, si fa quasi orizzontale e si apre a meridione, lasciandomi
ammirare la mole del Pinzat. la vegetazione, rada, sparisce, rapita dal
grigiore del teatro detritico delle pendici delle Caserine Basse. Attraverso il
macereto con facilità, lo ricordavo peggio, o forse ricordo un’altra
escursione. Tra sassi, massi e detriti raggiungo di nuovo la vegetazione, aggirando
il costone, che con dolcezza, mi porta presso la forcella Caserata. Il sole
illumina le fronde di verde smeraldo, è una luce aulica, che mi da gioia, e
allo stesso tempo mi presenta la meta, il Dosaip, non più lontano. Tra i prati
mi trovo poco sopra la bellissima baita che fa da ricovero, chiamata casera
Caserata. Per non arrivare tardi all’appuntamento con la meta rinuncio ben
volentieri a una visita di cortesia al manufatto, la farò dopo, se vorrò! Sempre
tra i prati, una traccia di camoscio mi porta in forcella, e la stessa mi
invita ad entrare nel bosco di larici. Radi segni mi portano a sud, seguo la
lunga diagonale che con modesta pendenza mi porta ai prati sommitali. Ora,
sopra di me, solo il cielo azzurro, lì, poco distante, le pareti delle Caserine
Basse, e tutto intorno erba alta. La traccia è esigua, essa giunge nei pressi
dei ruderi della casera Dosaip; il suo scheletro somiglia a quello di una
balena arenata. Finita la pacchia, se così si può dire, ora inizia il selvaggio
estremo, e chi non ha orientamento fa bene a ritornare a casa. Seguo nell’erba
qualcosa che sembra calpestato, ma potrebbe non essere, e miro a oriente, fino
a raggiungere l’anticamera del Cadin del Dosaip. Ci siamo, un gigantesco
anfiteatro di origine glaciale, si rivela al mio stupore. Segni rossi mi invitano
a scendere di pochi metri e compiere un lungo traverso sulla destra del catino.
Presto, rapito dalla bellezza selvaggia del luogo perdo la traccia, ma miro
alla lontana cresta. Non mi esimo da una caduta sui ripidi ghiaioni, ahimè,
dolorosa per il fondoschiena, ma mi rialzo e proseguo. Ritrovo i bolli, mi
abbasso verso di essi, ora l’invisibile traccia è comoda. La seguo fino a
raggiungere il ripido erboso sotto la cresta. Per balze erbose e facili
roccette, risalgo il pendio, fino ad avvistare una sorprendente croce, pensavo
di trovare solo un corposo ometto. Raggiunta la cresta, pochi metri a destra, e
sono in cima. La bellezza del paesaggio
è incommensurabile, inganna. Paesaggio verde e morbido, creste che si
susseguono e invitano a cavalcarle, mentre basta spostarsi di pochi metri a
oriente e scoprire che sono sul bordo di una rupe che precipita verticalmente
di centinaia di metri sulla valle del Silisia. Magritte, il mio compagno di
viaggio si concede il suo tradizionale pisolino di vetta, io procedo alle varie
operazioni, tra le quali quella di imbandire la tavola. Operazione proibitiva,
uno sciame di moschette rompe i …ioni. La temperatura all’esterno è di 35
gradi, ma sono costretto a indossare il pile affinché gli insetti di vetta, non
disturbano il quieto vivere. Mi allontano dalla croce, ed essi spariscono,
qualcuno oltre a istallare il simbolo sacro, ha pure allevato questi fastidiosi
guerrieri con ali, affinché proteggano la sacralità del sito. È stato più
facile raggiungere la cima che firmare il libro di vetta, contenuto in un
barattolo. Ho osservato il numero dei visitatori, essi sono regolari, a visita
quindicinale, e sicuramente su prenotazione. Ci rido su, e mi concedo alla
meditazione, e come non potrei. Finalmente vedo casa dalla cima, la val Tramontina,
e il meraviglioso arco di montagne delle dolomiti bellunesi, e soprattutto, che
silenzio! Che pace! Ci vivrei, aggrottandomi come un eremita, e osserverei da
quassù i pazzi che laggiù vivono come formiche. Il tempo sottratto per visitare
le casere, lo dedico alla vetta. Laggiù, sull’altra cima, di pochi metri più
bassa, due corvi reali fanno un corso di spiritualità; il maestro sta
sull’ometto ed esegue le procedure di iniziazione, mentre l’allievo
diligentemente non si perde una mossa. La natura insegna, sta a noi conoscere
il suo linguaggio. Nuvoloni in lontananza mi annunciano che la festa sta per
finire, raccolgo i materiali e con il fido procedo a ritroso. Raggiunto il
bordo del catino osservo per l’ultima volta questo paradiso perduto e riprendo
il cammino. Presso la casera Caserata, gocce di pioggia mi bagnano il volto, mi
proteggo e rinuncio alla visita, temo il peggio, la pioggia aumenta, e poi,
come d’incanto svanisce. Raggiunto il greto dell’immenso torrente, il cielo si
apre, e il suono melodico dello scorrere delle acque si fonde con il rock delle
motoseghe, sono rientrato nel mondo. Mi aspettano ancora quattro chilometri di
sassi, che daranno la botta finale ai miei consumati scarponi. Mancano pochi
metri all’auto, pochi, mi guardo indietro, ora il cielo è azzurro, le rocce
bianche, e il mio cuore è gonfio di tristezza. Non ho conquistato nessuna cima
lassù, ma ho solo spezzato per un attimo le catene, che ora sono riapparse.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.