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venerdì 4 novembre 2016

Picco di Mezzodì dai Laghi di Fusine.

 
 

                                 Picco di Mezzodì dai laghi di Fusine.                                               

 Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Giulie: Gruppo del Mangart

Avvicinamento: Gemona-Pontebba—Tarvisio-Seguire indicazioni per Le Fusine-Arrivati ai laghi, lasciare l’auto poco dopo il lago superiore, ampio parcheggio delimitato da divieto di transito.

Punto di Partenza: Parcheggio poco dopo il lago, quota 941 m.

Dislivello: 1100 m.

Dislivello complessivo: 1140 m.

Distanza percorsa in Km: 10 km.

Quota minima partenza:

Quota massima raggiunta: 2063 m.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione. Selvaggia-

Difficoltà: Escursionisti esperti.

Segnavia: CAI 515-514.

Tempo percorrenza totale: 6,5 ORE.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Si, corda presso paretina articolata.

Cartografia consigliata. Tabacco 019.

Periodo consigliato: luglio settembre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.

Data: 30 ottobre 2016.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 
Relazione.

L’autunno quest’anno ci regala un altro periodo splendido, il Friuli negli ultimi anni ha un clima mediterraneo e le belle giornate assolate stimolano le escursioni in lungo e in largo. La mia attenzione è concentrata sulle cime intorno al tarvisiano, tra queste ho in mente il Picco di Mezzodì, la cima più alta sulla destra della conca dei Laghi di Fusine. Il giorno prima dell’escursione ho fatto un giro con la mogliettina a Citta Fiera, e sono rimasto colpito dalle migliaia di volti che ho incontrato. Così inizio a fantasticare, la mente vola lontana nel tempo, il periodo della scuola media, quando il mio libro di narrativa era “Le Confessioni d’un Italiano” di Ippolito Nievo, scrittore ed eroe garibaldino. Il romanzo mi portava allora ad esplorare un territorio che da 32 anni vivo giornalmente. Guardando i volti della gente, scruto e disegno i loro lineamenti, le loro possibili origini. Certamente discendenti dai Longobardi, dai Romani, dai Celti, dagli Austriaci. Come nascosto dentro una scatola e guardando da un foro, li osservo, studio, compiendo così con la fantasia un salto nel passato, immaginando scene fantastiche. L’indomani mattina sono pronto per la nuova avventura, ancora non ho deciso quale sia la meta finale, non è un problema, la deciderò strada facendo. Esco da casa che comincia ad albeggiare, presso San Daniele osservo il cielo all’orizzonte, è rosso fuoco, il sole sta nascendo, illuminando i monti. Presto raggiungo Gemona, e il mio pensiero ritorna ai friulani, a quel lontano 1976, al miracolo che sono riusciti a fare durante la ricostruzione post terremoto. Osservo da fuori dentro un bar ancora da aprire, una anziana signora intenta giorno dopo giorno a preparare tutto, per ricevere i clienti abitudinari o qualche nuova presenza, tutto questo avviene mentre il cielo si tinge di azzurro. Avverto una sensazione di felicità, mi aspetta una nuova avventura in questa bellissima terra, popolata da gente per bene. Può sembrare un pensiero puerile, ma è stata una fortuna aver vissuto in questa terra per 32 anni. Rido, sono innamorato di un popolo? No! Sono riconoscente, ho ricevuto tanto e sento il dovere di ricambiare. Con pensieri positivi mi avvio verso Tarvisio, fermandomi solo verso il ponte presso Moggio, entusiasta di un’alba rosata che colora il mio spirito. Procedo verso il confine scrutando le cime dei monti, fino ad arrivare alla cittadina di confine. Seguendo i cartelli per le Fusine, in breve giungo nella valle dominata dal monte Mangart. La temperatura è fresca, zaino in spalle e sogni al seguito mi avvio per la nuova avventura. Subito dopo il parcheggio, con direzione nord mi dirigo verso la nuova meta, poco dopo un cartello mi invita a seguire la carrareccia numerata sentiero CAI 514 che mi porta sulla destra del bosco di conifere, aprendosi in un ampio prato una volta adibito a pascolo. La visione è spettacolare, in un colpo d’occhio riesco ad abbracciare le cime che cingono la valle, mi emoziona e allo stesso tempo mi dà brio, saltello, corro e urlo alla valle la mia felicità. La traccia compie una larga ansa dirigendosi sempre a occidente in direzione del bosco, passando da prima presso un vecchio tronco scolpito a totem e successivamente alla destra della casera dell’Alpe del Lago. Un cartello semidistrutto mi invita a proseguire a destra seguendo il sentiero numerato 514, che si inerpica nel fitto bosco per comoda mulattiera. Con una serie di tornanti attraversando in salita tra monumentali conifere conquisto la cresta, da dove si apre la visione sulla futura meta, nascosta tra le fronde autunnali del bosco.

Il sentiero si biforca: quello numerato 514 procede a meridione verso il bosco di Fontanafredda, il 515 in direzione del Picco di Mezzodì, cavalcando la bella e boschiva cresta. Il sentiero con pendenza moderata (solo in alcuni passaggi leggermente erto) attraversa uno spettacolare lariceto e si porta alla base della cuspide rocciosa del monte. Con una serie di piccole anse risalgo un ghiaione non particolarmente difficoltoso, fino a conquistare la base di una parete rocciosa, il tratto chiave dell’escursione. Lascio i bastoncini, e aiutandomi con una corda fissa, supero i pochi metri di parete articolata (I° grado) fino a raggiungere il suo vertice e sempre aiutato dalla corda supero un traverso (placca rocciosa) che personalmente ritengo più insidioso della paretina precedente a causa del terriccio. Superato l’ostacolo, tra rocce supero un piccolo intaglio leggermente esposto. Il sentiero prosegue a settentrione cambiando numerazione in 519 (alpinistico). La mia meta è a meridione, un marcato canalino tra balze erbose e rocce con facili passaggi mi porta al vertice, dove aprendosi un varco tra i mughi piega a destra fino a conquistare la cima, materializzata da una grande croce in metallo con annesso contenitore per libro di vetta (quota 2063 metri). La cima è ampia, parte di essa procede perdendo pochi metri di quota a meridione, (corposo ometto). Il paesaggio che si può ammirare dalla vetta è a dir poco strabiliante: il vicino Mangart, le Ponze, il Montasio e il Fuart. Il sole mi scalda e mi fa compagnia, per un breve lasso di tempo rimango ad oziare. Fatto il pieno di emozioni mi appresto al rientro. Il tempo risicato di permanenza in vetta non è dovuto alla situazione meteo che dire eccellente è poco generoso, ma all’imbrunire del giorno che a causa dell’ora legale sopraggiunge nel primo pomeriggio. Con lo spirito pieno di emozioni abbandono la cima, nel frattempo sopraggiunge un escursionista solitario sloveno, breve comunicazione in inglese, augurandoci a vicenda una buona prosecuzione. Ripreso il cammino supero il tratto infido, e recupero i bastoncini, proseguendo il cammino verso l’auto, ammirando i larici che accarezzati dal vento spargono nell’aria gli aghi dorati. La luce solare rende caldi i colori autunnali, è uno spettacolo degno di un Dio poter ammirare tanta magnificenza. I laghi delle Fusine assumono un colore blu lapislazzuli, dando quel tocco in più al bellissimo paesaggio dipinto dalla natura. Con beatitudine proseguo lungo la discesa, discorrendo con gli alberi, unici miei amici di viaggio. Si parla di tutto: libri, vita di coppia, eros, e perché no? Ci si prende anche in giro. Raggiunto il sottostante pascolo presso la Casera del Lago, incontro i primi bipedi. Con l’avvicinarmi ai laghi aumenta la folla, saluto sempre per primo, molti non rispondono, evidentemente anche i sordomuti amano questa valle. Raggiunta l’auto mi cambio e consumo il pasto, per poi avviarmi al rientro. Intorno al lago c’è una moltitudine di esseri umani e automezzi, rimango imbottigliato in un ingorgo. Chiedo informazioni a dei passanti quale sia la causa di tale inconveniente, mi rispondono che due tizi stanno litigando per il diritto di precedenza, e a loro avviso arriveranno alle mani. Il mio volto emette un sorriso amaro e penso: << Come è lontana la “Montagna”, la pace, se solo sapessero cosa li aspetta, se avessero il coraggio di abbandonare le loro auto luccicanti e procedere a piedi verso il bosco o la cima.>> Questi turisti della domenica mi rattristano tanto, sono ineducati, vuoti. La mia solitudine è anche un fuggire lontano da costoro. Abbandonando la valle il mio pensiero volge all’escursionista solitario incontrato presso la cima, al suo sorriso e la bella faccia, sincera. Confrontandolo con questi nevrastenici attaccabrighe la sua figura assume le sembianze di un santo che ha capito che gli “…ismi”, specie quelli cattivi, bisogna lasciarli a casa.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.










































































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