Monte
Monticello m 1362. da Moggio alto
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche-Gruppo -Sernio-Grauzaria
Avvicinamento:
Statale Pontebbana-Moggio Udinese-Deviazione per l’Abbazia- Indicazioni per il
piccolo borgo di Travasans.
Punto di
Partenza: Borgo di Travasans.
Dislivello:
1008 m.
Dislivello
complessivo: 1048 m.
Distanza
percorsa in Km: 14 km.
Quota minima
partenza: 356 m.
Quota
massima raggiunta: 1362 m.
In:
Solitaria.
Tipologia Escursione. Escursionista
Panoramica.
Difficoltà: Escursionistica.
Segnavia: CAI
421-
Tempo
percorrenza totale: 5 ore escluse le soste.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna
Cartografia
consigliata. Tabacco 018.
Periodo
consigliato: Da marzo a novembre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Data: 12
novembre 2016.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
Relazione.
C‘era una
volta… e c’è ancora una bellissima valle, Val Apua. Questo bellissimo luogo è
un magnifico scrigno, un’isola che non c’è, o meglio “l’isola del tesoro”. I
suoi gioielli sono i monti che la circondano, sicuramente tra i più affascinati
del Friuli, ed è impossibile resistere al suo fascino. La piccola cittadina di
Moggio è il custode, posta alle porte di essa come guardiano. Tra le sue
magnificenze cito le cime del gruppo Sernio-Grauzaria e l’entusiasmante “Alta Via”
che dal Pisimoni (Cavaliere indomito e possente) con alpinistici saliscendi
raggiunge le lontane e dolomitiche Crete di Gleris. Spaziare con lo sguardo nel
suo mondo è come entrare in una ricca e fornita pasticceria. Negli anni trascorsi
ho fatto le cime più rinomate su entrambi i versanti della valle del Torrente
Apua, per poi scoprire con la maturità le cosiddette “cime minori”, che poi
minori non lo sono. Questa primavera affrontando il Cimadors dal borgo
Grauzaria, conversai con un vallegiano che mi indicò tra le possibili cime da
fare in zona “il Monticello”. Osservai il monte indicato, lo snobbai
giudicandolo erroneamente piccolo e boscoso. Ripensando ad una massima che cita
“solo gli idioti non cambiano parere “, ho cambiato presto opinione. Osservando
la morfologia del territorio da una mappa, sono rimasto colpito dalla
semplicità, così ho deciso di vivere l’escursione come in una favola. Il giorno
dell’escursione come mia abitudine parto in solitaria in piena notte. Per
strada non incontro nessuno, giungo nei pressi di Moggio Udinese, imboccando la
deviazione per l’Abbazia, e seguendo le indicazioni per Travasans, attraverso
il borgo sostando presso un prato. Spengo l’auto e coprendomi con un Plaid
aspetto le prime luci del giorno. Nel frattempo il sonno ha il sopravvento, trasportandomi
in un bellissimo sogno dove cavalieri erranti conquistavano manieri, liberando
principesse da orchi cattivi. Poche ore dopo una fioca luce giunge dentro
l’abitacolo, mi accorgo che ho dimenticato due termos con the caldo a casa, pazienza,
si parte lo stesso. Indosso gli scarponi, azzero i dati del GPS e con lo zaino
stracolmo di sogni parto per la nuova avventura. Nella tasca destra della giacca
a vento tengo la mappa, ma non ne farò uso. Il sentiero parte subito dopo le
ultime case del borgo, un segno CAI con numerazione 421 mi indica che sono
sulla pista giusta, si tratta di una carrareccia asfaltata. Proseguo
lentamente, il meteo è dalla mia, mi gusterò l’escursione attimo per attimo,
albero per albero, pigna per pigna. Osservo gli alberi senza fogliame, l’autunno
volge al termine, lasciando la platea all’inverno. La carrareccia risale il
bosco sul versante occidentale delle “Crete da la Mont”, mi fermo davanti un
cartello CAI, noto una farfallina dormiente sulla numerazione, la osservo e
penso ad un episodio avvenuto a casa la mattina precedente, che di seguito
descrivo. Appena svegliatomi mi avvio in cucina per fare colazione, accendo la
macchinetta del caffè e do un’occhiata sul tavolo, dove scorgo un piccolo opuscoletto
per piccini. Lo prendo e lo sfoglio, sulla copertina è illustrato un bruco color
verde, il titolo è “La storia del Bruco e della Farfalla”, ignoravo questa
fiaba, mi avvio in bagno leggendola: << C’era una volta un piccolo bruco
che camminava verso una grande montagna. Lungo la strada incontrò una
coccinella che gli chiese “dove vai”? Il bruco rispose “ieri ho fatto un sogno
nel quale mi trovavo sulla cima di una montagna e da lì potevo vedere tutta la
valle. Oggi voglio realizzare il mio sogno”. Sorpresa, la coccinella gli disse:
“devi essere pazzo! Tu sei solo un piccolo bruco. Per te, un sassolino sarà una
montagna, una pozzanghera sarà un mare e ogni cespuglio sarà una barriera
impossibile da oltrepassare”. Ma il piccolo bruco era già lontano e non la
sentì. La stessa cosa accadde con la rana, la talpa e il topo. Tutti gli
consigliarono di fermarsi, dicendo: “non arriverai mai…!”. Ma il piccolo bruco,
determinato e coraggioso, continuò a camminare. Stremato e senza forze, ad un
tratto decise di fermarsi a riposare. Con un ultimo sforzo si preparò un posto
per dormire quella notte. “Così mi sentirò meglio” disse il piccolo bruco. Ma
morì. Per giorni, gli animali si avvicinarono a vedere i suoi resti. Lì c’era
l’animale più pazzo del mondo, lì c’era l’ultimo rifugio di un piccolo bruco
morto per aver inseguito un sogno. All’improvviso però quel bocciolo
grigiastro, si ruppe. Comparvero due occhioni, due antenne e due bellissime ali
dai colori stupendi. Era una farfalla! Gli animali restarono senza parole,
meravigliati da quella stupenda creatura che in un istante prese il volo e
raggiunse la cima della montagna. Il sogno del bruco, diventato farfalla, si
realizzò. Il sogno per il quale aveva vissuto, per il quale aveva lottato, era
finalmente diventato realtà.>> Finito di leggere la fiaba, una lacrima mi
solcò il volto. Questa piccola farfallina sulla tabella CAI è un caso? Penso al
bruco e idealmente lo porterò con me in cima. La carrareccia inoltrandosi nel
bosco di pino nero assume l’aspetto di un sentiero, il percorso è cosparso di
pigne, ne raccolgo una, la pendenza è dolce e dà sollievo allo spirito. Molte
conifere sono rinsecchite, sembrano fantasmi di un remoto passato, mi diletta
osservarne le forme. Nel grigio cielo noto delle leggere tinte azzurre, si apre.
Il bel sentiero come un gioco mi mostra dei simboli che sta a me interpretare:
Una catena spezzata, un’ancona senza simbolo, tronchi d’albero con forme
antropomorfe, tutto mi comunica felicità e malinconia nel medesimo istante, la
stessa emozione che provo quando sono libero da tutto e di tutti. Come un
fantasma vago per il bosco, sentendo la presenza di quello che fu. Il vecchio
sentiero ora si biforca in due direzioni, a destra prosegue verso il borgo
Badiuz, a sinistra passando davanti a un rudere (Stavolo Borghi) procede per il
Monticello, invertendo la direzione di marcia a sud. Il piccolo stavolo di Borghi
ha le dimensioni di una capanna. Una piccola pentola di colore azzurro è posta
fuori dall’uscio, sicuramente per abbeverare i quadrupedi di passaggio. La
magia del tempo passato accompagna i miei passi. Subito dopo il rudere inizia
il tratto più impegnativo dell’escursione, un lunghissimo ed esposto traverso
reso infido dalla neve che attraversa il versante orientale del monte. Ricalco
le orme di chi mi ha preceduto, concentrandomi passo dopo passo concentrato al
massimo, una scivolata sarebbe fatale. Superato il tratto impegnativo e immerso
nella pineta raggiungo la mulattiera di guerra e il sentiero si biforca: il 421
che prenderò al ritorno prosegue a meridione, per la cima proseguo a
settentrione risalendo la mulattiera che con una ansa mi porta a tagliare la
cresta. Raggiunta quest’ultima noto un passaggio tra le zolle erbe, lo percorro
e mi ritrovo a cavalcare la cresta, un’emozione unica. La neve ha ricoperto il
monte dai mille metri in su, ma non è spessa, sarà profonda cinque centimetri,
ma quel tanto che ti rende comodo e felpato il passo. Io da sempre adoro le
creste, perché mi illudo di essere un funambolo che percorre in equilibrio una fune
invisibile. La crestina del monticello è deliziosa. Con una serie di su e giù guadagno quota,
sopra di me domina il cielo azzurro, in lontananza ammiro finalmente le
meraviglie della Val Apua. La Grauzaria mi dà il buongiorno, dietro di essa il
Sernio è ancora dormiente, e mi par di udire come al solito il suo brontolio.
Alla mia destra la fila di betulle che danno il nome alla cresta, da esse osservo
la bellissima alta via citata a inizio racconto, tutta imbiancata, regale, straordinariamente
irresistibile nella sua versione invernale. Proseguo verso la cima cavalcando
la crestina, dietro ogni cimetta ne segue un'altra, l’emozione è tanta e
sostituisce la fatica con la beatitudine. Finalmente scorgo l’ultima
elevazione, e dopo una croce che si apre sul meraviglioso paesaggio, il piccolo
bruco sta realizzando il suo sogno, aprendo e librando le ali. Sto volando, mi
giro intorno, mi rigiro, è immensamente straordinario questo pulpito, è una
regale reggia da dove poter ammirare il paradiso. Sì, il paradiso, non potevo
chiedere di più, sono ben cosciente che non è la cima più alta e nobile del
gruppo. Per questo l’adoro, avendo intuito il caleidoscopio di emozioni che mi sta
donando. Sono accaldato, cambio a volo la maglietta, tira un vento gelido,
avevo altri propositi, voluttuosi, che oggi declino. Mi copro ed estraggo dallo
zaino la borsa viveri, mi posto su una zolla asciutta, concedendomi il pasto. Nel
frattempo ammiro le cime circostanti, descrivere questo momento a parole è
impossibile, bisogna viverlo. Sosto una buona mezzoretta, i ricordi volano con
la fantasia. Ora sono un Re e non ho nessuna voglia di abdicare e ritornare
alla vita quotidiana. L’altra parte di me, quella che vive una vita inutile in
un mondo inutile a fare cose inutili mi sveglia dal sogno e mi invita a essere
realista, proseguendo l’anello escursionistico. Riprendo lo zaino abbandonando la cima, seguo
la traccia che mi porta a marcare la mulattiera che scende sul versante
occidentale del monte. Il sentiero con una lunga serie di tornanti, prima passa
davanti ad una galleria artificiale e successivamente perdendo quota raggiunge
la cresta presso quota 1250 m. Ripreso il sentiero dell’andata supero il bivio
procedendo per sentiero CAI 421 sul versante occidentale, con una lunga serie
di tornanti nel bosco, e sempre per comoda mulattiera raggiungo la forca
materializzata a quota 922 metri da una piccola ancona. Breve sosta, incontro
dei ciclisti in mountain bike che risalgono il sentiero. Dalla piccola cappella
votiva si potrebbe accorciare l’escursione raggiungendo in breve il borgo di
Travasans scendendo per un sentiero a oriente, ma seguo l’invito del 421 a
compiere l’intero anello. Il percorso risulta molto lungo e poco remunerativo,
a parte un bellissimo pulpito panoramico da dove potere ammira i monti circostanti
e gli Stavoli. Quasi tutto il sentiero percorre il pendio boschivo del monte
Cesariis, perdendo quota fino a raggiungere la strada asfaltata. Sulla rotabile
al primo bivio a sinistra scendo lungo la diramazione fino a scorgere un
ruscello a destra, imbocco il sentiero che guada il Rio Travasans riportandomi
al borgo omonimo, il punto di partenza dove è parcheggiata l’auto. Ammiro dal
basso la figura del Monticello, che illuminato dal sole mi appare dolce e candido.
Mi cambio, mi accorgo di aver perso le ali, mi appronto per la ripartenza.
Riprendo la guida dell’auto ripercorrendo la strada dell’andata, pochi metri
dopo sosto a motore acceso presso un curvone. Sono sotto l’abbazia, e dietro di
essa scorgo il maestoso Pisimoni. Meraviglia, imprimo nella mente quest’ultima
immagine, prima di proseguire verso “La civiltà”. La farfalla ritorna bruco, in
un mondo popolato anche da vermi.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.