Monte Grifone 822
metri.
Note tecniche.
Localizzazione: Monti del circondario palermtano
Avvicinamento: Partenza dal centro storico- Via
Maqueda- Via Oreto- Chiavelli-Santa Maria del Gesù-Via
Falsomiele-Via Barresi inizio sentiero.
Punto di Partenza: Centro
storico quota 10 m.
Dislivello: 812 m.
Dislivello complessivo: 870 m.
Distanza percorsa in Km: 24 km.
Quota minima partenza: 10 m.
Quota massima raggiunta: 822 m.
Difficoltà: escursionisti Esperti,
Segnavia: Nessuno
Tempo percorrenza totale: 5 ore escluse le soste.
Fonti d’acqua: Nessuna
Attrezzature : Nessuna
Cartografia consigliata. Una vecchia mappa IGM.
Periodo consigliato: Tutto L’anno.
Condizioni del sentiero: Scarsamente curato il poco sentiero
trovato.
Data: 29 giugno 2016.
Relazione.
Da bimbo
desideravo salire su questa bellissima Montagna. Ne ignoravo il nome. Ignoravo anche
cosa fosse una montagna, le sue difficoltà, se fosse frequentabile. Dal sussidiario
imparavo a rispettare questo gigante di pietra, ma la mia vita si svolgeva in
città, tra i palazzi, vicino al mare, giocando tra le auto. Reminiscenze che mi
portano a lontani ricordi, non del tutto svaniti: mio padre che non amava il
mare ci portava alle pendici del monte per raccogliere l’origano sperando
nell’entusiasmo della famiglia, gli bastava scrutare il nostro sguardo per
leggerne le imprecazioni. L’adolescenza e la naturale crisi esistenziale mi
portavano a fuggire nel grembo della montagna, in compagnia del mio cane. Ricordo,
al ritorno dalla piccola fuga mi sentivo felice e carico. Da quarantenne dopo l’aver
smesso di fumare ho scoperto il piacere del camminare tra i colli, e
successivamente i monti fino ad arrivare alle cime più alte. Tornando
all’attualità, sono arrivato ieri nella terra di Sicilia, con il pensiero fisso
al monte Grifone (così chiamato poiché fino agli inizi del XX secolo, tra le rupi della cima nidificava una colonia di grifoni).
Stamane, benché
stanco dal viaggio, alle cinque sono pronto per l’avventura per la montagna che
ha cullato i miei sogni di bimbo.
Parto da Palermo,
centro storico con zaino e sogni al seguito, l’entusiasmo mi si legge in volto.
La cima del monte Grifone è ben visibile dal centro della città. Intraprendo la
centralissima via Maqueda, direzione nord-est, osservando da lontano il profilo
della meta. Questa via ininterrottamente taglia la citta in senso orizzontale. È
tanto l’entusiasmo che non aspetto l’autobus, procedo a piedi. la montagna è
sempre più vicina, cammino velocemente con il naso all’insù, così studio un
percorso. Nel frattempo l’olfatto e la vista creano una miscela magica, creando
un mondo onirico, odori che accendono nella mente lontani ricordi, osservo la
mia ombra e ne vedo due: una lunga e massiccia, di un uomo maturo che è rimasto
bimbo; l’altra di un ragazzino che vuol diventare uomo, sognando un mondo
migliore per dimenticare i dolori di un ‘infanzia triste. Le due ombre tenendosi
per mano procedono verso le falde del monte. Sono commosso, trattengo a stento
le lacrime, i primi raggi del sole scaldano le mie emozioni. Le ultime case
della città cedono il passo all’autostrada che attraverso prudentemente. Una
borgata dal sapore antico mi attende “Santa Maria del Gesù”, cammino per i
stretti vicoli, mi fermo davanti ad un fornaio. Gli odori che vengono dal
laboratorio sono infiniti, il buon pane fresco, i dolci. Compro del pane morbido
con zucchero(Mille-Foglie) da consumare durante l’escursione. Il titolare dell’esercizio
(nativo del borgo), notando il mio aspetto da escursionista e saputo del mio
obiettivo istaura una piacevole conversazione. Al termine si congedava
offrendomi in dono un pacchetto di brioche, avevo dimenticato che in questa
regione l’ospitalità è sacra. Raggiunta la via Barresi inizio la scalata al monte.
Premetto che non avendo trovato nessuna relazione mi sono studiato l’ipotetico
percorso da una vecchia mappa IGM, quindi confido nel mio intuito ed esperienza.
La via Barresi (ripidissima) sin dal primo tratto è asfaltata, ai suoi lati una
serie di lussureggianti ville che sfoggiano fioriture dai mille colori. Guadagnando
quota la strada ora assume l’aspetto di forestale con muri perimetrali di
campagna e ficodindia che ne contornano il perimetro. Do uno sguardo alla
città, il frastuono degli autoveicoli è sostituito da un silenzio irreale. La carrareccia si inoltra in un bosco di
ulivi, la pendenza è decisa, comincio a sentire caldo, procedo lentamente, con
una serie di tornati raggiungo la località Ferro Vecchio e il suo culmine “Il
Pizzo di Ferro Vecchio” baluardo roccioso alto 300 metri. Una sella inerbita mi
collega dal pizzo al corpo principale del monte. I colori della vegetazione
variano dal giallo alle terre. L’azzurro del cielo mirabile complementare crea
un’armonia cromatica degna di un pittore, a completare tale magia gli odori:
quello del finocchio selvatico, della menta e dell’origano. Sono inebriato,
rapito, circondato dal verde smeraldo della Conca d’Oro. L’azzurro del cielo e
del mare si sposano, sono in estasi. Sogno! La cima è ancora lontana, in
lontananza ne intravedo la vetta, proseguo. Supero una rudimentale recinzione,
la carrareccia scompare in un prato d’erba presso un pulpito panoramico. Non ci
sono più tracce, nessuna, neanche quella dei cacciatori, sono ora immerso nel
selvaggio, penso sul da farsi, osservo il territorio, decido di effettuare una
lunghissima diagonale che procedendo verso il punto topografico
più alto mi avvicini possibilmente alla vetta. A parole sembra facile, nella
realtà si rivela avventuroso. Procedendo a vista nella linea immaginaria
effettuo una lunga diagonale, tra zolle d’erba, massi, sperando di non
disturbare nessun rettile in vacanza. Risalgo il ripido e assolato pendio erboso, la frescura e l’ombra sono una pura
chimera. Così facendo guadagno molti metri in dislivello, portandomi quasi
sotto cresta. Per un attimo mi assale una strana stanchezza, mi sento sfossato.
Mi fermo all’ombra di un grosso masso,
devo aver
preso un colpo di sole. Respiro lentamente, consumo due caramelline, tiro giù
lo zaino, dopo una decina di minuti riprendo il cammino, devo aver avuto un
calo di zuccheri, provvidenziali le caramelle. Supero un'altra staccionata,
sono quasi in cresta, ecco! la cima è vicina, dall’alto domina l’atro versante,
l’adrenalina mi fa passare di colpo la fatica. Ultimi metri tra le rocce e ripetitori,
con non poca fantasia cancello le antipatiche strutture ricetrasmittenti, immaginando
solo la roccia, la vecchia roccia. Questi monti palermitani sono antichi, la
loro forma arrotondata e le basse quote ne è testimonianza. Sono
emozionatissimo, ho raggiunto il vertice di quel monte che da piccolo osservavo
dalla mia stanzetta. Ricordo che avevo sempre il naso all’insù. Un giorno
chiesi a mia madre in regalo per la promozione un telescopio giocattolo.
Ricevutolo, non lo puntai alle stelle, la mia stella era Monte Grifone, i suoi sparuti
alberi da lontano mi sembravano omini. Ora
sono qui, si qui. Sopra questo masso, color bruno- giallo, antico, lambito dai
venti. Tiro fuori dallo zaino i morbidi panini allo zucchero, consumo il magro
pasto ammirando dall’alto il mondo circostante. Divertendomi con il potente
zoom della macchina fotografica a immortalare gli edifici di conoscenza familiare,
tra cui il deposito dei treni, il castello dove nacqui, la scuola elementare
che frequentai, la via dove mi riunivo con la banda di monelli. Osservo da
lontano e penso alla gente che abita la città “i pazzi” si sono folli. Lavorano,
litigano, fanno all’amore, imbrogliano il prossimo o ne sono vittime. E io? Quassù
come lo scemo sulla collina, me ne sto nel mio silenzio, felice come un bimbo,
quel bimbo che un giorno disse << andrò lassù.>>. Sono stato più di
un’ora a rilassarmi, a contemplare, il sole cocente mi invita a rientrare. Rientro
per la “normale”, una carrareccia che da nord porta fin sotto la cima. Il sentiero
tracciato per arrivare in cima lo chiamerò “Sentiero Malfa”, ovvero il sogno di
un bambino.
Scendendo
dalla normale, il versante del monte appena conquistato appare dolce, inerbito
da vegetazione color giallo, dalle bianche rocce cotte al sole, un selvaggio
ambiente che ti fa sentire libero. Attraverso una pineta, è piacevole sentire
la frescura, annusare il caratteristico profumo dei pini marini, l’olfatto è in
estasi. Il suono delle cicale accompagna il mio tragitto. Con una serie di
svolte la carrareccia entra in una stretta valle, le pareti rossastre e nere
dei monti aggiungono mistero e fascino. In antichità sicuramente il sito era frequentato
da briganti, malfattori, l’ideale per sfuggire, eh sì! L’ideale per fuggire. La
valle si apre alla pianura, dall’alto intravedo le prime case, i palazzi, i
quartieri, una sensazione di tristezza mi assale, come se fosse finita la mia
ora di libertà. Odo le grida dei bimbi giocosi ”I picciriddi eccanu vuci,
pirchì iocanu” (i bambini gridano perché giocano).
Tanti anni
fa non ero uno di loro? Giocavo rincorrendo un pallone, e di tanto in tanto con
sguardo stralunato osservavo “A punta ra muntagna” (La cima della montagna). Brevi
Istanti finché una pallonata mi colpiva svegliandomi dal sogno. Ultimi metri
ancora e sono quasi in pianura “la Conca d’Oro” tra le ville immerse negli
agrumeti. Un caleidoscopio di fiori, colori, suoni. Ecco la città, Palemmu
(Palermo) il suo mondo multi-etnico, il caos, i monumenti, e io? Un fantasma
che ritorna a vivere, o un bimbo che diventa adulto.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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