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giovedì 21 marzo 2019

Anello Monte Corda

 
Anello completo per Monte Brusò e lo Zuc di Santins da Tramonti di mezzo.              

Note tecniche. foschia

Localizzazione: Prealpi carniche-Val Tramontina.



Avvicinamento: Buia-San Daniele-Lestans- Meduno-Tamonti di mezzo- Casera Pradileva.

Località di Partenza: Casera Pradileva.



Dislivello: 1000 m.





 Dislivello complessivo: 1500 m.





Distanza percorsa in Km: 20 chilometri.





Quota minima partenza: 370 m.



Quota massima raggiunta: 1309 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: 8 ore con buon allenamento.

In: Gruppo.



 Tipologia Escursione: Ambiente Selvaggio.



Difficoltà:  Escursionisti Esperti con notevole esperienza in ambiente selvaggio e privo di segnalazioni.

Segnavia: Quasi inesistente nella parte iniziale, poi radi segni e ometti, bolli rossi e sentiero CAI nell’ultimo tratto.

Impegno fisico: Alto.

Preparazione tecnica: Media.

Attrezzature: Si.


Croce di vetta: Si.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

Cartografici: IGM Friuli-Venezia Giulia – Tabacco 028.

Bibliografici:

Internet:

Periodo consigliato: Primavera- autunno.

Da evitare da farsi in: Con condizione di sentiero ghiacciato, umido o in presenza di nebbia.

Condizioni del sentiero: Curato e marcato il sentiero CAI.

Fonti d’acqua: Si, presso Palcoda.

Consigliati: Ramponcini da erba, e una notevole riserva di acqua.

Data: 16 marzo 2019

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Racconto:



Dopo l’avventura sul monte Corda, qualcuno ci ha preso gusto, e quindi con un messaggio via what sapp arriva l’invito per dare un seguito con la cresta del Monte Brusò. Rispondo favorevolmente all’invito (il qualcuno è Ivan) con un laconico e perentorio “Ok!”. Della missione farà parte anche il buon Roberto, quindi squadra che vince non si cambia.

L’appuntamento è fissato sotto casa mia (essendo un passaggio obbligato per chi viene da nord-est Friuli), scendo con un minuto di anticipo e trovo già gli amici appisolati:<< Fantastico!>> Penso! Hanno passato sicuramente la notte all’addiaccio. Caricate le mie suppellettili si parte alla volta della Val Tramontina, in poco meno di mezz’ora la raggiungiamo.

 Il cielo è terso, una lieve foschia ovatta la nostra le pendici del monte Brusò, ci dirigiamo in località Pradileva, guidati dalla sapiente guida di Ivan, che ha più volte studiato e ristudiato il percorso. Una volta parcheggiata l’auto al margine della carrareccia, ci approntiamo per l’escursione, entusiasti e vogliosi di aggiungere un’altra perla al nostro palmares.

Ivan, avendo percorso in passato il primo tratto di sentiero, ci conduce con brio, risaliamo il ripido versante esposto al sole, destreggiandoci dentro la vegetazione mista tra pini e noccioli.

Ben presto guadagniamo quota, attraversando in diagonale un tratto esposto e attrezzato per poi sbucare sul primo traguardo, ovvero il pulpito panoramico del monte Brusò.

 Dalla piccola selletta in poi non abbiamo punti di riferimento, scorgiamo solo tracce di camoscio e ne seguiamo le varie direzioni. Per ben due volte risaliamo ripidi e improvabili pendii che portano a forcelle esposte e senza via di uscita; tutto questo comporta un notevole dispendio di energie con accumulo di dislivello, almeno duecento metri. 

Avendo intuito di aver toppato, ristudiamo il percorso, qualcosa ci è sfuggito, quindi rileggiamo più volte l’ottima relazione di Jacopo Verardo. Dopo un’acuta analisi, e aver confrontato mappe e GPS, intuiamo che dobbiamo aggirare lo spigolo del monte Brusò e spostarci sul versante a oriente. Continuiamo l’escursione abbassandoci notevolmente di quota fino a raggiungere la base dello spigolo, dove scorgiamo una traccia marcata che aggirando il costone, ci porta a risalire il versante settentrionale del monte completamente ricoperto da faggi.

La pesta è ben evidente, di seguito si biforca, noi ne seguiamo una ripidissima che ci porta in cresta, altro ravanamento da sommare ai precedenti. I compagni di viaggio mi precedono almeno di un centinaio di metri. Dopo tre settimane di attività per me è dura riprendere l’attività con il solito passo, e un permanente problema al ginocchio sinistro completa il quadro, ma di sicuro non mollo.

Dalla mia posizione  noto un’altra traccia, invito i compagni a seguirmi, essa con una serie di svolte ci porta alla prima cima di oggi, la vetta più occidentale del monte, materializzata da una croce costruita con due pezzi di   guard rail, un’occhiata all’ora, è quasi mezzogiorno, e siamo appena all’inizio dell’avventura.

Dopo la breve sosta  presso la panoramica croce proseguiamo per la vera e propria vetta del Brusò. Ci abbassiamo dal primo rilievo perdendo rapidamente quota, giunti alla forcella intuiamo che a destra una labile traccia ci ipropone un’eventuale via di fuga per gli stavoli di Nincisas. Per ora non pensiamo al rientro, si procede in direzione est, a volte rientrando nella boscaglia (tagli nella vegetazione e brevi segni di passaggio), e spesso in cresta, per questo bellissimo e affascinante percorso.                                                                

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Durante l’ascesa non mancano i momenti di pura poesia, la Val Tramontina vista dall’alto è mirabile, noi miriamo a oriente, e rilievo dopo rilievo speriamo di avvicinarci alla meta. Presso quota 1072 metri ci illudiamo di averla raggiunta, ma l’elevazione piramidale posta davanti non è lo Zuc di Santins, ma l’ante-cima del Monte Brusò, e noi siamo (purtroppo) ancora molto distanti. La stanchezza mi spinge a desistere (mi sento fiacco), ma esortato dagli amici, riprendo il cammino. Cavalchiamo una cresta rocciosa e articolata, ma superabile, e una serie di rilievi che con i vari saliscendi rende snervante la progressione. Fatto trenta si pensa di fare 31, e così con tanta forza di volontà e fatica ci avviamo alla conquista del monte Brusò. La lunga serie di rilievi ci inganna, ma il GPS non mente e ci dimostra che abbiamo solo raggiunto l’ante-cima. 

Decidiamo, visto l’ora (sono le due pomeridiane), di fare la prima sosta per sfamarci, per poi proseguire per il monte Brusò. Ivan dallo zaino tira fuori come per magia la famosa “Pitina”, delizia della valle, accompagnata da un ottimo Cabernet offerto da Roberto, beh! Dove è scritto che sulle cime non si possono allestire baccanali o feste dionisiache, mica stiamo a pettinare le bambole!

 Una volta riprese le energie si riparte, nel frattempo mi sono accorto di aver smarrito lungo il tragitto una bottiglia termica piena d’acqua e un foulard rosso:< la montagna da e la montagna prende. > Penso! I miei compagni di viaggio mi prendono in giro per la scia di oggetti che lascio in giro ogni volta che vado in montagna.

Dopo aver ripreso le forze si riprende il cammino, per un percorso da prima accidentato ma sempre in cresta, destreggiandoci tra affioramenti rocciosi, per poi mantenerci sul versante settentrionale, camminando sempre a fil di cresta.

Dopo un’oretta raggiungiamo la prima delle due cime alte del Brusò (1215 m.), e ancora poche decine di metri ed eccoci sulla seconda, quota 1216 m. La sosta è brevissima, riprendiamo subito il cammino per osservare il proseguo, e successivamente valutare se continuare o rientrare.

Dopo pochi metri notiamo una freccia rossa dipinta su un masso, intuiamo che essa indica una via d’uscita dalla cresta, puntando  a un canalone a meridione, noi                                andiamo avanti, per meglio valutare cosa ci attende.

Ci fermiamo poco prima della lunga via aerea che porta allo Zuc di Santins, le nostre valutazioni del tempo da impiegare per chiudere l’anello discordano. Ivan è ottimista, pensa di chiuderlo in poche ore, io sono un po’ scettico, prevedo che faremo notte, anche per via del mio incedere lento, Roberto si mantiene neutrale, qualsiasi soluzione noi prendiamo gli va bene. Cerco di convincere il gruppo, che è tardi, e camminare di notte non è prudente, malgrado siamo tutti forniti di torce frontali. Si prova a scendere per la via indicata dalla freccia rossa, prima non riusciamo a trovare la freccia stessa, una volta trovata ci abbassiamo di alcuni metri, seguendo dei vistosi bolli rossi, che portano sopra dei paurosi salti. Intuiamo che la via è alpinistica, quindi procediamo a un dietro front, ritornando sui nostri passi. Lo Zuc di Santins ormai è inevitabile, ritornare indietro è impossibile, quindi armati di santa pazienza si prosegue, preparandoci ad affrontare la notte.

Questo episodio ha evidenziato le diverse personalità del gruppo: Ivan è il più temerario e ambizioso, Roberto è aperto a qualsiasi soluzione, mentre io sono quello accorto. Ripreso il cammino per la lunghissima dorsale, mi concedo alle riflessioni, così il tempo mi passa velocemente. I compagni mi precedono di alcune centinaia di metri. io, da palermitano e anche artigliere da vecchia data, quindi anche mezzo sordo, odo il loro parlare in friulano in lontananza come un suono non decifrabile, questo mi permette di isolarmi dal contesto e avvertire il percorso come una avventura solitaria.

La luce è sempre più fiacca, il sole sta per tramontare e i pensieri volano lontano, a quando, da bimbo, per riconquistare la libertà fuggii dal collegio dove ero stato rinchiuso, percorrendo tanti chilometri per i monti che precedono la città di Palermo, quello fu il mio primo approccio con la montagna.

Il sole emette gli ultimi stanchi raggi e la luna si prepara a regnare e illuminare le tenebre, così arrivo alla cima dello Zuc di Santins, mi sistemo i calzettoni dentro gli scarponi, ultima breve pausa, prima della lunga discesa dal ripido pendio fino alla Forchia de Agardala.

Ivan ci precede di poco, intento a scovare i bolli rossi prima che cali la notte. Lungo la vetta dello Zuc di Santins ci attendono ancora dei saliscendi, un vero supplizio per le ginocchia, finché scesi dentro un catino, imbocchiamo a destra un ripido canalino, dove con molta prudenza ci abbassiamo. Con l’oscurità i bolli rossi non si scorgono, ma intuiamo la logica del percorso, e grazie all’esperienza maturata da noi singoli, troviamo la giusta via, che ci porta in basso sino alla forcella, dove seguiamo una traccia che si innesta nei pressi della stalla di Zomenzons (rovine) con il sentiero 831.

Seguire il sentiero CAI non è difficile, dei compagni ormai intravedo solo le ombre che mi precedono, mentre lassù, la luna puttana mi corteggia, una luna seducente, che nel medesimo istante fa la civettuola con tutti i viandanti della notte, ingannandoli nell’elargire i suoi freddi raggi ad ognuno di essi, mentre è palese che si prostituisce per quella manciata di parole che noi umani chiamiamo “poesia”.

La notte amplifica le sensazioni dando corpo ai sentimenti, raggiungiamo la Forchia de Agardala e vestiamo il capo con le torce frontali, stavolta non sono più l’ultimo, mi metto in mezzo, così mantengo il gruppo compatto. Roberto fa da apripista, io che sono lento in mezzo, mentre Ivan (il più giovane del gruppo), chiude. Come è previsto dalla più nobile regola della progressione dei gruppi in montagna, il più forte si mette ultimo per via del minor tempo di recupero di fatica che di solito impiega. È la prima volta che procediamo in zona in notturna, e per Roberto è una prima assoluta. Procediamo velocemente e senza intoppi, fino a raggiungere il sospirato borgo di Palcoda, dove Ivan si libera tutta la sua adrenalina accumulata, percuotendo a più non posso la campana della chiesa. È quasi fatta, ci attende l’ultima salita fino alla forcella che precede l’ultimo tratto di sentiero che porta alla strada forestale.

Poco dopo la sella, si provvede ad allertare il buon Loris, sperando che sia raggiungibile via telefonino, per evitarci l’ultimo tratto su asfalto (letale per le gambe); la fortuna ci assiste, verrà a prenderci e ci darà uno strappo con l’auto sino al nostro automezzo. Gli ultimi metri di sentiero fluiscono serenamente, ci imbarchiamo sull’auto di Loris e raggiungiamo il punto di partenza dove abbiamo lasciato l’auto. Stanchi ma euforici ci approntiamo per la partenza, non prima di aver tranquillizzato i nostri cari a casa con i doverosi messaggi.

L’avventura si conclude in un caffè di Tramonti di Mezzo, con un’ottima birra, siamo soddisfatti. Dopo aver degustato la fresca bionda estratta dal luppolo si riparte per le rispettive abitazioni. Necessitiamo di una doccia calda , che ci allieverà dalle fatiche della giornata, per accompagnarci nell’ultimo e dolce viaggio del giorno, quello verso le braccia di Morfeo.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.





























































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