Anello completo per Monte Brusò e lo Zuc di Santins da
Tramonti di mezzo.
Note tecniche. foschia
Localizzazione: Prealpi carniche-Val Tramontina.
Avvicinamento: Buia-San Daniele-Lestans- Meduno-Tamonti di
mezzo- Casera Pradileva.
Località di Partenza: Casera Pradileva.
Dislivello: 1000 m.
Dislivello
complessivo: 1500 m.
Distanza percorsa in Km: 20 chilometri.
Quota minima partenza: 370 m.
Quota massima raggiunta: 1309 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 8 ore con buon
allenamento.
In: Gruppo.
Tipologia Escursione:
Ambiente Selvaggio.
Difficoltà:
Escursionisti Esperti
con notevole esperienza in ambiente selvaggio e privo di segnalazioni.
Segnavia: Quasi inesistente nella parte iniziale, poi radi
segni e ometti, bolli rossi e sentiero CAI nell’ultimo tratto.
Impegno fisico: Alto.
Preparazione tecnica: Media.
Attrezzature: Si.
Croce di vetta: Si.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli-Venezia Giulia – Tabacco 028.
Bibliografici:
Internet:
Periodo consigliato: Primavera- autunno.
Da evitare da farsi in: Con condizione di sentiero
ghiacciato, umido o in presenza di nebbia.
Condizioni del sentiero: Curato e marcato il sentiero CAI.
Fonti d’acqua: Si, presso Palcoda.
Consigliati: Ramponcini da erba, e una notevole riserva di
acqua.
Data: 16 marzo 2019
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
Dopo l’avventura sul monte Corda, qualcuno ci ha preso
gusto, e quindi con un messaggio via what sapp arriva l’invito per dare un seguito
con la cresta del Monte Brusò. Rispondo favorevolmente all’invito (il qualcuno
è Ivan) con un laconico e perentorio “Ok!”. Della missione farà parte anche il
buon Roberto, quindi squadra che vince non si cambia.
L’appuntamento è fissato sotto casa mia (essendo un
passaggio obbligato per chi viene da nord-est Friuli), scendo con un minuto di
anticipo e trovo già gli amici appisolati:<< Fantastico!>> Penso! Hanno
passato sicuramente la notte all’addiaccio. Caricate le mie suppellettili si
parte alla volta della Val Tramontina, in poco meno di mezz’ora la raggiungiamo.
Il cielo è terso, una
lieve foschia ovatta la nostra le pendici del monte Brusò, ci dirigiamo in
località Pradileva, guidati dalla sapiente guida di Ivan, che ha più volte studiato
e ristudiato il percorso. Una volta parcheggiata l’auto al margine della
carrareccia, ci approntiamo per l’escursione, entusiasti e vogliosi di
aggiungere un’altra perla al nostro palmares.
Ivan, avendo percorso in passato il primo tratto di
sentiero, ci conduce con brio, risaliamo il ripido versante esposto al sole,
destreggiandoci dentro la vegetazione mista tra pini e noccioli.
Ben presto guadagniamo quota, attraversando in diagonale un
tratto esposto e attrezzato per poi sbucare sul primo traguardo, ovvero il
pulpito panoramico del monte Brusò.
Dalla piccola
selletta in poi non abbiamo punti di riferimento, scorgiamo solo tracce di camoscio
e ne seguiamo le varie direzioni. Per ben due volte risaliamo ripidi e
improvabili pendii che portano a forcelle esposte e senza via di uscita; tutto
questo comporta un notevole dispendio di energie con accumulo di dislivello,
almeno duecento metri.
Avendo intuito di aver toppato, ristudiamo il percorso, qualcosa
ci è sfuggito, quindi rileggiamo più volte l’ottima relazione di Jacopo Verardo.
Dopo un’acuta analisi, e aver confrontato mappe e GPS, intuiamo che dobbiamo aggirare
lo spigolo del monte Brusò e spostarci sul versante a oriente. Continuiamo l’escursione
abbassandoci notevolmente di quota fino a raggiungere la base dello spigolo,
dove scorgiamo una traccia marcata che aggirando il costone, ci porta a
risalire il versante settentrionale del monte completamente ricoperto da faggi.
La pesta è ben evidente, di seguito si biforca, noi ne
seguiamo una ripidissima che ci porta in cresta, altro ravanamento da sommare
ai precedenti. I compagni di viaggio mi precedono almeno di un centinaio di
metri. Dopo tre settimane di attività per me è dura riprendere l’attività con
il solito passo, e un permanente problema al ginocchio sinistro completa il
quadro, ma di sicuro non mollo.
Dalla mia posizione noto un’altra traccia, invito i compagni a
seguirmi, essa con una serie di svolte ci porta alla prima cima di oggi, la
vetta più occidentale del monte, materializzata da una croce costruita con due
pezzi di guard rail, un’occhiata all’ora, è quasi
mezzogiorno, e siamo appena all’inizio dell’avventura.
Dopo la breve sosta presso la panoramica croce proseguiamo per la
vera e propria vetta del Brusò. Ci abbassiamo dal primo rilievo perdendo rapidamente
quota, giunti alla forcella intuiamo che a destra una labile traccia ci ipropone
un’eventuale via di fuga per gli stavoli di Nincisas. Per ora non pensiamo al rientro,
si procede in direzione est, a volte rientrando nella boscaglia (tagli nella
vegetazione e brevi segni di passaggio), e spesso in cresta, per questo
bellissimo e affascinante percorso.
Durante
l’ascesa non mancano i momenti di pura poesia, la Val Tramontina vista dall’alto
è mirabile, noi miriamo a oriente, e rilievo dopo rilievo speriamo di
avvicinarci alla meta. Presso quota 1072 metri ci illudiamo di averla raggiunta,
ma l’elevazione piramidale posta davanti non è lo Zuc di Santins, ma l’ante-cima
del Monte Brusò, e noi siamo (purtroppo) ancora molto distanti. La stanchezza
mi spinge a desistere (mi sento fiacco), ma esortato dagli amici, riprendo il
cammino. Cavalchiamo una cresta rocciosa e articolata, ma superabile, e una
serie di rilievi che con i vari saliscendi rende snervante la progressione.
Fatto trenta si pensa di fare 31, e così con tanta forza di volontà e fatica ci
avviamo alla conquista del monte Brusò. La lunga serie di rilievi ci inganna,
ma il GPS non mente e ci dimostra che abbiamo solo raggiunto l’ante-cima.
Decidiamo, visto l’ora (sono le due pomeridiane), di fare la
prima sosta per sfamarci, per poi proseguire per il monte Brusò. Ivan dallo zaino
tira fuori come per magia la famosa “Pitina”, delizia della valle, accompagnata
da un ottimo Cabernet offerto da Roberto, beh! Dove è scritto che sulle cime
non si possono allestire baccanali o feste dionisiache, mica stiamo a pettinare
le bambole!
Una volta riprese le energie
si riparte, nel frattempo mi sono accorto di aver smarrito lungo il tragitto
una bottiglia termica piena d’acqua e un foulard rosso:< la montagna da e la
montagna prende. > Penso! I miei compagni di viaggio mi prendono in giro per
la scia di oggetti che lascio in giro ogni volta che vado in montagna.
Dopo aver ripreso le forze si riprende il cammino, per un
percorso da prima accidentato ma sempre in cresta, destreggiandoci tra
affioramenti rocciosi, per poi mantenerci sul versante settentrionale,
camminando sempre a fil di cresta.
Dopo un’oretta raggiungiamo la prima delle due cime alte del
Brusò (1215 m.), e ancora poche decine di metri ed eccoci sulla seconda, quota
1216 m. La sosta è brevissima, riprendiamo subito il cammino per osservare il
proseguo, e successivamente valutare se continuare o rientrare.
Dopo pochi metri notiamo una freccia rossa dipinta su un
masso, intuiamo che essa indica una via d’uscita dalla cresta, puntando a un canalone a meridione, noi andiamo avanti,
per meglio valutare cosa ci attende.
Ci fermiamo poco prima della lunga via aerea che porta allo Zuc
di Santins, le nostre valutazioni del tempo da impiegare per chiudere l’anello discordano.
Ivan è ottimista, pensa di chiuderlo in poche ore, io sono un po’ scettico,
prevedo che faremo notte, anche per via del mio incedere lento, Roberto si
mantiene neutrale, qualsiasi soluzione noi prendiamo gli va bene. Cerco di
convincere il gruppo, che è tardi, e camminare di notte non è prudente,
malgrado siamo tutti forniti di torce frontali. Si prova a scendere per la via
indicata dalla freccia rossa, prima non riusciamo a trovare la freccia stessa,
una volta trovata ci abbassiamo di alcuni metri, seguendo dei vistosi bolli
rossi, che portano sopra dei paurosi salti. Intuiamo che la via è alpinistica,
quindi procediamo a un dietro front, ritornando sui nostri passi. Lo Zuc di
Santins ormai è inevitabile, ritornare indietro è impossibile, quindi armati di
santa pazienza si prosegue, preparandoci ad affrontare la notte.
Questo episodio ha evidenziato le diverse personalità del gruppo:
Ivan è il più temerario e ambizioso, Roberto è aperto a qualsiasi soluzione,
mentre io sono quello accorto. Ripreso il cammino per la lunghissima dorsale,
mi concedo alle riflessioni, così il tempo mi passa velocemente. I compagni mi
precedono di alcune centinaia di metri. io, da palermitano e anche artigliere da
vecchia data, quindi anche mezzo sordo, odo il loro parlare in friulano in lontananza
come un suono non decifrabile, questo mi permette di isolarmi dal contesto e avvertire
il percorso come una avventura solitaria.
La luce è sempre più fiacca, il sole sta per tramontare e i
pensieri volano lontano, a quando, da bimbo, per riconquistare la libertà
fuggii dal collegio dove ero stato rinchiuso, percorrendo tanti chilometri per
i monti che precedono la città di Palermo, quello fu il mio primo approccio con
la montagna.
Il sole emette gli ultimi stanchi raggi e la luna si prepara
a regnare e illuminare le tenebre, così arrivo alla cima dello Zuc di Santins,
mi sistemo i calzettoni dentro gli scarponi, ultima breve pausa, prima della
lunga discesa dal ripido pendio fino alla Forchia de Agardala.
Ivan ci precede di poco, intento a scovare i bolli rossi prima
che cali la notte. Lungo la vetta dello Zuc di Santins ci attendono ancora dei
saliscendi, un vero supplizio per le ginocchia, finché scesi dentro un catino,
imbocchiamo a destra un ripido canalino, dove con molta prudenza ci abbassiamo.
Con l’oscurità i bolli rossi non si scorgono, ma intuiamo la logica del
percorso, e grazie all’esperienza maturata da noi singoli, troviamo la giusta
via, che ci porta in basso sino alla forcella, dove seguiamo una traccia che si
innesta nei pressi della stalla di Zomenzons (rovine) con il sentiero 831.
Seguire il sentiero CAI non è difficile, dei compagni ormai intravedo
solo le ombre che mi precedono, mentre lassù, la luna puttana mi corteggia, una
luna seducente, che nel medesimo istante fa la civettuola con tutti i viandanti
della notte, ingannandoli nell’elargire i suoi freddi raggi ad ognuno di essi,
mentre è palese che si prostituisce per quella manciata di parole che noi umani
chiamiamo “poesia”.
La notte amplifica le sensazioni dando corpo ai sentimenti,
raggiungiamo la Forchia de Agardala e vestiamo il capo con le torce frontali,
stavolta non sono più l’ultimo, mi metto in mezzo, così mantengo il gruppo
compatto. Roberto fa da apripista, io che sono lento in mezzo, mentre Ivan (il
più giovane del gruppo), chiude. Come è previsto dalla più nobile regola della
progressione dei gruppi in montagna, il più forte si mette ultimo per via del
minor tempo di recupero di fatica che di solito impiega. È la prima volta che
procediamo in zona in notturna, e per Roberto è una prima assoluta. Procediamo
velocemente e senza intoppi, fino a raggiungere il sospirato borgo di Palcoda, dove
Ivan si libera tutta la sua adrenalina accumulata, percuotendo a più non posso
la campana della chiesa. È quasi fatta, ci attende l’ultima salita fino alla
forcella che precede l’ultimo tratto di sentiero che porta alla strada
forestale.
Poco dopo la sella, si provvede ad allertare il buon Loris,
sperando che sia raggiungibile via telefonino, per evitarci l’ultimo tratto su
asfalto (letale per le gambe); la fortuna ci assiste, verrà a prenderci e ci
darà uno strappo con l’auto sino al nostro automezzo. Gli ultimi metri di
sentiero fluiscono serenamente, ci imbarchiamo sull’auto di Loris e raggiungiamo
il punto di partenza dove abbiamo lasciato l’auto. Stanchi ma euforici ci
approntiamo per la partenza, non prima di aver tranquillizzato i nostri cari a
casa con i doverosi messaggi.
L’avventura si conclude in un caffè di Tramonti di Mezzo,
con un’ottima birra, siamo soddisfatti. Dopo aver degustato la fresca bionda estratta
dal luppolo si riparte per le rispettive abitazioni. Necessitiamo di una doccia
calda , che ci allieverà dalle fatiche della giornata, per accompagnarci nell’ultimo
e dolce viaggio del giorno, quello verso le braccia di Morfeo.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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