Anello del Monte Ortat (1676
m.) e Clap del Paredach (1840 m.) da Villa S. Maria (Poffabro).
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi carniche- Gruppo, Dorsale Resettum-Raut- Parco
Nazionale Dolomiti Friulane.
Avvicinamento: Lestans-Sequals-Maniago-Poffabro- Spiazzo
presso il convento Villa S. Maria (Taviela).
Località di Partenza: Spiazzo presso il convento Villa S.
Maria (Taviela). 590 m.
Dislivello: 1264 m.
Dislivello
complessivo: 1450 m.
Distanza percorsa in Km: 14,5.
Quota minima partenza: 590 m.
Quota massima raggiunta: 1854 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: sette ore.
In: Coppia.
Tipologia Escursione:
Selvaggio-Naturalistica.
Difficoltà: Escursionisti Esperti-F ( paretina di 3° grado
in discesa attrezzata con cavo)-
Segnavia: CAI 968; 967; 967°; 899- In cresta solo radi
ometti.
Impegno fisico: Alto.
Preparazione tecnica: Media.
Attrezzature: Si (solo un cavo arrugginito presso una parete
verticale di 3 metri.)
Croce di vetta: Si.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: Si (istallato da noi in data
dell’escursione).
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tab. 028.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Traccia labile, a volte assente,
percorso invaso da mughi.
Fonti d’acqua: Solo in
prossimità della partenza e arrivo.
Consigliati:
Data: 21 maggio 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto:
L’escursione sul Clap del Paredach
era in programma sin dall’autunno scorso, ne avevo parlato con Roberto, ma le
prime nevicate invernali ne hanno precluso l’esecuzione, quindi tutto rinviato.
Quest’anno per lavoro sono
stato impegnato nell’Appennino marchigiano, prima del rientro per una settimana
di ferie ho chiesto all’amico Roberto la situazione neve sul Raut. Confortato
da ottime notizie (neve assente) ci organizziamo, la conquista del Clap del
Paredach è questione di ore.
La cresta della meta è ben
visibile dalla pianura friulana, fa parte della lunga dorsale che dal Raut
passando per il monte Rodolino e i Tubers, degrada fino al lago di Redona (Val
Tramontina); dalla pianura, soprattutto se si proviene dal versante orientale,
è impossibile non scorgere i ripidi bastioni che vertiginosamente salgono al
cielo. Da una approfondita lettura alla Bibbia delle dolomiti friulane di A.
Berti desumo che è possibile percorrere la cresta e che non presenta
particolari difficoltà, così inizio lo studio di testimonianze sul web, per poter
pianificare l’uscita.
Una volta che le mappe e i materiali
sono pronti per l’avventura, non rimane che scegliere la data, si aspetta il
primo giorno propizio. Il mattino dell’escursione il cielo è leggermente velato
da inoffensivi nubi: da un lato ci consola, consapevoli che non saremo picchiati
dal caldo cocente. Con l’occhio (scaramanticamente) fisso al cielo, iniziamo
l’avventura poco sopra Poffabro (località Villa S. Maria - 590 m.), dallo
spiazzo prospicente il convento S.Anna .
Zaino in spalle si parte, siamo
euforici, conosciamo bene il sentiero 969, esso è noto per la sua ripidezza,
soprattutto nel tratto finale dove l’ultima vegetazione arborea si arrende agli
ripidissimi prati erbosi.
In un paio di ore siamo nei
pressi della forcella Racli (1590 m.), non nascondo che spesso ci siamo fermati
lungo il cammino per ammirare e fotografare la splendida fioritura alpina.
Arrivati alla forcella termina la nostra padronanza del territorio. Negli anni
precedenti (entrambi in solitaria), avevamo svoltato a destra tramite un
passaggio di primo grado, e cavalcato la cresta fino al vicino monte Rodolino.
Stavolta si va a sinistra, ci caliamo per pochi metri, e aggirata una sporgenza,
iniziamo a percorrere la bellissima cresta fino alla forcella di Capra.
L’emozione che stiamo vivendo è
palpabile, la sveliamo con lo sguardo, spesso ci voltiamo indietro ad ammirare
la bella e lunga cresta. Voliamo, non siamo più uomini, ma entità che sfioriamo
il cielo. Una piccola traccia di
camoscio ci guida per i dolci pendii erbosi, osservo l’amico immerso nel suo
felice errare e lo paragono al mio, spesso ci fermiamo in contemplazione.
Avanziamo in equilibrio come funamboli su corde tese, siamo eterei, non più materici.
Un ometto ci indica che abbiamo
raggiunto il monte Ortat (1690 m.), breve sosta e immediata ripartenza, sempre
in equilibrio sulla nostra fune fatta di roccia ed erba.
Percorriamo la comoda schiena
del monte, a tratti esposta sull’impressionante versante orientale, da dove ammiriamo
con soggezione le terrificanti e verticali pareti del Clap del Paredach. Non sempre è facile la progressione, tra i
fitti mughi bisogna scovare il passaggio e dopo a crearci altri tormenti ci
pensano le frastagliate rocce. Noi procediamo impavidi, metro dopo metro, nel frattempo
l’adrenalina lievita.
Superata una parete verticale
di tre metri attrezzata (cavo lasco e arrugginito) affrontiamo l’ultima fatica che precede la
vetta, ovvero il ripido pendio che la precede. Cerchiamo i passaggi più logici
e le tracce di camoscio, ci spingiamo quasi sotto la cima, dove senza percorso
obbligato raggiungiamo un ometto con un’asta in metallo (1840 m.); non è la
massima elevazione del monte, ma la più panoramica. La quota più alta la
attraverseremo due rilievi dopo, occulatata rispetto a dove ci troviamo. Come
ci eravamo ripromessi installiamo il nostro libro di vetta, racchiudendolo
dentro un contenitore in metallo, dove conserviamo il logo del gruppo “La
montagna per spiriti liberi”. Effettuiamo
la meritata sosta, in vicinanza possiamo
ammirare il piano inclinato dell’attiguo Raut, ma soprattutto la bellissima
cresta che abbiamo percorso. Il panorama è splendido, spazia dalla vicina
pianura friulana fino al mar Adriatico, mentre a nord-ovest lodiamo le catene
montuose delle dolomiti friulane. Il cielo è parzialmente plumbeo, a volte
sembra chiudersi, questo non ci dà la dovuta serenità. Procediamo con un tubo
in metallo recuperato tra i sassi dell’ometto a creare una croce assemblandolo con
l’asta, l’operazione ha buon esito, ora la vetta è ben visibile anche lontano.
C’è tanta soddisfazione in noi, abbiamo percorso il crinale poco frequentato e
allo stesso tempo molto gratificante. Ripresi gli zaini proseguiamo il viaggio,
ben coscienti che l’avventura non è ancora finita. Dopo essere passati per la
massima elevazione (1854 m.), ci fermiamo ad ammirare il catino glaciale del
Raut. Dobbiamo scendere per un ripidissimo prato, quasi verticale, per ardua
traccia raggiungiamo un intaglio, lo superiamo passando sul versante opposto, e
percorrendo l’ultimo tratto di cresta, ci caliamo dentro un canalino fino ad incrociare
il sentiero(967), che proveniente dal
lago di Selva conduce alla forcella di Capra (1824 m.). Altra breve sosta,
vorremmo fare un salto sulla vetta del monte Raut, ma il nuvolone nero in
agguato ci consiglia la via del ritorno.
Scendiamo per la ripida pala erbosa
fino a dove il sentiero si biforca: il 967 scende a valle raggiungendo la forca
di Pala Barzana, noi sostiamo pochi metri dopo la diramazione CAI (967 A) che
conduce al sottostante Pian delle Merie.
Zaini a terra, finalmente si pranza,
ho una fame da lupi! Seduti sul comodo manto erboso, tiriamo fuori dagli zaini
le vettovaglie: panini imbottiti, un ottimo Cabernet (immancabile nello zaino
di Roberto) e banane. Nel valersi delle mandibole lo sguardo è distratto dalla
bellezza del paesaggio, un’aquila sorvola la maestosa parete rocciosa del Paredach,
essa è così seducente da tenerci fissi con lo sguardo all’insù. Con i calici di
plastica colmi del nettare degli dei suggelliamo la nostra fraterna amicizia,
ben coscienti viviamo emozioni non comuni. Ci piacerebbe lasciarci andare e
riposare le membra sulla comoda erba, ammirando gli sprazzi di azzurro che
sembrano aver la meglio sulle minacciose nubi. Ma dobbiamo rientrare, come
tutte le storie c’è un inizio e una fine. Rimessi gli zaini, si continua il
cammino, illusi che manca poco all’arrivo, invece ci attendono ben 850 metri di
dislivello in discesa per ripidi prati, deleteri per le nostre ginocchia tali
da farci rimpiangere l’ascesa. Tracce di passaggio li troviamo in un piccolo
ghiaione, per il resto segni CAI intervallati a rari ometti. Per fortuna il
meteo sembra mettere al meglio, ammiriamo più di una volta le bastionate del
Paredach dal basso, immaginando fantasiose ascese alpinistiche . È proprio un
bel vedere, la bellezza del paesaggio ci distrae dalla sgobbata. Finalmente entriamo
nel sottostante bosco dove troviamo refrigerio all’ombra della folta vegetazione,
lungo il cammino percorriamo un vecchio troi sfiorando i ruderi di alcuni
stavoli. Siamo in prossimità di Pian delle merie, guadiamo un paio di torrenti
fino a incrociare il sentiero Frassati (899). Ora la pendenza si fa dolce,
quasi in falso piano. I rumori delle motoseghe e il clacson di alcune auto ci palesano
che il progresso è prossimo. Transitiamo accanto a dei muri a secco dove
Roberto scova la maturazione di dolcissime fragole selvagge, qui i viandanti
cedono alla lussuria, riempendo le mani a più non posso e saziando la ghiottoneria.
Pochi metri ancora da percorrere nel bel bosco e siamo nei pressi del
monastero, una suora (alla guida di un’auto) dal sorriso e sguardo seducente ci
incrocia, siamo a capolinea, automezzo in vista e missione compiuta. Mentre mi
appresto al rientro, deponendo il materiale dentro il veicolo, noto che Roberto
si è fermato a conversare con un muratore intento a tirare su un muretto. Mi
avvicino e ascolto la conversazione: Roberto chiede in friulano al muratore
delucidazioni sulla tecnica costruttiva. L’omino gli risponde con un sorriso,
successivamente si presenta, chiarendogli che conosce ben cinque lingue, ma non
il friulano e che le sue origini sono moldave. Ci viene da ridere, con questo
episodio simpatico volge al termine la nostra meravigliosa escursione. Ci
fermiamo al bar di Poffabro, per la consueta bevuta post escursione. Dopo il
meritato ristoro rientriamo a valle, con un’altra cima conquistata e una nuova
storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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