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mercoledì 27 giugno 2018

Anello del Monte Ortat (1676 m.) e Clap del Paredach (1840 m.) da Villa S. Maria (Poffabro).


 Anello del Monte Ortat (1676 m.) e Clap del Paredach (1840 m.) da Villa S. Maria (Poffabro).                               



Note tecniche.



Localizzazione: Prealpi carniche-  Gruppo, Dorsale Resettum-Raut- Parco Nazionale Dolomiti Friulane.

Avvicinamento: Lestans-Sequals-Maniago-Poffabro- Spiazzo presso il convento Villa S. Maria (Taviela).



Località di Partenza: Spiazzo presso il convento Villa S. Maria (Taviela). 590 m.



Dislivello: 1264 m.





 Dislivello complessivo: 1450 m.





Distanza percorsa in Km: 14,5.





Quota minima partenza: 590 m.



Quota massima raggiunta: 1854 m.



Tempi di percorrenza escluse le soste: sette ore.

In: Coppia.



 Tipologia Escursione: Selvaggio-Naturalistica.



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti-F ( paretina di 3° grado in discesa attrezzata con cavo)-

Segnavia: CAI 968; 967; 967°; 899- In cresta solo radi ometti.

Impegno fisico: Alto.

Preparazione tecnica: Media.

Attrezzature: Si (solo un cavo arrugginito presso una parete verticale di 3 metri.)

Croce di vetta: Si.

Ometto di vetta: Si.

Libro di vetta: Si (istallato da noi in data dell’escursione).

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                  Cartografici: Tab. 028.  

2)                  Bibliografici:

3)                  Internet:

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Traccia labile, a volte assente, percorso invaso da mughi.

Fonti d’acqua: Solo in prossimità della partenza e arrivo.

Consigliati:

Data: 21 maggio 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa


Racconto:

L’escursione sul Clap del Paredach era in programma sin dall’autunno scorso, ne avevo parlato con Roberto, ma le prime nevicate invernali ne hanno precluso l’esecuzione, quindi tutto rinviato.

Quest’anno per lavoro sono stato impegnato nell’Appennino marchigiano, prima del rientro per una settimana di ferie ho chiesto all’amico Roberto la situazione neve sul Raut. Confortato da ottime notizie (neve assente) ci organizziamo, la conquista del Clap del Paredach è questione di ore.

La cresta della meta è ben visibile dalla pianura friulana, fa parte della lunga dorsale che dal Raut passando per il monte Rodolino e i Tubers, degrada fino al lago di Redona (Val Tramontina); dalla pianura, soprattutto se si proviene dal versante orientale, è impossibile non scorgere i ripidi bastioni che vertiginosamente salgono al cielo. Da una approfondita lettura alla Bibbia delle dolomiti friulane di A. Berti desumo che è possibile percorrere la cresta e che non presenta particolari difficoltà, così inizio lo studio di testimonianze sul web, per poter pianificare l’uscita.

Una volta che le mappe e i materiali sono pronti per l’avventura, non rimane che scegliere la data, si aspetta il primo giorno propizio. Il mattino dell’escursione il cielo è leggermente velato da inoffensivi nubi: da un lato ci consola, consapevoli che non saremo picchiati dal caldo cocente. Con l’occhio (scaramanticamente) fisso al cielo, iniziamo l’avventura poco sopra Poffabro (località Villa S. Maria - 590 m.), dallo spiazzo prospicente il convento S.Anna .

Zaino in spalle si parte, siamo euforici, conosciamo bene il sentiero 969, esso è noto per la sua ripidezza, soprattutto nel tratto finale dove l’ultima vegetazione arborea si arrende agli ripidissimi prati erbosi.

In un paio di ore siamo nei pressi della forcella Racli (1590 m.), non nascondo che spesso ci siamo fermati lungo il cammino per ammirare e fotografare la splendida fioritura alpina. Arrivati alla forcella termina la nostra padronanza del territorio. Negli anni precedenti (entrambi in solitaria), avevamo svoltato a destra tramite un passaggio di primo grado, e cavalcato la cresta fino al vicino monte Rodolino. Stavolta si va a sinistra, ci caliamo per pochi metri, e aggirata una sporgenza, iniziamo a percorrere la bellissima cresta fino alla forcella di Capra.

L’emozione che stiamo vivendo è palpabile, la sveliamo con lo sguardo, spesso ci voltiamo indietro ad ammirare la bella e lunga cresta. Voliamo, non siamo più uomini, ma entità che sfioriamo il cielo.  Una piccola traccia di camoscio ci guida per i dolci pendii erbosi, osservo l’amico immerso nel suo felice errare e lo paragono al mio, spesso ci fermiamo in contemplazione. Avanziamo in equilibrio come funamboli su corde tese, siamo eterei, non più materici.

Un ometto ci indica che abbiamo raggiunto il monte Ortat (1690 m.), breve sosta e immediata ripartenza, sempre in equilibrio sulla nostra fune fatta di roccia ed erba.

Percorriamo la comoda schiena del monte, a tratti esposta sull’impressionante versante orientale, da dove ammiriamo con soggezione le terrificanti e verticali pareti del Clap del Paredach.  Non sempre è facile la progressione, tra i fitti mughi bisogna scovare il passaggio e dopo a crearci altri tormenti ci pensano le frastagliate rocce. Noi procediamo impavidi, metro dopo metro, nel frattempo l’adrenalina lievita.

Superata una parete verticale di tre metri attrezzata (cavo lasco e arrugginito)  affrontiamo l’ultima fatica che precede la vetta, ovvero il ripido pendio che la precede. Cerchiamo i passaggi più logici e le tracce di camoscio, ci spingiamo quasi sotto la cima, dove senza percorso obbligato raggiungiamo un ometto con un’asta in metallo (1840 m.); non è la massima elevazione del monte, ma la più panoramica. La quota più alta la attraverseremo due rilievi dopo, occulatata rispetto a dove ci troviamo. Come ci eravamo ripromessi installiamo il nostro libro di vetta, racchiudendolo dentro un contenitore in metallo, dove conserviamo il logo del gruppo “La montagna per spiriti liberi”.  Effettuiamo  la meritata sosta, in vicinanza possiamo ammirare il piano inclinato dell’attiguo Raut, ma soprattutto la bellissima cresta che abbiamo percorso. Il panorama è splendido, spazia dalla vicina pianura friulana fino al mar Adriatico, mentre a nord-ovest lodiamo le catene montuose delle dolomiti friulane. Il cielo è parzialmente plumbeo, a volte sembra chiudersi, questo non ci dà la dovuta serenità. Procediamo con un tubo in metallo recuperato tra i sassi dell’ometto a creare una croce assemblandolo con l’asta, l’operazione ha buon esito, ora la vetta è ben visibile anche lontano. C’è tanta soddisfazione in noi, abbiamo percorso il crinale poco frequentato e allo stesso tempo molto gratificante. Ripresi gli zaini proseguiamo il viaggio, ben coscienti che l’avventura non è ancora finita. Dopo essere passati per la massima elevazione (1854 m.), ci fermiamo ad ammirare il catino glaciale del Raut. Dobbiamo scendere per un ripidissimo prato, quasi verticale, per ardua traccia raggiungiamo un intaglio, lo superiamo passando sul versante opposto, e percorrendo l’ultimo tratto di cresta, ci caliamo dentro un canalino fino ad incrociare il sentiero(967),  che proveniente dal lago di Selva conduce alla forcella di Capra (1824 m.). Altra breve sosta, vorremmo fare un salto sulla vetta del monte Raut, ma il nuvolone nero in agguato ci consiglia la via del ritorno.

Scendiamo per la ripida pala erbosa fino a dove il sentiero si biforca: il 967 scende a valle raggiungendo la forca di Pala Barzana, noi sostiamo pochi metri dopo la diramazione CAI (967 A) che conduce al sottostante Pian delle Merie.

Zaini a terra, finalmente si pranza, ho una fame da lupi! Seduti sul comodo manto erboso, tiriamo fuori dagli zaini le vettovaglie: panini imbottiti, un ottimo Cabernet (immancabile nello zaino di Roberto) e banane. Nel valersi delle mandibole lo sguardo è distratto dalla bellezza del paesaggio, un’aquila sorvola la maestosa parete rocciosa del Paredach, essa è così seducente da tenerci fissi con lo sguardo all’insù. Con i calici di plastica colmi del nettare degli dei suggelliamo la nostra fraterna amicizia, ben coscienti viviamo emozioni non comuni. Ci piacerebbe lasciarci andare e riposare le membra sulla comoda erba, ammirando gli sprazzi di azzurro che sembrano aver la meglio sulle minacciose nubi. Ma dobbiamo rientrare, come tutte le storie c’è un inizio e una fine. Rimessi gli zaini, si continua il cammino, illusi che manca poco all’arrivo, invece ci attendono ben 850 metri di dislivello in discesa per ripidi prati, deleteri per le nostre ginocchia tali da farci rimpiangere l’ascesa. Tracce di passaggio li troviamo in un piccolo ghiaione, per il resto segni CAI intervallati a rari ometti. Per fortuna il meteo sembra mettere al meglio, ammiriamo più di una volta le bastionate del Paredach dal basso, immaginando fantasiose ascese alpinistiche . È proprio un bel vedere, la bellezza del paesaggio ci distrae dalla sgobbata. Finalmente entriamo nel sottostante bosco dove troviamo refrigerio all’ombra della folta vegetazione, lungo il cammino percorriamo un vecchio troi sfiorando i ruderi di alcuni stavoli. Siamo in prossimità di Pian delle merie, guadiamo un paio di torrenti fino a incrociare il sentiero Frassati (899). Ora la pendenza si fa dolce, quasi in falso piano. I rumori delle motoseghe e il clacson di alcune auto ci palesano che il progresso è prossimo. Transitiamo accanto a dei muri a secco dove Roberto scova la maturazione di dolcissime fragole selvagge, qui i viandanti cedono alla lussuria, riempendo le mani a più non posso e saziando la ghiottoneria. Pochi metri ancora da percorrere nel bel bosco e siamo nei pressi del monastero, una suora (alla guida di un’auto) dal sorriso e sguardo seducente ci incrocia, siamo a capolinea, automezzo in vista e missione compiuta. Mentre mi appresto al rientro, deponendo il materiale dentro il veicolo, noto che Roberto si è fermato a conversare con un muratore intento a tirare su un muretto. Mi avvicino e ascolto la conversazione: Roberto chiede in friulano al muratore delucidazioni sulla tecnica costruttiva. L’omino gli risponde con un sorriso, successivamente si presenta, chiarendogli che conosce ben cinque lingue, ma non il friulano e che le sue origini sono moldave. Ci viene da ridere, con questo episodio simpatico volge al termine la nostra meravigliosa escursione. Ci fermiamo al bar di Poffabro, per la consueta bevuta post escursione. Dopo il meritato ristoro rientriamo a valle, con un’altra cima conquistata e una nuova storia da raccontare.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.














































































































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