Racconto:
…La
temperatura esterna è frizzantina, questo mi permette avere il confort della
giacca tecnica. Inizio il cammino dalla periferia della città, per le vie
incontro gli abitanti intenti nelle loro plurime attività. C’è chi porta il
cagnetto a spasso, chi apre bottega e chi arieggiando le camere da una curiosa
occhiata ai passanti. Gli studenti, solitari, si avviano a scuola con i loro
immancabili smartphones, Il mio è riposto accuratamente nello zaino; approfitto
di queste uscite per staccarmi da questa abitudine che con il passare del tempo
sta diventando vitale per l’uomo del ventunesimo secolo.
Cammino
con verve sugli scarponi, con l’immancabile zaino in spalla, la bandana, e i
bastoncini da trekking sviluppati al massimo. Percorrendo la periferia, le
strade mi portano tra i mega complessi architettonici, stadi vuoti; le
ciminiere protese verso il cielo paiono colonne di arcaici templi.
Osservo
il genere umano, alcuni ostentato una divisa, altri un titolo, recitano da
prime donne, sempre alla frivola ricerca di un plauso in questo teatro chiamato
“Esistenza”.
Attirato
da un muro a secco, entro dentro un cortile, scoprendo all’interno la luna nel
pozzo. La vista del secchio in alluminio mi porta in tempi e luoghi mai
vissuti.
Finalmente
ho raggiunto la periferia opposta, imboccando la strada in direzione del monte
mi ritrovo a un bivio, con qualche dubbio scelgo la direzione a destra …..
Successivamente chiedo a una persona anziana (che sosta davanti all’uscio di un
casolare) se procedo bene per il colle….? Mi risponde, che ho scelto la strada
più lunga ma meno ripida. Rassicurato della preferenza, continuo, scenderò al
rientro dall’altra direzione …
La rotabile che percorro in salita ha un andamento sinuoso,
essa attraversa i pittoreschi colli ascolani, prevalentemente coltivati a
ulivo. Dai margini della strada ammiro l’aspetto bucolico del paesaggio:
cavalli al pascolo, papaveri bagnati dalla brina e violacei carciofi prossimi
alla stagionatura. La strada volge a settentrione, spesso mi assale il dubbio
di aver sbagliato itinerario, consulto la mappa, constatando che sto sempre di
più alzando di quota e che mi allontano progressivamente dal profilo del…
Come questa parte di un racconto ho iniziato le altre cinque escursioni per i
rilievi che circondano Ascoli Piceno, trattandosi di piccoli colli li ho voluto
unire in un’unica relazione. Camminando per le carrarecce e sentieri, spesso
pensavo alle liriche del grande poeta marchigiano Giacomo Leopardi, e con
alcune sue immortali poesie termino il mio racconto.
Il forestiero Nomade.
Malfa
L’infinito
Sempre
caro mi fu quest’ermo colle,
E
questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo
orizzonte il guardo esclude.
Ma
sedendo e mirando, interminati
Spazi
di là da quella, e sovrumani
Silenzi,
e profondissima quiete
Io
nel pensier mi fingo; ove per poco
Il
cor non si spaura. E come il vento
Odo
stormir tra queste piante, io quello
Infinito
silenzio a questa voce
Vo
comparando: e mi sovvien l’eterno,
E
le morte stagioni, e la presente
E
viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità
s’annega il pensier mio:
E
il naufragar m’è dolce in questo mare.
Il Passero Solitario
D’in
su la vetta della torre antica,
Passero
solitario, alla campagna
Cantando
vai finchè non more il giorno;
Ed
erra l’armonia per questa valle.
Primavera
dintorno
Brilla
nell’aria, e per li campi esulta,
Sì
ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi
greggi belar, muggire armenti;
Gli
altri augelli contenti, a gara insieme
Per
lo libero ciel fan mille giri,
Pur
festeggiando il lor tempo migliore:
Tu
pensoso in disparte il tutto miri;
Non
compagni, non voli,
Non
ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti,
e così trapassi
Dell’anno
e di tua vita il più bel fiore.
Oimè,
quanto somiglia
Al
tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della
novella età dolce famiglia,
E
te german di giovinezza, amore,
Sospiro
acerbo de’ provetti giorni,
Non
curo, io non so come; anzi da loro
Quasi
fuggo lontano;
Quasi
romito, e strano
Al
mio loco natio,
Passo
del viver mio la primavera.
Questo
giorno ch’omai cede la sera,
Festeggiar
si costuma al nostro borgo.
Odi
per lo sereno un suon di squilla,
Odi
spesso un tonar di ferree canne,
Che
rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta
vestita a festa
La
gioventù del loco
Lascia
le case, e per le vie si spande;
E
mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io
solitario in questa
Rimota
parte alla campagna uscendo,
Ogni
diletto e gioco
Indugio
in altro tempo: e intanto il guardo
Steso
nell’aria aprica
Mi
fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo
il giorno sereno,
Cadendo
si dilegua, e par che dica
Che
la beata gioventù vien meno.
Tu
solingo augellin, venuto a sera
Del
viver che daranno a te le stelle,
Certo
del tuo costume
Non
ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni
nostra vaghezza
A
me, se di vecchiezza
La
detestata soglia
Evitar
non impetro,
Quando
muti questi occhi all’altrui core,
E
lor fia voto il mondo, e il dì futuro
Del
dì presente più noioso e tetro,
Che
parrà di tal voglia?
Che
di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi
pentiromi, e spesso,
Ma
sconsolato, volgerommi indietro.
La quiete dopo la tempesta
Passata
è la tempesta:
Odo
augelli far festa, e la gallina,
Tornata
in su la via,
Che
ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe
là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi
la campagna,
E
chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni
cor si rallegra, in ogni lato
Risorge
il romorio
Torna
il lavoro usato.
L’artigiano
a mirar l’umido cielo,
Con
l’opra in man, cantando,
Fassi
in su l’uscio; a prova
Vien
fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della
novella piova;
E
l’erbaiuol rinnova
Di
sentiero in sentiero
Il
grido giornaliero.
Ecco
il Sol che ritorna, ecco sorride
Per
li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre
terrazzi e logge la famiglia:
E,
dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio
di sonagli; il carro stride
Del
passegger che il suo cammin ripiglia.
Si
rallegra ogni core.
Sì
dolce, sì gradita
Quand’è,
com’or, la vita?
Quando
con tanto amore
L’uomo
a’ suoi studi intende?
O
torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando
de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer
figlio d’affanno;
Gioia
vana, ch’è frutto
Del
passato timore, onde si scosse
E
paventò la morte
Chi
la vita abborria;
Onde
in lungo tormento,
Fredde,
tacite, smorte,
Sudàr
le genti e palpitàr, vedendo
Mossi
alle nostre offese
Folgori,
nembi e vento.
O
natura cortese,
Son
questi i doni tuoi,
Questi
i diletti sono
Che
tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’
diletto fra noi.
Pene
tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo
sorge: e di piacer, quel tanto
Che
per mostro e miracolo talvolta
Nasce
d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole
cara agli eterni! assai felice
Se
respirar ti lice
D’alcun
dolor: beata
Se
te d’ogni dolor morte risana.
Colle il Gallo-
Monte Giammatura- Monte
Gimigliano- Monte san
Rocco- Monte Rosara
Note tecniche.
Localizzazione: Appennino Ascolano-Colli intorno ad Ascoli.
Avvicinamento: Ascoli Piceno.
Località di Partenza: Periferia est di Ascoli
Piceno.
Dislivello: Vari-
Dislivello
complessivo: 2946 m.
Distanza percorsa in Km: 116,38
Quota minima partenza: 124 m.
Quota massima raggiunta: 1096 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: Vari.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Escursione storico-naturalistica.
Difficoltà: Turista-Escursionistica
Segnavia: Vari
Impegno fisico: Medio.
Preparazione tecnica: Medio-bassa
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Ometto di vetta: Si.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: IGM della zona.
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero:
Fonti d’acqua: Molteplici.
Consigliati:
Data: Il “Forestiero Nomade”
Malfa