Monte Lareseit da Tramonti di Sotto.
Racconto:
Cima Lasereit, una giornata avventurosa tra amici.
La cima dell’escursione che descrivo, nasce come le ultime, dallo
spirito di ricerca che anima la mia curiosità. Con Roberto (compagno di ventura)
condividiamo la stessa passione, egli sa che quando c’è da fare qualcosa di
tosto lo chiamo, ben consapevole che ci sarà da divertirsi. Il nome Lasereit
suona nuovo a entrambi, in passato ho percorso alcuni sentieri nella zona con
la sottosezione CAI di Tramonti, adoperandomi nella manutenzione, compreso il
sentiero che porta al borgo fantasma di Palcoda.
Dopo due lustri ripercorro questo sentiero, confesso che non
ricordo più il tracciato, quindi proverò le medesime emozioni di Roberto.
Arriviamo alle prime ore del mattino nella frazione di
Tramonti di Sotto, la brina ricopre i prati, troviamo posteggio nello spiazzo antistante
i ruderi della stalla di Casera Comesta.
Da mesi con Roberto non si usciva insieme, una volta
approntati per l’escursione si parte, nel primo tratto (strada forestale) durante
il riscaldamento ci confessiamo i malanni dell’ultimo periodo e commentiamo le
reciproche esperienze in montagna.
Al primo bivio dopo aver guadato il torrente Tarcenò
prendiamo per il sentiero a sinistra (831A) segnato con cartelli, tralasciando
il sentiero 832 che va dritto al borgo di Tamar. La traccia è ben segnata e
marcata, ripercorre i resti di un vecchio troi. Durante il tragitto veniamo
attratti dalle pareti meridionali del monte Brusò, con la mente e con lo
spirito vorremmo risalirlo dal selvaggio versante, immaginando ipotetiche vie
da camosci. Lungo il sentiero incontriamo le prime anemoni, fiori deliziosi che
ci illudono che la stagione del gelo sia finita.
Raggiunta una anonima forcella, da essa avvistiamo il lontano
borgo di Palcoda, intuiamo che dobbiamo perdere vistosamente quota per poi
risalire. Il piccolo borgo è l’obiettivo minimo della giornata, Roberto non lo
ha mia visitato, il resto lo aggiungeremo strada facendo se le condizioni
fisiche e meteo ce lo permetteranno.
Raggiunto il greto del Ru di Palcoda seguiamo le indicazioni
per il borgo omonimo, risalendo l’affascinante sentiero sulla destra
orografica.
I nostri spiriti si illuminano di stupende immagini,
percorriamo un tempo perduto, sentiamo la presenza e la fatica dell’uomo di
montagna, i ruderi degli stavoli si animano al nostro passaggio. Ammiro l’amico
sostare in religioso silenzio davanti a un capitello votivo, le parole in
questi frangenti sono banali.
Guadiamo il rio
passando sull’altra sponda per risalire con piccoli balzi fino a incrociare un
torrentello con una piccola cascata, a pochi metri ci aspetta il borgo di
Palcoda con la sua bella e luminosa chiesetta tinta di bianco.
Tra i rami spogli intravediamo i ruderi, ci avviciniamo, odo
un “ce biel” accompagnato dallo stupore del mio amico. Effettivamente non
ricordavo il luogo così bello, hanno restaurato per bene la chiesetta e
costruito una baita adibendola a rifugio che successivamente visiteremo.
Ricordo di una campana da suonare, invito Roberto a cercarne la corda dietro il
campanile, la trova all’interno di una cella che sta alla base della torre
campanaria.
Con il teleobiettivo della reflex filmo le campane che
Roberto con sorprendente dote suona con diletto, tale da fare invidia a quelle
di San Pietro in Roma. Lo stesso Roberto di seguito, dopo la scampanata balza
fuori dall’edificio sacro, tutto brioso. Sorrido, in montagna azzeriamo gli
anni, diventiamo monelli e curiosi come ragazzini. Cosa potremmo chiedere di
più alla vita?
Visitiamo il confortevole bivacco, consumiamo una barretta
di cioccolato e ci approntiamo per la seconda meta di oggi” la Forchia de
Agardaia”. Il sentiero ci invita a passare in mezzo alle rovine del borgo, è un
autentico passaggio onirico, tra ruderi che sanno ancora di vita.
Il borgo fantasma sembra gridare aiuto, vuole anch’esso rinascere
come la chiesetta, veder nascere bimbi e morire vecchi, sentire il latrare dei
cani e il miagolio dei gatti che litigano per il territorio. Veder fiorire
amori che si consumano sotto cieli stellati e ascoltare storie che vecchie non
sono mai state.
Ammiriamo gli archi di diverse forge e gli architravi che ci
portano indietro nella storia dell’uomo, essi resistono stoicamente al tempo,
speranzosi di rivivere vecchi splendori.
Guardo l’amico, ci fissiamo, avremmo voglia, cazzuola alla
mano, di dare un inizio a questa rinascita; le vecchie mura avvertono questo nostro
sentimento, lasciandoci passare senza timore e donandoci il riflesso della luce.
Attraversato il Borgo, ci voltiamo indietro, esso è svanito
tra le ramaglie, come se avessimo vissuto un sogno.
Risaliamo il vecchio
troi, a volte interrotto, fino a sfiorare altri stavoli e una remota fornace.
Non siamo soli in questo viaggio, i fantasmi di chi ha laboriosamente costruito
e vissuto questi luoghi ci guidano fino alla sella.
Poco sotto la forcella assistiamo all’ecatombe di alcuni
faggi per opera di funghi parassiti, triste metafora della vita… Essi come i
ponti temono di più il piccolo incedere di un essere che la potenza dei
giganti.
Con fatica raggiungiamo la forcella, studiamo l’evoluzione
dell’escursione sulla mappa. A sinistra della forchia il lungo e tortuoso
cammino, non segnato, e vista l’ora non ci permette di raggiungere la cima del
monte Brusò, rinviamo l’impresa all’estate.
A destra una lieve traccia ci porta alla cresta della cima
Lareseit (sentiero per esperti è scritto su una tabella), non è tracciata sulla
mappa, ma ben segnata sugli alberi. Senza timori e remore e armati di buona volontà
decidiamo di continuare l’avventura scegliendo la seconda soluzione. Zaini in
spalle, riprendiamo il cammino percorrendo l’esile traccia di cresta, che nel
primo tratto è ben marcata e ampia. Dal versante occidentale ammiriamo le cime
circostanti ricoperte di neve. Sempre seguendo i radi segni raggiungiamo la cima
del Lasereit, totalmente ricoperta di faggi, tranne un fazzoletto di prato a
meridione che ci dona uno squarcio visivo sulla pianura friulana e le alture
che la precedono.
Lasciamo gli zaini a terra, ci godiamo il sole, incuriositi,
volteggiamo alla ricerca di qualcosa. Roberto si spinge oltre la cima,
avvertendomi che il sentiero prosegue a oriente, do un’occhiata, mi viene un’idea.
lo invito a proseguire sulla cima più alta che dista alcune centinaia di metri,
ma senza zaini, in totale libertà. Il ragazzo che alberga in Roberto acconsente
con entusiasmo e così ci lanciamo nell’ennesima avventura.
Scendiamo di quota di alcune decine di metri per poi
risalirne all’incirca 90. Una bella sfacchinata, ma noi no, non si molla. Lungo
il ripido pendio di salita calpestiamo neve dura, scopriamo a cosa era dovuta
l’iscrizione sulla tabella ”Sentiero per Esperti”, le scivolate in questo tratto
ripidissimo ed esposte non sono ammesse, faremmo un volo alla Icaro di
centinaia di metri.
Osservare la figura dell’amico che cavalca la crestina
inerbita di giallo è meraviglioso, in esso rifletto la mia immagine, siamo
liberi, voliamo, ecco da cosa scaturisce questo senso di euforia che pervade
l’animo. Raggiunta la massima elevazione (1205 m.) constatiamo che se non fosse
invaso dalla la vegetazione sarebbe stato un ottimo pulpito panoramico, mi
ingegno con un cavalletto di fortuna (rametto di faggio) per la reflex,
autoscatto ricordo e via, si rientra agli zaini, la fame comincia a bussare.
Raggiunti gli zaini ci concediamo al baccanale, e non è un
eufemismo. Roberto estrae dalla dispensa del suo zaino il cabernet, che non
posso e non voglio assolutamente rifiutare, ben cosciente che guida lui al
ritorno.
Tra panini, frutta e il sacro nettare degli Dei, passa la
mezzoretta dedicata a Dionisio, sdraiati sulla calda erba scaldata dal sole. Osservo divertito che i calzini di Roberto
hanno gli stessi magici colori della mia sciarpa, il nerazzurro si rivela il
nostro colore portafortuna.
Sicuramente inebriato dal vino, rivolgo a Roberto un
pensiero e gli domando: <<Sai cosa ci vorrebbe in questo momento dopo
aver pranzato?>>Roberto mi risponde :<<Il caffè!>>
<<Anche!>> Esclamo, ma io avevo pensato a una bella pennichella.
La triste ora è giunta, si rientra, ammirando per l’ennesima
volta le lontane cime imbiancate, riprendiamo il cammino. Con facilità, chiacchierando
e alternandoci nella guida, percorriamo il sentiero del ritorno e in poco tempo
siamo a Palcoda e successivamente alla forcella anonima, dove riflettiamo se
procedere per il borgo Tamar o rientrare a valle.
Vista la tarda ora scegliamo di rientrare, incontrando lungo
il sentiero di discesa una giocane coppia di escursionisti. Breve scambio
verbale e riprendiamo il cammino fino a raggiungere l’auto. Osservando i dati
del dislivello sul GPS mi da più di 1300 metri, stimo che i dati reali saranno
sopra i 1200 metri, ottimo allenamento per prepararci per le prossime
avventure.
Siamo soddisfattissimi, raggiunta l’auto e una volta approntatici
non rimane che partire e raggiungere il più vicino bar-caffè per chiudere in
bellezza la giornata.
Nella val Tramontina non troviamo nulla, tutto chiuso, ci
fermiamo a Meduno, nel localino di fronte la piazza. Durante la consumazione
della bevanda, osservo la gestrice e noto che nel locale c’è una cospicua
presenza femminile. Rifletto che anche il gruppo teatrale di Meduno ha una
forte presenza femminile. Conversando con la gestrice le confido questa mia
deduzione. Sarà un pensiero capriccioso
e curioso, ma ho sempre immaginato le donne di Meduno e della Val Tramontina,
forti, decise, e forse un po’ selvagge nella definizione più nobile del termine,
come le montagne che ci circondano.
Con un sorriso, Roberto e io lasciamo il locale, salutando
la simpatica signora. Si rientra a valle, un forte abbraccio sigilla l’amicizia
con l’amico di tante avventure.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche.
Località di Partenza: Tramonti di Sotto- Casera Comesta.
Dislivello: 829 m.
Dislivello
complessivo: 1280 m.
Distanza percorsa in Km: 16 chilometri.
Quota minima partenza: 376 m.
Quota massima raggiunta: 1205 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore escludendo le soste.
In: Coppia
Tipologia Escursione:
storico-ambientale.
Difficoltà: Escursionisti Esperti
Segnavia: CAI 831, 831A.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tabacco 012, IGM Friuli 1:25000
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e battuto.
Fonti d’acqua: Molteplici lungo il sentiero.
Consigliati:
Data 24 gennaio 2018.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa