Anello del monte Cretò da Tramonti di Sopra.
Racconto.
Esplorare una valle
con le sue cime e i suoi borghi è come compiere un viaggio nella psiche,
richiede più sedute (escursioni) nel tempo. Per questo motivo non comprendo chi
corre durante le esplorazioni, non fermandosi nemmeno a contemplare lo scorrere
di un ruscello. Cosa ci rimane dopo una corsa? Questo è uno dei motivi perché amo
andare da solo in montagna. Tengo sempre una torcia dentro lo zaino nel caso
dovessi protrarre l’uscita. L’unica certezza che ho è il luogo e l’ora della
partenza, per il resto mi godo l’avventura, vivendola intensamente e sperando
sempre che accada qualcosa di speciale.
Con l’anello del monte Cretò continuo la ricerca del tempo
perduto della valle di Tramonti, è una di quelle montagne che ho snobbato (a
torto) in passato, per via della modesta altezza, preferendogli le più note Frascola
e Valcalda. Le cime minori sono un caleidoscopio di emozioni, luoghi che
raccontano la presenza dell’uomo.
Giungo nella val tramontina trovando il paesaggio ricoperto
di Brina, superato il paesino di Tramonti di Sopra, sosto dirimpetto la casera Son
Cleva. La temperatura all’esterno è sotto lo zero, mi copro bene e attrezzandomi
parto con al seguito l’instancabile Magritte.
L’inizio sentiero è posto poco più avanti, in direzione del
passo di monte Rest. Sul cartello CAI leggo che per compiere l’anello ci vogliono
quattro ore, naturalmente in condizioni meteo eccellenti. Inizio a percorrere il
sentiero in direzione nord, dai primi passi intuisco che è una via antica, il classico
vecchio “Troi”. I gradoni scolpiti nella roccia, i tornanti, le immagini sacre
poste presso i pulpiti panoramici testimoniano l’arcaica presenza dell’uomo.
I primi raggi di sole illuminano la mulattiera e contemporaneamente
mi scaldano il cuore, donandomi una sensazione di felicità. Percorro il troi
fermandomi spesso per poter ammirare i doni della natura: le sculture di
ghiaccio e lo scorrere dell’acqua nel torrente. Raggiungo un muro a secco e tra
gli alberi spogli intravedo un edificio, esco momentaneamente dal sentiero per
visitarlo, si tratta della stalla Mattàn di Mezzo, giro intorno a essa per poi
fermarmi davanti all’uscio.
Inizio a sentire caldo, mi alleggerisco del giaccone e del
berretto di lana e riprendo il cammino. Continuo a percorrere il versante
meridionale del monte, la temperatura sale e l’azzurro del cielo è un invito
alla gioia. La direzione del cammino è sempre rivolta a oriente, scorgo le cime
del monte Rest e del Valcalda innevate nelle quote più alte.
Calpesto la prima neve dove rinvengo le impronte dell’amico
Luca che mi ha preceduto di un paio di giorni. Ripercorrere le impronte sulla
neve mi da sicurezza, le osservo e da esse traggo informazioni, comprendo dalla
dimensione dell’orma la misura della pianta del piede (quelle di Luca sono più
grandi delle mie) e dalla direzione su entrambi i sensi di marcia, che è rientrato
a valle per lo stesso sentiero.
Inizio a vedere la cresta del monte, il sentiero si inerpica
bruscamente, percorro le strette rampe esposte in alcuni tratti. Una lunga
diagonale mi accompagna sui prati sommitali totalmente ricoperti di neve.
Il sentiero ufficiale prosegue a settentrione, lo abbandono
provvisoriamente perché attratto dal dolce pendio alla mia sinistra, non
resisto al richiamo e in breve raggiungo la cresta e danzando su di essa mi
spingo a occidente.
A meridione ammiro la val tramontina, mentre il crinale, si
spinge alle pendici del monte Roppa Buffon, imbiancato e candido come un
pandoro. Vorrei condividere con il mondo intero questi attimi, scorrazzare
sulla cresta innevata è sublime, è come vivere un sogno. La felicità espressa da
Magritte è paragonabile alla mia. Raggiungo un pulpito panoramico, che scoprirò
dopo non essere il punto più alto dell’escursione, ma il più completo. Ho
lasciato Magritte presso un faggio, ammiro il paesaggio rilassandomi nella
contemplazione.
Durante l’ascesa pensavo di rientrare per lo stesso
sentiero, la bella giornata, l’ora non tarda e l’euforia mi consigliano di
compiere l’anello completo.
Ritorno indietro e a ritroso ripercorrendo le orme di Luca, seguo
la sua scia nella neve abbassandomi a settentrione, in breve raggiungo il
sentiero ufficiale CAI dove scorgo altre impronte, forse una comitiva.
Proseguo a occidente, percorrendo il lato oscuro del monte,
mi trovo a ridosso di un canale, naturalmente la neve inganna e copre tutto. seguo
i segni dipinti sulle cortecce dei faggi, raggiungo i ruderi degli stavoli di
Zouf, una cassa priva di coperchio e svuotata del tesoro è posta all’esterno di
quello che fu l’uscio dell’abitazione. Non ho tempo per visionare il tesoro
trafugato, immagino che la cassa sia caduta da un carro fantasma, nell’urtare
il suolo si è aperta liberando gli spiriti ribelli che da quel tempo vagano indemoniati
per il bosco.
Raggiunta la cresta seguo i segni percorrendo un tratto privo
di orme fino alla quota con la massima elevazione dell’escursione, un cocuzzolo
segnante 1202 m. di quota.
Trovo sulla neve altre orme, provenienti stavolta dall’altro
versante. Ammiro il monte Roppa Buffon, è vicinissimo, senza la presenza della
neve ci avrei fatto un pensierino.
Con un po’ di trepidazione inizio la discesa sul versante
settentrionale, dopo pochi metri mi rassicuro, è meno peggio di quanto
immaginavo. La neve è soffice, profonda una trentina di centimetri e il pendio
è dolce, in breve seguendo le nuove orme raggiungo i ruderi delle stalle di
Celant. Di seguito proseguo percorrendo al centro dell’avvallamento quello che
mi appare il letto di un torrente, districandomi sui due lati orografici seguendo
i rassicuranti segni.
Con l’abbassarsi della quota la neve si fa residua, il
sentiero è accattivante e mantiene la sua peculiarità di essere remoto. Sono euforico, l’anello del monte Cretò ha
tutte le caratteristiche che deve possedere un sentiero di montagna. Attraverso
un canale da dove sgorga la fresca acqua, mi fermo a seguirne la corsa. Il
vitale fluido accarezza le rocce fino alla sottostante vasca per poi congiungersi
con il rio Celestia e da quest’ultimo perdersi dentro il Meduna.
Cosa c’è al mondo più indispensabile dell’acqua? Nulla! Senza
di essa la vita sarebbe una parola priva di significato e mentre gli
astrofisici la cercano nell’universo, io la vedo sgorgare dalle rocce e fluire,
grande metafora della nostra esistenza.
Tanta gioia mi sta donando questo monte e non è ancora
finita. Scendendo ripidamente di quota per il bel marcato sentiero, noto da un
antro venire fuori una spada di ghiaccio e poco più in basso una vecchia
fornace, in ottimo stato, nascosta tra i rovi. La presenza dell’uomo è
costante, dal preistorico antro alla fornace, sto percorrendo la storia di chi
è vissuto in questi luoghi.
Cammino ancora più lentamente, quasi in punta di scarponi, perché
si fa così in casa d’altri quando si riceve la cordiale ospitalità. Presso una inerbita terrazza trovo una fonte
artificiale sormontata da un’edicola con una statuetta sacra all’interno; alla
base di essa da un rubinetto sgorga l’acqua, leggo sulla targa apposta che si
tratta della “Sorgente dell’acqua dei Malati”. Non sta a me giudicare la veridicità
sulla sacralità della fonte, ma apprezzo l’operosità di chi l’ha costruita. Nientemeno
su un pino è apposto un contenitore con tre bicchieri e un tovagliolo. Che
dire! Il sottoscritto pur essendo agnostico si commuove, mi disarma
l’ospitalità e la cordialità di questo territorio.
Il bel sentiero porta in
basso fino ad assumere la forma di un’ampia e comoda mulattiera. Rasento i
ruderi di un’altra fornace, dirigendomi in direzione di Tramonti di Sopra.
Delle stupende tabelle a uso didattico istruiscono il viandante,
accompagnandolo lungo la mulattiera di montagna chiamata “Strada da lis Fornas”.
Raggiunta la periferia del paese mi viene incontro un ciuchino grigio, dall’aria
triste. Lo saluto, mi riconosce, mi chiede se sto andando da Vittorio, gli
rispondo di sì, chiedendogli come ne sia a conoscenza. Mi risponde: <<Giorni
fa, quando vagavi sul monte Celant hai pensato di farlo. Nella valle, caro
Malfa, il pensiero vola ma non emigra.>> In questa valle sono savi anche
gli asini, penso, e salutandolo mi dirigo al cimitero, vado a far visita al mio
maestro e angelo custode, gli porto sulla tomba un sassolino che ho raccolto in
cima.
Dentro il cimitero è tutto ordinato, nessuna tomba è sprovvista di fiori,
evidentemente a Tramonti non esistono distinzioni sociali tra i morti. Che
bello! Maledettamente utopistico, ma qui lo hanno realizzato. Non nascondo che
davanti la tomba del mio Maestro ho avuto un attimo di debolezza nel vedere la
foto apposta sulla lapide. L’immagine di lui radioso, con abiti da
escursionista in montagna mi ha commosso. Questa valle è il suo regno, è qui
che lui mi ha reso allievo felice, la nostra era una bella amicizia che la
morte ha solo rafforzato.
Lasciato il luogo dove riposa, riprendo il cammino
per l’auto, attraversando il paese. Su un portone noto un fiocco rosa e sopra
elencate le progenitrici della bimba: Bisnonna Ada, nonna Cristine, mamma Marie
e la bimba Margot. Un sorriso illumina il mio volto, simile a quello che mi dona
una donna al mio passaggio (sta creando un presepe nell’angolo della piazza).
Un gattino incuriosito e non intimorito assiste alla scena.
Uscito dal borgo mi
dirigo verso l’auto, l’escursione volge al termine lasciandomi un profondo
senso di solitudine. Oggi ho vissuto! Con il cuore ricco di emozioni mi preparo
al rientro nel quotidiano per raccontare un’altra montagna e un'altra storia.
Quota minima partenza: 446 m.
Quota massima raggiunta: 1202 m.
Tempi di percorrenza. 4 ore in condizioni normale e senza
soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Storico-ambientale.
Difficoltà: Escursionistiche.
Segnavia: CAI 396
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tabacco 028- IGM 1:25000
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: Molteplici sorgive.
Consigliati:
Data 05 dicembre 2017.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa