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sabato 31 marzo 2018

Anello Casera Valle di Friz da Dardago.

 
Anello Casera Valle di Friz da Dardago.

Una meravigliosa escursione tra amici.

Racconto.



L’amicizia è una bella parola, abusata per identificare rapporti puramente formali o apparentemente cordiali che poi nascondono insidie.  Per questa escursione ho voluto avere accanto due veri amici: il buon Roberto, con cui condivido nell’ultimo anno bellissime esperienze in montagna e il fido Magritte. Insieme abbiamo effettuato notevolissime escursioni, il trio funziona.

Roberto, come spesso lo descrivo, è un uomo di altri tempi, un vero galantuomo. Su di lui posso fare affidamento, è un’anima pura con cui provo piacere a condividere la montagna. Magritte è il mio fedele compagno da sempre, quando non posso portarlo con me ne sento la mancanza e penso che il dispiacere sia reciproco; ultimamente claudicava vistosamente, ma nelle ultime uscite mi ha tranquillizzato, soprattutto in quest’ultima.

L’escursione che racconto è quella che abbiamo svolto per raggiungere lo Zuc di Valliselle da Dardago, una delle ultime propaggini del versante friulano occidentale. Quindici anni fa iniziai le esplorazioni dei primi rilievi grazie al prezioso contributo del libro” Escursioni sui primi rilievi panoramici del Friuli-Venezia Giulia” scritto da Federico Olivotti e Dante Silvestrin. Dopo tre lustri ho rispolverato il volume, proseguendo la visita sulle cime che mancanti.

Lo Zuc di Valliselle dalla Val Artugna si presenta impegnativo, sia per il dislivello che per il chilometraggio, la neve persistente ne amplifica le difficoltà.

Arriviamo di buon mattino nella località di Dardago, orientandoci alle pendici dei monti della Val Artugna che risaliamo con il mezzo fino al Ristorante Belvedere, dove lasciamo l’autovettura nello spiazzo adiacente adibito a posteggio (q. 430 m).

La giornata è splendida, promette bene, la temperatura mite e il cielo terso fanno presagire un’escursione con i fiocchi.  Il nostro itinerario comincia dirimpetto al posteggio, dal cartello CAI numerato 984 ci avviamo per la nostra meta indicata in 4 ore e dieci minuti, questo dato ci spezza le gambe sin dall’inizio, pazienza, troveremo conforto nella bella giornata.

Il sentiero è una bellissima mulattiera che percorre il versante meridionale delle pendici del Cansiglio. Il sole ci carica, la lieve pendenza ci rende soave il cammino, dopo pochi metri incontriamo dei caprioli che si sollazzano, apprezziamo il dono della signora Montagna. Saliamo il versante ammirando la pianura e avendo sempre un occhio proteso al crinale che dobbiamo raggiungere. La prima neve copre i sassi del vecchio troi, sfioriamo i ruderi della casera Cavatir ammirandone l’ampio pascolo prospicente.

Il pensiero vola lontano in un tempo remoto, immagino le mandrie di bovi che risalivano la nostra traccia odierna per avviarsi all’alpeggio, odo i malgari intenti a urlare ai cani affinché non si distraggano dalle loro attività quotidiane. Riprendo il cammino, la neve copre completamente il percorso, attraversiamo un ampio vallone prima di giungere presso un laghetto totalmente ghiacciato. Magia allo stato puro, mi guardo intorno notando i ruderi della casera Val di Lana emergere dalla neve come iceberg con gli spigoli delle cantoniere tinte di bianco-rosso CAI; spesso i segni sono sotto la coltre di neve, ma I provvidenziali paletti ci guidano.

Stiamo per attraversare la lunga diagonale che ci permette di guadagnare i duecento metri di dislivello che ci separano dai ruderi della casera Centolina.

Il lunghissimo traverso a causa della neve è spesso ardito, lo percorriamo lasciando per primi le tracce e con passo sicuro, sperando di non franare in basso. La neve aumenta di consistenza, decidiamo di calzare le ciaspole e per un tratto funziona. Dopo casera Centolina notiamo un cartello CAI che ci indica la via breve del ritorno segnata 984a. Poco più avanti ci aspetta un altro breve tratto insidioso ed esposto, togliamo le ciaspole tenendole con una mano e con l’altra ci aiutiamo con i bastoncini telescopici. Superato anche questo ostacolo ricalziamo le ciaspole fino a raggiungere un bivio: a destra sta l’inizio del canalone detritico, il sentiero ci appare dismesso (bandierine tibetane), noi seguendo i chiari e recenti segni CAI, proseguiamo a sinistra risalendo a fatica il vallone.

 Senza le provvidenziali ciaspole sarebbe stata una fatica immane, quasi impossibile, la neve è alta un metro, Magritte nuota nel bianco. Non molliamo, ci aspettano ancora 250 metri di dislivello prima di pervenire alla prima meta dell’escursione, la casera Friz.

Le gambe cominciano a diventare pesanti, sicuramente ho un calo di potassio, con spirito stoico continuo, spesso mordendo la bandana, ma confortato dalla vicinanza dell’amico a quattro zampe; mentre Roberto vola, nasconde meglio la fatica. Durante l’ascesa commentavamo il nostro incendere, io sono più lento ma continuo, mi paragono a uno stambecco, lui è agile e scattante come un camoscio, naturalmente tra i due Magritte fa la media. Un tratto ripidissimo precede l’avvallamento dominato dalla casera Friz, Roberto mi aspetta, lasciandomi il manto di neve immacolato. Gli ultimi metri prima della casera li percorriamo insieme, è meraviglioso ciò che vediamo. Siamo letteralmente incantati, il bianco immacolato sembra zucchero, siamo commossi. Esploriamo gli edifici, finché troviamo una possibilità di riparo. Entriamo, sganciando gli zaini, siamo soddisfatti e felici. Visto l’orario e l’abbondanza di neve rinviamo di far visita alla cima del Zuc di Valliselle. Dentro l’accogliente casera troviamo un tavolo da imbandire, ed è quello che facciamo, passando in un ‘istante dal moto alla quiete del pranzo. Dallo zaino tiriamo fuori prelibatezze che il buon Magritte gradisce. La mezzora dedicata al piacere ludico passa velocemente, consigliandoci di rimettere a posto i materiali e scendere a valle. Roberto apporta il nostro passaggio sul libro dei visitatori, una volta chiusa la porta si rientra.

Il primo tratto di sentiero sino al cartello del bivio per il canalone passa velocemente, constatando che ne abbiamo fatta di strada. Dal bivio lasciamo il sentiero dell’andata, togliamo le ciaspole e procediamo in ripida discesa seguendo i segni sugli alberi. Raggiungiamo in breve, malgrado qualche tratto esposto, l’inizio del canalone detritico che nei primi metri è totalmente ricoperto di neve; ci orientiamo con dei provvidenziali ometti, con l’abbassarci di quota diminuisce la neve svelando il fondo sassoso che stiamo percorrendo. Malgrado questo tratto sia breve, rispetto a quello percorso all’andata, è faticosissimo, mettendo a dura prova le nostre ginocchia; Roberto accusa dei crampi alle gambe ma non demorde.

Il canalone ghiaioso che taglia la Val Grande consta di ottocentocinquanta metri di ripido dislivello da percorrere su terreno instabile, non ci sono dubbi che non stiamo pettinando bambole. Avvistiamo i caprioli dell’andata che ci augurano un buon rientro.

 Su una parete rocciosa Roberto scorge una targa in metallo, legge il contenuto ad alta voce, tra le parole attrae la mia attenzione ”spirito”, incuriosito mi avvicino e leggo la targa. << La montagna è fatta soprattutto di spirito……. Otto – Nessun uomo è solo in montagna. Otto Sambin 27-2-1993.>> Nulla da commentare, concordo in pieno con quanto ho letto. Dall’alto avvistiamo l’albergo e l’auto, siamo vicini, ultime fatiche e rieccoci nel primo tratto di sentiero percorso all’andata; i brevi e comodi tornanti ci accompagnano (soddisfatti) al punto di partenza. Commentiamo che non ci siamo fatti mancare niente: abbiamo utilizzato sia i ramponi che le ciaspole, siamo saliti con la primavera e per prati inerbiti, giungendo alla casera con un paesaggio invernale e con un metro di neve. Tante emozioni in una sola escursione, citando un mio amico Cadorino “ è tanta roba!”.

Messi a posto i materiali si parte, direzione Grizzo presso Montereale, per consumare qualcosa in un accogliente locale con simpatici gestori e servizio impeccabile. Nel commentare l’escursione sopraggiunge la notte che riempie di stelle il cielo. Si rientra a casa con la soddisfazione di aver vissuto un’altra avventura e una nuova storia da raccontare.



 
Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Carniche-Gruppo del Cavallo.

Avvicinamento: Lestans-Maniago- Aviano- Dardago- Strada per la val Artugna- Sosta presso l’albergo Belvedere (q. 430 m.).

Località di Partenza:

Dislivello: 1150 m.



 Dislivello complessivo: 1150m.



Distanza percorsa in Km: 16 chilometri.





Quota minima partenza: 430 m.



Quota massima raggiunta: 1515 m.



Tempi di percorrenza. 7 ore (4,5 in salita e 2,5 in discesa) escluse le soste in condizioni di terreno buone.

In: Coppia.



 Tipologia Escursione: Escursionistica-Naturalistica-



Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI 984-984a.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Ometto di vetta: No.

Libro di vetta: Libro di casera, si.

Timbro di vetta: No.

Riferimenti:

1)                  Cartografici: Tabacco 012- IGM 1:25.000

2)                  Bibliografici:

3)                  Internet:

Periodo consigliato: Tutto L’anno.

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Eccellentemente marcato e segnato.

Fonti d’acqua: No.

Consigliati:

Data: 22 marzo 2018.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa